Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 15/06/2016, a pag. 5, il commento "Intesa sul nucleare, la tenuta è a rischio"; dal SOLE 24 ORE, a pag. 10, con il titolo "Gli Usa vogliono riscrivere l'intesa sul nucleare iraniano", il commento di Roberto Bongiorni.
Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti:
AVVENIRE: "Intesa sul nucleare, la tenuta è a rischio"
Avvenire scrive di "rischio" che gli accordi sul nucleare con il regime iraniano non vengano confermati dagli Usa di Donald Trump e Mike Pompeo. Più che di "rischio" avrebbe dovuto scrivere di "opportunità", ma il quotidiano dei vescovi si schiera ancora una volta contro Israele e con un regime teocratico e fondamentalista.
Ecco il pezzo:
A maggio la Casa Bianca potrebbe non confermare più il congelamento delle sanzioni, puntando a smantellare l'accordo del 2015 L’Iran è uno dei dossier in cui più marcata potrebbe essere la differenza tra l'era Tillerson e quella Pompeo. Donald Trump l'ha detto chiaramente: «Con Tillerson non ci trovavamo d'accordo su alcune cose. Sull'accordo iraniano non la pensiamo allo stesso modo». L'ormai ex segretario di Stato, in particolare, voleva che gli Usa continuassero a sostenere l'intesa con l'Iran raggiunta nel 2015 dal Gruppo dei 5 e portata avanti da Barack Obama. Trump la considerava e tuttora la considera «un imbarazzo per gli Stati Uniti», tanto da essere convinto della necessità di revocarla. Da questo punto di vista, Pompeo potrebbe essere la spalla ideale di Trump. L'ex direttore della Cia è infatti considerato un falco, un duro che ha definito la Repubblica islamica «il più grande Stato sponsor del terrorismo» e non avrà difficoltà ad assecondare il presidente nella richiesta di rivedere l'accordo sul nucleare. La stessa Teheran sembra esserne consapevole. «Gli Stati Uniti sono determinati a lasciare l'accordo nucleare. L'obiettivo dei cambi al Dipartimento di Stato è quello, o almeno quella è una delle ragioni», ha sottolineato ieri il vice ministro degli Esteri ed ex negoziatore al tavolo della comunità internazionale per l'intesa siglata nel 2015, Abbas Araghchi. La prossima cruciale scadenza sul dossier iraniano è a maggio. Lo scorso 12 gennaio Trump ha confermato il congelamento delle sanzioni contro Teheran, lasciando così intatto l'accordo ma parlando di «ultima chance» per migliorare la stessa intesa. Destinatari del messaggio gli stessi partner europei, che con gli Usa firmarono l'accordo: «O ci aiutate a mettere a posto quegli aspetti che non garantiscono la sicurezza o gli Stati Uniti usciranno dall'intesa», ammonì Trump. Tillerson fu tra coloro che consigliarono a Trump di rinnovare la sospensione delle sanzioni, ma a maggio, alla prossima scadenza, Pompeo potrebbe invece muoversi in tutt'altra direzione. Washington vuole che l'Iran permetta ispezioni veloci e immediate in tutti i siti agli ispettori internazionali. Sostiene che Teheran «non deve arrivare al punto da essere vicino ad ottenere armi nucleari». E chiede di poter reintrodurre sanzioni senza scadenza se l'Iran non rispetta nuovi criteri. Sin dall'inizio della sua presidenza Trump ha attaccato l'accordo, anche perché è considerato una delle vittorie più importanti di Obama, sostenendo di volerlo rinegoziare. Con la nomina di Pompeo l'obiettivo è diventato un po' più vicino.
