Perché oggi non può esserci pace
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: la vista dell'aereoporto Ben Gurion da Rantis
Cari amici,
oggi vi voglio mostrare perché la “pace” fra Israele e “Palestina” non è possibile oggi, almeno se presuppone uno stato di “Palestina” nel senso proprio del termine stato, cioè un’entità politica autonoma, che gestisce autonomamente tutta la propria vita, inclusa la sicurezza e nei confini della “linea verde” che fu quella dell’armistizio dopo la guerra di indipendenza del 1947-49 e che alcuni, sbagliando, definiscono “confini del ‘67”.
Perché è impossibile una soluzione del genere? Chi vive in Israele o l’ha girato facendoci caso in fondo lo sa - ma repetita juvant. Per chi non ha queste esperienze, vorrei invitarvi a guardare qualche immagine, andando a questo indirizzo web: https://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/21820. Ci trovate una mappa dell’Israele centrale (ma vi consiglio questa che è più chiara: https://www.google.it/maps/place/%D8%B1%D9%86%D8%AA%D9%8A%D8%B3%E2%80%AD/@32.0467705,34.8389177,12z/data=!4m5!3m4!1s0x151d3218e64e490d:0x2e5a9b74a6341a88!8m2!3d32.029973!4d35.018973) e una serie di fotografie, che mostrano quel che si può vedere dal paese di Rantis, sulla colline che sovrastano la pianura costiera centrale di Israele, appena oltre la linea verde. Che cosa c’è di così speciale in queste fotografie, prese con una comune macchina fotografica fornita di un po’ di zoom? Niente, si vedono benissimo gli edifici dell’aeroporto Ben Gurion, distinguendo la zona degli arrivi e del duty free, gli aerei parcheggiati e collegati ai finger. Nessuna meraviglia, la distanza fra il villaggio e il centro dell’aeroporto è di circa 10 chilometri, gli aerei che atterrano passano a due o tre chilometri. In un’altra serie, appena un po’ sgranate ma ben distinguibili si vedono le torri del centro di Tel Aviv, che sono a 20 chilometri. Con una bella giornata, traendo vantaggio dall’altezza delle colline, si distinguono a occhio nudo. Nella fotografia si riconoscono benissimo tutti i dettagli dei grattacieli che segnano il paesaggio di Tel Aviv, per esempio quelle molto caratteristiche del complesso Azrieli, vicino a Sarona e al ministero della difesa.
Vi chiederete che problema c’è in questo. Molto semplice: dove arriva la vista di una macchina fotografica arriva anche il mirino di un’arma. Non occorrono basi di lancio sofisticate, basta un lanciarazzi a spalla o al massimo quelle rampe portatili alte un metro che usano da Gaza. La distanza dell’aeroporto dalle colline è uguale a quella dal nord della striscia di Gaza ad Ascalon, che è continuamente bombardata, e quella da Tel Aviv è uguale a quella da Gaza a Asdot, pure attaccata spesso. La ragione per cui nessuno ora bombarda Tel Aviv dalle colline è solo che in quei posti c’è l’esercito israeliano a sorvegliare. Se se ne andasse e non potesse più intervenire non c’è il minimo dubbio che i terroristi vi si insedierebbero e sparerebbero da lì sugli aerei e sui grattacieli. Lo stesso accadrebbe per tutte le altre città del centro del paese, che sono più vicine di Tel Aviv alla linea verde e naturalmente anche a Gerusalemme, che già fra il ‘48 e il ‘67 fu spesso bersaglio di cecchini arabi.
Come impedire questa situazione? Per favore non parlatemi di presidi internazionali; affidereste voi la vita di Israele ai gloriosi soldati olandesi che hanno brindato con i carnefici serbi prima di andarsene da Srebrenica, evitando di disturbare la mattanza? O ai bravi caschi blu dell’Onu che fanno un così buon lavoro nell’evitare che Hezbollah si riarmi nel Libano meridionali? O a quelli stanziati sul Golan che quando la guerra civile siriana si è fatta dura si sono rifugiati sotto la protezione dell’esercito israeliano?
Di fatto ci sono solo due soluzioni per evitare che da Rantis o da cento posti analoghi i terroristi si mettano a bombardare Tel Aviv: o ci pensa l’esercito israeliano, ma allora bisogna scordarsi uno stato di Palestina (a parte tutti gli altri argomenti per non farlo). O cambia completamente l’atteggiamento della dirigenza dell’Autorità Palestinese, di Hamas e degli altri gruppi politici palestinisti, che rinunciano per davvero e una volta per tutti a fare la guerra allo stato ebraico, smettono il loro continuo incitamento al terrorismo, invece di pagare stipendi ai terroristi condannati a una pena detentiva e alle famiglie di quelli morti durante i loro crimini li arrestano a loro volta. Vi sembra impossibile? Ma è quello che ci si aspetta da qualunque stato normale: se ci fossero dei terroristi in Italia che compissero stragi per favorire l’annessione all’Italia del Canton Ticino, il governo italiano intitolerebbe loro piazze e scuole e li finanzierebbe, o li arresterebbe? Bene, se accadesse questo, se si consolidasse una normalità civile nell’Autorità Palestinese, l’esistenza di luoghi “palestinesi”i da cui è possibile sparare sull’aeroporto Ben Gurion non sarebbe più importante del fatto che ci siano colline svizzere da cui non è lontano l’aeroporto di Malpensa o la città di Como. Ma, con tutto l’ottimismo possibile, nessuno può sperare che questa trasformazione avvenga nei prossimi mesi e forse neanche nei prossimi decenni. Ecco perché lo “Stato di Palestina” sulla linea verde non è compatibile con la sicurezza di Israele e l’elettorato israeliano certo non accetterebbe la sua creazione.
Ugo Volli