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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Il discorso del Primo Ministro Netanyahu in Usa 11/03/2018

Il discorso del Primo Ministro Netanyahu in Usa
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

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 Nelle settimane scorse, la stampa araba aveva manifestato uno straordinario interesse per il futuro di Benjamin Netanyahu, a causa delle varie indagini in corso, nei confronti suoi e delle persone che detengono posizioni chiave nel suo entourage. L'interesse degli arabi è motivato dalla speranza per la caduta del Primo Ministro e per la conseguente disintegrazione del governo, che porterebbe la sinistra ad assumere la guida dello Stato ebraico. La sinistra, dopo tutto, nel corso degli anni ha dimostrato più e più volte, di essere disposta a pagare più di Netanyahu per un pezzo di carta su cui sia scritta la parola "pace". 

Il discorso di Netanyahu alla conferenza dell'AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) di martedì scorso, ha suscitato molto interesse nei media arabi, alcuni dei quali avevano inviato squadre di cronisti e fotografi all'evento, convinti , anche prima del discorso, che avrebbe affrontato principalmente il problema dell’Iran e gli sforzi di Israele per convincere gli Stati Uniti ad assumere posizioni più rigide sulla questione; queste misure comprendono sanzioni economiche, azioni militari contro le forze iraniane in Siria e, in particolare, la riformulazione dell'accordo nucleare. I portavoce e i commentatori arabi hanno ascoltato attentamente il discorso di Netanyahu nel tentativo di scoprire tre cose: 
1. Netanyahu sta parlando come chi gode di un potere stabile o le indagini hanno minato la sua autostima? 
2. Qual è la forza del legame tra Trump e Netanyahu e quanto l’attuale governo USA sostiene le misure adottate da Israele? 
3. Se e come Netanyahu farà riferimento alla questione arabo-palestinese? 

La risposta alla prima domanda è chiara. Durante tutto il discorso, Netanyahu ha dato sfoggio di sicurezza, parlando come se non ci fossero indagini, né su di lui né sui suoi stretti collaboratori. Nella prima delle tre parti del suo discorso, ha parlato dei successi di Israele nei settori dell'high-tech, dell'agricoltura, della salvaguardia dell'acqua, della diplomazia e della capacità militare. Ha parlato del contributo di Israele alla sicurezza mondiale, delle decine di possibili episodi terroristici in tutto il mondo che Israele ha aiutato a sventare, grazie al suo elevato sistema di intelligence, e alla volontà di condividere i frutti di quella superiorità con altri Paesi. Era chiaro a tutti che Netanyahu si riferiva al terrorismo islamico che poneva Israele in prima linea nella lotta contro la causa di tanta preoccupazione in tutto il mondo. Ma per i commentatori dei media arabi, la prorompente sicurezza di Netanyahu è espressione di faccia tosta, d'insolenza, di arroganza e di superbia: non sono in grado di accettare gli ebrei in modo diverso da quello della tradizione islamica, secondo cui gli ebrei devono essere assoggettati alla clemenza dell’Islam come "dhimmi", umiliati e con diritti solo parziali, mentre Netanyahu appare come un uomo libero che non possono sottomettere alla loro volontà. Mustafa Barghouti, capo del “Movimento per le iniziative palestinesi”, ha dichiarato ai media che il discorso di Netanyahu è stato arrogante e insolente, come se il Primo Ministro israeliano pensasse di governare il mondo; che Netanyahu diffonde menzogne ​​sulla leadership dell'Autorità Palestinese e sui "militanti" arabi palestinesi (leggi "terroristi"); che lui governa su uno Stato di apartheid occupante e razzista, che dietro le sue azioni si nasconde soltanto la sua personale preoccupazione per le accuse di atti criminali e di corruzione.
Un altro portavoce arabo palestinese e membro della Direzione dell'OLP, Dimitri Diliani, è furibondo per il tentativo di Netanyahu di distogliere l'attenzione del mondo dal "più grande problema del mondo arabo" che è, ovviamente, Israele, e averla diretta sulla questione iraniana, che per Diliani è di interesse marginale, minimo e trascurabile. Questa sua reazione nasce dal fatto che Netanyahu ha speso poche parole sulla questione arabo-palestinese, mentre all'Iran ha dedicato circa metà del suo discorso.
Il rappresentante egiziano di Al Ghad Al Arabi Channel presente alla Conferenza, ha riferito che “essendo l’AIPAC l'organizzazione più potente negli Stati Uniti, Netanyahu ha voluto presentarsi come il salvatore di Israele così da ripulirsi il nome agli occhi dell'opinione pubblica israeliana, tramite il suo espansivo ringraziamento rivolto a Trump per aver riconosciuto Gerusalemme come la capitale d’Israele e per spostare l'ambasciata in quella città”. 
Il giornalista ha intervistato a Washington Ahmad Abed Alhadi, definendolo un " esperto di questioni americane ", il quale ha detto che" il discorso era per lo più propaganda e retorica. Ha elogiato un buon numero di persone, tra cui l'ex Primo Ministro Canadese che in quel momento era tra il pubblico ed è uno dei più grandi sostenitori di Israele ". Alhadi ha poi evidenziato che "il discorso era rivolto alle orecchie degli ascoltatori ma anche al pubblico israeliano, e che Netanyahu ha registrato in seguito un discorso in ebraico in cui ha detto:" Ho discusso con Trump della questione dell’Iran, proprio come ho fatto nel discorso all'AIPAC. " 

