Germania: no al velo nei luoghi pubblici Commento di Roberto Giardina
Testata: Italia Oggi Data: 09 marzo 2018 Pagina: 14 Autore: Roberto Giardina Titolo: «In tribunale no al velo islamico»
Riprendiamo da ITALIA OGGI, del 09/03/2018, a pag. 14, con il titolo "In tribunale no al velo islamico" il commento di Roberto Giardina.
Roberto Giardina
In gennaio, un giudice in un'udienza al Tar di Bologna allontanò un'avvocatessa di origine marocchina perché aveva il capo coperto dal velo islamico. Poi, all'italiana, il presidente del Tar riammise la dottoressa Asmae Belfakir, 25 anni, praticante dell'ufficio legale dell'Università di Reggio Emilia e di Modena. La legge prescrive che in tribunale si entri a capo scoperto (uomini e donne), secondo l'articolo 129 del codice di procedura civile. Oppure no? Il giudice avrebbe preteso solo il «rispetto della nostra cultura»? Domande scomode, perché a criticare la giovane Belfakir si precipitò subito Salvini. Qualunque cosa sostieni, o il contrario, in Italia vieni subito messo in questa o quell'altra squadra. Senza timori di politically correct e di opportunità politica, in Baviera hanno deciso che il Kopftuch, il velo islamico appunto, in tribunale rimane tabù.
Vietato perché non rispetta la Costituzione tedesca, che sancisce la parità tra uomo e donna. Una vertenza che risale alla metà del 1916. Ad Augsburg, la nostra Augusta, i giudici avevano dato il via libera al velo, come aveva chiesto una praticante, una collega dell'avvocatessa Belfakir. Una scelta che aveva suscitato clamore in tutto il paese, dividendo sostenitori e contrari. Questa settimana il tribunale amministrativo di Colonia ha annullato la sentenza di Augsburg. In tribunale non ci si presenta con il Kopftuch. E la decisione di mercoledì scorso non è appellabile. In Germania si può porre un limite ai ricorsi, magari fino in Cassazione. I bavaresi cattolici e reazionari? Se fossero italiani, tutti elettori di Salvini? In questo caso no. In Germania si è in realtà liberali: ognuno vada vestito come gli pare. La Berlino dove vivo è una metropoli multiculturale, ma in tanti anni ho incontrato solo una signora in burka, un paio in chador. Berlino è anche la più grande città turca del continente, con circa 250 mila immigrati dal Bosforo, e per strada o in metropolitana è normale vedere ragazze con il Kopftuch. Ed è strano, o forse no. Un quarto di secolo fa, le loro madri giravano senza velo e in minigonna. Le loro figlie hanno riscoperto la tradizione. Il velo è un segno di sottomissione femminile? Molte giovani turche rispondono di no. Per loro è un segno di identità nazionale. Ho i miei dubbi, ma non importa. Molte ragazze, come protestano quando possono, sono obbligate a vestirsi come pretende il padre. Però, i tedeschi proibiscono alle dipendenti pubbliche (alle insegnanti, alle impiegate, o alle poliziotte) di sfoggiare il velo. Siete funzionarie statali, e quindi rappresentate la Costituzione. Poi, finito l'orario di lavoro, la professoressa o la postina possono tornare a casa anche in burka. Ma anche se non ci fosse una legge a vietare il Kopftuch, non si dovrebbe neanche protestare perché si vuol far rispettare la cultura del paese ospitante, come si indigna la praticante di Bologna. Una banca può anche obbligare i suoi cassieri uomini a indossare giacca e cravatta, non sfoggiare tatuaggi e piercing, come hanno più volte confermato diverse sentenze. In passato le decisioni sono state contraddittorie, anche perché la Germania è un paese federale, e ogni Land può decidere altrimenti. Anni fa, una grande società di cosmetici aveva assunto per una sua filiale una bellissima commessa di origine magrebina. La ragazza a un tratto riscoprì le sue radici, e pretese di servire le clienti con il Kopftuch. Venne licenziata, ma i giudici le diedero ragione. Anche perché una commessa non è una funzionaria pubblica, e una boutique non è un'aula di tribunale. Il risultato è che per prudenza si evita di assumere le giovani musulmane, anche se laiche. Non si sa mai.
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