Riprendiamo oggi, 14/03/2018, dalla STAMPA a pag.1-11 con il titolo "Arriva Mike 'l’italiano', falco anti-Iran che vuol rivedere l’intesa sul nucleare" la cronaca di Paolo Mastrolilli; dal GIORNALE, a pag. 1-12, con il titolo "Svolta per trattare con la Corea di Kim", il commento di Paolo Guzzanti. Gli articoli sono preceduti da una rassegna di titoli dei quotidiani di oggi.
Le titolazioni di molti quotidiani italiani presentano oggi in modo scorretto e disinformante la notizia della sostituzione di Rex Tillerson con Mike Pompeo voluta da Donald Trump.
LA STAMPA titola "Arriva Mike 'l’italiano', falco anti-Iran che vuol rivedere l’intesa sul nucleare", sottolineando come Mike Pompeo sarebbe un "falco" prima ancora che abbia cominciato a ridisegnare l'agenda della politica estera americana. Un giudizio quindi immotivato utile solo ad attaccare l'Amministrazione Trump.
IL GIORNALE titola "Trump caccia Tillerson. 'Troppe divergenze'. Arriva il falco Pompeo". Anche qui compare la parola "falco" e, in più, il verbo "caccia", invece di "sostituisce".
Anche il CORRIERE, nel titolo "Cacciato Tillerson. Trump si affida al capo degli 007" sceglie il verbo "cacciare".
Solo in apparenza fa meglio REPUBBLICA, nel titolo "Trump 'licenzia' Tillerson per giusta causa (e tante liti)". Il verbo è giusto, ma messo tra virgolette perde significato e sembra alludere a ben altro.
Di gran lunga il peggior titolo è quello a pag. 1 del MANIFESTO: "Killerson". Ma non stupisce sul quotidiano comunista... A Tillerson andava bene l'accordo di Obama sul nucleare iraniano. Se Trump merita una critica, può essere soltanto il ritardo con cui l'ha dimesso.
Ecco gli articoli:
Donald Trump, Mike Pompeo
La Stampa - Paolo Mastrolilli: "Arriva Mike 'l’italiano', falco anti-Iran che vuol rivedere l’intesa sul nucleare"
Paolo Mastrolilli
Rex Tillerson
Donald Trump licenzia con un tweet il segretario di Stato Rex Tillerson e lo sostituisce con il capo della Cia, Mike Pompeo. È una svolta, quella della Casa Bianca, impressa pensando principalmente all’intesa sul nucleare con l’Iran. Tillerson era restio a stracciare l’accordo, il suo successore a Foggy Bottom ha invece sempre sostenuto la necessità di cancellarlo allineandosi così al sentimento di Trump.
In genere le posizioni di Pompeo sono più nette sulla Corea del Nord e sul Medio Oriente, anche se il cambiamento più deciso nella politica estera americana potrebbe avvenire nel rapporto con Teheran già dalla prossima scadenza della sospensione delle sanzioni.
Pompeo è nato nel 1963 a Orange, in California, da una famiglia di origini italiane. Il ramo paterno era emigrato dalla Campania; quello materno da Caramanico, in provincia di Pescara, dove lui è stato in gran segreto durante il G7 dei capi delle agenzie di intelligence. Dopo le scuole in California, dove giocava a basket come ala forte, Mike era entrato all’Accademia di West Point laureandosi come primo della classe in ingegneria meccanica. Quindi era diventato ufficiale del Settimo Cavalleria, lo stesso reparto trascinato dal generale Custer alla devastante sconfitta di Little Big Horn. Comandava i plotoni di carri armati che pattugliavano la «cortina di ferro» prima della caduta del Muro di Berlino, e aveva terminato il servizio nella Guerra del Golfo. Tolta la divisa era andato all’università di Harvard, e anche là aveva incassato successi. Si era laureato in legge, entrando anche nella direzione della Harvard Law Review.
Sembrava avviato verso la carriera di imprenditore in Kansas, dove aveva fondato e venduto la compagnia aerospaziale Thayer, e poi quella petrolifera Sentry International. La passione per la politica però aveva avuto il sopravvento e nel 2010 era stato eletto deputato, sull’onda del successo del movimento ribelle repubblicano del Tea Party. Le cose per cui si è messo più in evidenza durante il mandato al Congresso erano state soprattutto due: gli attacchi a Hillary Clinton per l’assalto al consolato di Bengasi, e l’opposizione all’accordo nucleare con l’Iran. «Ma possibile che non abbia ancora licenziato nessuno?», aveva chiesto con foga all’allora segretario di Stato, nel corso di un’audizione in Parlamento. L’intesa nucleare, invece, l’aveva bocciata così: «Non vedo l’ora di cancellare questo disastroso accordo con il più grande stato sponsor del terrorismo». Infatti aveva spinto per pubblicare alcuni documenti trovati nella casa di Osama bin Laden, che dimostravano contatti tra al Qaeda e Teheran.