IL SOLE 24 ORE - Roberto Bongiorni: "Gli Usa vogliono riscrivere l'intesa sul nucleare iraniano"
Il pezzo di Roberto Bongiorni, rispetto ai commenti faziosi di Ugo Tramballi, è più equilibrato ma comunque mantiene una certa apertura verso il regime dittatoriale iraniano: evidentemente si tratta della linea del giornale, attento a non scontentare troppo gli ayatollah, che possono trasformarsi in un ottimo partner per le aziende italiane, senza che interessi la corsa al nucleare, i diritti umani calpestati e le minacce di morte a Israele. Il problema degli accordi sul nucleare che Bongiorni non chiarisce adeguatamente è che sono previsti controlli sui vecchi siti iraniani, ma non sui nuovi. Per questo sarà facile, in qualche anno, per la teocrazia sciita disporre di armi nucleari.
Ecco l'articolo:
Roberto Bongiorni
Non è un caso se il primo commento di Donald Trump dopo aver liquidato il suo Segretario di Stato, Rex Tillerson, abbia toccato il più scottante dei dossier internazionali: il nucleare iraniano. «Mi stava simpatico ma su alcune cose non andavamo d'accordo. Io penso che l'intesa sul nucleare con l'Iran sia terribile, a lui andava bene. Io voglio cancellarla o rifarla, lui aveva idee diverse», ha spiegato. E legittimo pensare che agli occhi di Tillerson l'intesa sul nucleare, se non il migliore degli accordi possibili, era comunque un apprezzabile risultato ispirato ai principi della realpolitik. Perfettibile - lui stesso intendeva apportavi delle migliorie - ma necessario per scongiurare scenari ben peggiori. D'altronde quali erano le alternative? L'Iran avrebbe proseguito ad arricchire l'uranio in modo autonomo, con il rischio concreto di dotarsi di un arsenale atomico. E per impedirlo a un certo punto sarebbe stato necessario un massiccio raid militare, se non una guerra aperta, caldeggiato da Israele e Arabia Saudita Scenari capaci di incendiare l'intero Medio Oriente in un periodo peraltro già drammatico. Anche senza ricorrere all'opzione militare, la soluzione caldeggiata da Trump - un nuovo round di sanzioni, fino al ripristino dell'embargo petrolifero - potrebbe non essere così efficace. Lo stralcio unilaterale di un documento siglato nel luglio del 2015 dal gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania) sarebbe interpretato come un via libera a chi quelle sanzioni vorrebbe aggirarle, in prima linea Russia e Cina Bruxelles è stata risoluta l'accordo non si tocca. Trump non è legittimato a farlo. Tillerson sapeva che far terra bruciata di tutta la politica internazionale costruita dal presidente Barack Obama avrebbe creato una gravissima crisi diplomatica con gli alleati europei. Soprattutto in questa circostanza, quando sono tutti compatti. Il suo successore, l'ex capo della Cia Mike Pompeo, sposa invece la linea di Trump . Anche lui si è espresso sull'opportunità di stralciare il dossier nucleare. Il fatto che sia stato promosso in questo momento al vertice della Diplomazia americana non è un caso. Manca poco al termine per ricertificare il rispetto da parte dell'Iran al programma nucleare, come una legge americana prescrive debba essere fatto ogni 90 giorni. Obtorto collo, per due volte Trump ha rinunciato alle sanzioni. Lo sorso ottobre il Congresso ha riconfermato il loro congelamento rimandando la palla alla Casa Bianca. A maggio le cose potrebbero andare diversamente. Il team del presidente lo aveva subito precisato: «Questa sarà l'ultima volta che le sanzioni contro l'Iran saranno congelate, a meno che l'accordo sul nucleare di Teheran non venga migliorato». Ma come? Finora l'Agenzia internazionale per l'Energia atomica ha confermato che l'Iran sta rispettando i termini dell'accordo. Ma per Trump, se non nella forma, l'intesa è stata ripetutamente violata nello spirito. E da tempo chiede che il team dell'Onu compia anche ispezioni in siti militari ritenuti sospetti e che venga incluso nel dossier nucleare anche quello sui test missilistici iraniani. Pur avendo espresso contrarietà e preoccupazione per i test balistici, Bruxelles preferisce mantenere i due dossier separati, escludendo a priori ulteriori modifiche. Una calda primavera diplomatica sta bussando alle porte.
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