Vale la pena notare che Netanyahu non ha parlato sulla "questione del secolo", ossia di quello che l'amministrazione Trump sta preparando per il problema palestinese; la ragione è che Netanyahu a quanto pare non è a conoscenza di tutti i suoi dettagli, dal momento che Trump li sta tenendo per sè. L’interrogativo più importante che interessa il mondo arabo è quello di cui Netanyahu non ha parlato nel suo discorso, cioè quanta libertà Trump è disposta a dare a Netanyahu su entrambe le questioni iraniana e palestinese. 
Per quanto riguarda la situazione arabo-palestinese, tutti sono consapevoli del fatto che l'era di Mahmoud Abbas sta rapidamente volgendo al termine e che il presidente non ha ancora raggiunto un accordo su un successore per guidare le traballanti e divise OLP e Autorità Palestinese, dopo che se ne sarà andato. Che cosa farà Israele, se rimarrà sotto la guida di Netanyahu, il giorno dopo Abbas? Continuerà a trattare con l'Autorità Palestinese o seppellirà in una tomba ciò che era stato creato a Oslo e si riprenderà l'amministrazione della Giudea e della Samaria, così com’era prima degli Accordi di Oslo del 1993? Chi verrà dopo Netanyahu, come si relazionerà con i palestinesi? Israele sta andando verso elezioni che congeleranno tutto il resto per almeno un anno. 
Trump, impegnato con problemi assai più gravi e pesanti di quello palestinese ( Corea del Nord, Iran e questioni interne americane), permetterà a Netanyahu di far retrocedere la ruota della storia, di cancellare sia gli accordi di Oslo sia quegli altri accordi che avevano portato gli arabi palestinesi alla soglia del loro sperato Stato, oppure costringerà Israele a continuare a rianimare l'entità politica palestinese malata, anche se le probabilità di sopravvivenza da indipendente, sono davvero sottili? 

Nel suo discorso, Netanyahu ha ripetuto due volte che "dobbiamo fermare l’Iran e noi lo fermeremo!" Questa frase è apparsa anche nei resoconti dei media arabi, sollevando la questione di chi è il "noi" cui si riferisce: Israele da solo, Israele e Stati Uniti, Israele, Stati Uniti e gli Europei? Una domanda altrettanto importante è se questa frase sia stata coordinata con Trump prima del discorso. O "noi" si riferisce a Israele, e Trump sarebbe d’accordo, addirittura a priori, per un attacco israeliano contro l’Iran; o il "noi" è America e Israele, con Trump che ha già dato il suo tacito accordo alla partecipazione americana in un’operazione attiva contro l'Iran?

Un'altra domanda relativa alla questione iraniana è l’obiettivo della dichiarazione di Netanyahu secondo cui "l'Iran sta costruendo un impero che comprende Iraq, Siria, Libano e Yemen". L'espressione di Netanyahu "noi fermeremo l'Iran" significa operare attivamente contro le forze iraniane in Siria? Un'operazione del solo Israele? O forse un'operazione congiunta USA-Israele? Come reagirà l'America se Israele attaccherà Hezbollah, il braccio libanese della piovra iraniana? 
In questo contesto, il mondo arabo ricorda bene la Seconda Guerra del Libano del 2006, quando il Presidente Bush permise a Israele di dichiarare guerra a Hezbollah per 33 giorni, e al Consiglio di Sicurezza dell'ONU appoggiò Israele e il suo diritto a difendersi. 

Tutte queste domande derivano ​​dalla non chiara affermazione " noi fermeremo l'Iran" fatta da Netanyahu, che interessa il mondo arabo molto più del problema palestinese. Questa situazione fa infuriare gli arabi palestinesi, perché sono abituati a credere e ripetere all'infinito che una soluzione al problema palestinese è la chiave per risolvere i problemi dell'intero Medio Oriente. Con stupita sorpresa e tristezza, stanno iniziando a scoprire che, rispetto al loro, il problema iraniano è molto più importante e preoccupante per Israele e per il mondo intero. E Trump aveva manifestato il suo disappunto con loro quando disse, apertamente: " Così non ci sarà pace. Anche questa è una possibilità". Improvvisamente la pace tra Israele e gli Arabi Palestinesi è diventata solo una "possibilità" che ci sarà oppure no, e nel contempo l'intero mondo arabo vede che Israele riceve il riconoscimento della sua capitale da parte degli Stati Uniti, la cui 'ambasciata è sulla via verso Gerusalemme, che il "problema dei rifugiati" palestinese è in crisi e che tutte le aspettative arabe palestinesi di uno Stato non si sono trasformate in nient'altro che in una "possibilità".

Questa è l'immagine che il mondo arabo vede alla fine degli ultimi mesi che hanno portato al discorso di Netanyahu alla conferenza AIPAC. L’ unica risorsa che rimane loro è di affidare le loro speranze alla polizia, ai testimoni, al Procuratore Generale Mandelblit, ai pubblici ministeri e al Ministro Litzman; questo per far sì che il problema arabo palestinese rimanga non solo una "possibilità" nelle mani di quel Netanyahu pieno di razzismo, superbia e arroganza.


Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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