Per queste posizioni, e per il suo carattere diretto e irruento, Trump lo ha scelto come direttore della Cia, anche se chi lo ha conosciuto da vicino dice che nel privato è un timido. Pompeo ha sviluppato una forte relazione personale col presidente, tenendogli quasi ogni giorno il rapporto quotidiano dell’intelligence. Così i due hanno scoperto e consolidato le loro affinità elettive.
La sua posizione sull’accordo nucleare è nota, e gli esperti del settore prevedono che spingerà il capo della Casa Bianca a denunciarlo, quando arriverà la prossima scadenza della sospensione delle sanzioni. Da direttore della Cia aveva anche inviato una lettera al capo dei pasdaran, Soleimani, intimandogli di non minacciare gli Usa: «Non l’ha aperta, ma non mi ha spezzato il cuore». Sulla Corea del Nord ha lasciato intendere di favorire il cambio di regime, dicendo che «dobbiamo separare le armi nucleari dal personaggio che le controlla». Sulla Russia era prudente, ma ha finito per riconoscere l’interferenza nelle elezioni del 2016, definendo Wikileaks «un servizio di intelligence non statale ostile». Ha accusato Obama di aver invitato Putin in Siria, e ha definito Israele come il miglior alleato degli Usa. Dubbioso sul riscaldamento globale, è membro a vita della lobby dei produttori di armi Nra. E contro l’aborto, i matrimoni gay e Obamacare. Grazie al suo rapporto con Trump farà pesare di più il dipartimento di Stato, per promuovere questa linea dura.
Il Giornale - Paolo Guzzanti: "Svolta per trattare con la Corea di Kim"
Paolo Guzzanti
Una telefonata dalla Casa Bianca lo aveva avvertito: «Signor Tillerson, sarà meglio che cancelli il previsto viaggio in Africa perché è in arrivo per lei un tweet del presidente». E ieri, al suo ritorno, il tweet (...) (...) è arrivato: il capo della diplomazia americana si è visto licenziato in tronco e sostituito dal direttore della Cia, Mike Pompeo, con cui Trump dice di avere una totale comunione di idee. Di conseguenza, per la prima volta da quando l'agenzia nacque nel 1947, una donna, Gina Haspel, diventa il capo della più importante agenzia di intelligence. Pompeo è un italoamericano molto potente e influente, ex industriale spaziale e membro dell'Italian American Congressional Delegation, vicinissimo ai «Tea Party» della nuova destra liberista. I democratici, a cominciare dalla capogruppo al Congresso Nancy Pelosi, hanno fatto molto chiasso per la procedura, ma nessuno si è sorpreso: la politica estera del presidente è ormai quella dell'uomo solo al comando, rafforzata da una serie di successi tutti personali e dunque chi fa la fronda, o mostra insofferenza, si trova fuori dal governo. Tillerson aveva avuto da ridire sulla posizione di Trump contro l'Iran, aveva preso da solo una posizione antirussa sulla vicenda della spia avvelenata a Londra e aveva assistito con distacco allo show di Donald Trump parole contro missili che ha piegato il dittatore nordcoreano Kim Jong-un costringendolo alla trattativa. Infine, Tillerson stava ricevendo attestati di simpatia dagli ambienti conservatori del Grand Old Party e fra alcuni democratici. A Tillerson il presidente ha inflitto, prima del licenziamento, l'umiliazione di fargli sapere dalla stampa di aver accettato l'incontro in Svizzera con «l'omino che lancia i razzi» dalla Corea. Trump l'ha ringraziato freddamente via Twitter «per il servizio reso» mentre ha srotolato un tappeto rosso per l'arrivo di Mike Pompeo «che farà un lavoro fantastico!». La Casa Bianca è dunque ormai simile a una moderna reggia di Versailles in cui il sovrano decide con coloro con cui si sente in sintonia lasciando a Congresso e Senato il compito di approvare e finanziare le sue decisioni. È finita ieri la fase delle alleanze ed è cominciata quella della leadership di squadra. L'atteggiamento fiducioso di Trump nelle sue stesse abilità rafforza un nuovo genere di leadership, sconosciuto alla tradizione repubblicana ma simile a quello della corte dorata di «Camelot» del democratico John Fitzgerald Kennedy nei primi Sessanta. Di Tillerson il presidente ha detto: «Non poteva andare: abbiamo due diversi modi di ragionare». E ha insistito invece sulla necessità di un'intesa mentale con i collaboratori in vista dell'incontro con il nordcoreano Kim Jong-un al quale vuole offrire molte carote dopo averlo minacciato con un nodoso bastone. Se la partita con Kim Jong-un andrà in porto, Trump avrà vinto una posizione di forza con la Cina, con le due Coree e in prospettiva anche con il Giappone.
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