Riprendiamo dalla STAMPA - TORINO di oggi, 20/03/2018, a pag. 54, con il titolo "Quando la nostra sinistra era miope. Scrivere dei gulag e non essere creduti", la cronaca di Fabrizio Assandri.
Gustaw Herling
Ci sono capolavori che attraversano la storia e la letteratura del proprio tempo come fiumi carsici. Silenziosi, a volte addirittura invisibili, penalizzati da ostracismi culturali e miopie editoriali. «Un mondo a parte» rappresenta uno dei casi più clamorosi di tutto il Novecento. Scritto dal polacco Gustaw Herling tra il 1949 e il 1950, racconta i suoi due anni di internamento in un gulag e costituisce una delle primissime testimonianze sugli orrori dei campi di lavoro sovietici, con più di vent’anni di anticipo su Solzenicyn e Šalamov.
La copertina (Oscar Mondadori ed.)
Il volume viene pubblicato per la prima volta a Londra nel 1951, in lingua inglese. Nella sua prima edizione gode di un’introduzione illustre, quella di Bertrand Russell: «Tra i molti libri che ho letto sulle esperienze delle vittime dei campi di prigionia sovietici, “Un mondo a parte” è quello che mi ha maggiormente impressionato, oltre a essere il meglio scritto. Questo libro possiede il rarissimo potere della semplicità e dell’immediatezza narrativa ed è totalmente impossibile metterne in dubbio in alcun modo la veridicità».
Il grande successo dell’opera nel mondo anglosassone non riesce però a diffondersi nell’Europa che strizza l’occhio al patto di Varsavia. In molti paesi (compresa la stessa Polonia) resta inedito fino alla caduta del muro di Berlino e dei blocchi ideologici contrapposti. Anche in Italia ha una complessa storia editoriale, durata sessant’anni. Fino alla pubblicazione della sua edizione definitiva, nella collana Oscar Mondadori, che viene presentata oggi alle 18 a Torino, al Polo del ‘900 in via del Carmine 14, nella cornice del festival Slavika. Una nuova versione arricchita da documenti d’archivio, recensioni e carteggi illustri (di Russell, Camus, Silone, oltre a una commovente lettera dell’autore al suocero Benedetto Croce).
«Il gravissimo errore storico è stato considerarlo un libro di propaganda anticomunista», spiega il curatore della nuova edizione, Francesco Cataluccio. «All’epoca venne attaccato, anzi ignorato, perché si scontrava contro il mondo intellettuale italiano, apertamente filo-sovietico. Herling venne isolato, nonostante avesse scelto il nostro paese e la città di Napoli come patria adottiva. Ha vissuto ai margini per tanto, troppo tempo, insieme ad altri autori dell’epoca come Chiaromonte e Silone, anche loro accusati di anticomunismo».
«La sua è stata una testimonianza scomoda, che la società non era ancora in grado di accogliere» gli fa eco Marta Herling, figlia di Gustaw, nipote di Croce. «Sul tema delle atrocità del regime sovietico per lungo tempo c’è stata una vera e propria rimozione collettiva, ai limiti dell’omertà. Per mio padre questa è stata una grande sofferenza. La sua forza di uomo e scrittore e il valore della sua testimonianza l’hanno però sempre spinto a resistere, a credere, ad avere fiducia. Papà ha combattuto per tutta la vita affinché il suo mondo a parte potesse tornare fra noi tutti. Oggi ha finalmente vinto la sua battaglia».
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