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Chi è Mike Pompeo, il nuovo Segretario di Stato americano A destra: Donald Trump, Mike Pompeo Con il suo Segretario di Stato, Rex Tillerson, Trump non era riuscito a stabilire una vera sintonia. Questo era evidente fin dal primo momento. Anche sul problema dei rapporti con Israele, Tillerson aveva manifestato notevoli perplessità. Personalità molto diverse, Tillerson è incline alla moderazione e anche a un certo timore di non fare il passo più lungo della gamba, mentre Trump, nella sua volontà di avviare a soluzione le questioni su cui s’era impegnato in campagna elettorale, è portato a rompere gli indugi. Si è visto in molti punti della sua agenda di politica internazionale.
Così, il presidente americano ha dato inizio a una politica estera decisa su vari nodi delle relazioni internazionali, superando le consuete ponderazioni della diplomazia. Per continuare su questa strada e impegnarsi in azioni tendenti a modificare il ruolo e la strategia degli Stati nelle questioni internazionali, il posto di Tillerson è ora assunto da Mike Pompeo, in precedenza capo della CIA, uomo che ha sempre dimostrato una grande sintonia con l’operato di Trump. Definito un falco – termine che molto spesso dipinge erroneamente l’azione di un uomo politico, causando non pochi atteggiamenti negativi da parte degli interlocutori – Pompeo è un conservatore realista in politica internazionale, sostenitore del movimento Tea Party, decisamente contrario all’accordo obamiano con l’Iran e all’Obamacare. Ancor prima che l’accordo con Teheran fosse firmato, Pompeo, che era entrato nella Camera dei Rappresentanti soltanto nel 2010, aveva messo in guardia sulle sue conseguenze nella regione mediorientale. Le sue analisi si sono avverate. L’Iran ha interpretato l’accordo come una sorta di consenso da parte dell’Occidente alla sua ambizione di espansione della propria egemonia nel Medio Oriente; o meglio, il raggiungimento dell’accordo aveva generato in Obama e negli europei un tale ottimismo che Teheran si era sentito libero di lavorare a tutto campo nel Medio Oriente, soprattutto nella crisi siriana, a fianco della Russia. Ora, la nomina di Pompeo a Segretario di Stato chiude il cerchio degli uomini fedeli a Trump e che condividono le linee d’azione del presidente. Ciò imporrà agli europei un’accelerazione del loro impegno a ridiscutere alcuni aspetti dell’accordo con l’Iran, perché, in caso contrario, Trump e Pompeo si troveranno d’accordo nel ritirare la sospensione delle precedenti sanzioni e nell’imporre delle altre, oltre che, alla fine, nel procedere unilateralmente a sconfessare l’intero accordo. Di fatto, oggi i paesi europei sono soggetti ad un duplice attacco da parte di Washington: la ridefinizione dell’accordo con l’Iran e i dazi doganali imposti qualche giorno fa da Trump. Il caso nord-coreano è particolarmente significativo. L’incomprensione fra Trump e Tillerson sulla questione è di vecchia data e, quali che siano le ragioni dell’uno e dell’altro, ora Pompeo è sulle posizioni di Trump e, da questo punto di vista, la politica estera di Washington avrà un andamento univoco. In definitiva, dopo più di un anno dall’ingresso alla Casa Bianca, Trump sembra aver superato le incongruenze iniziali, dovute alla sua scarsa dimestichezza con la politica attiva e anche ad una certa improvvisazione nelle scelte. In più, c’è da considerare anche la personalità di Trump, portato a decidere per proprio conto senza consultare i propri collaboratori. Si spera che l’esperienza acquisita e l’aver al suo fianco un uomo fidato come Pompeo siano la soluzione delle contraddizioni iniziali. Al posto di Pompeo, come direttore della CIA, subentrerà Gina Haspel, altro elemento di sicuro affidamento per Trump. Pompeo è sulle posizioni di Trump per quanto riguarda la politica americana nei confronti di Israele e ciò non può che rassicurare Gerusalemme. Sarà una spalla importante per la conduzione della politica mediorientale che Trump intende costruire per ricacciare indietro l’Iran e per far riacquisire agli Stati Uniti quella posizione preminente che ha avuto per tutto il secondo dopoguerra, prima della disastrosa ritirata di Obama. Sempre che non sia troppo tardi, naturalmente.
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