Riprendiamo dalla STAMPA del 08/03/2018, a pag. 28, con il titolo "Spiagge e archeologia sulla Riviera d’Israele", il commento di Fabiana Magrì.
Zichron Ya’akov
Sulle pendici del Monte Carmelo, dove l’aria è buona e la vista spazia sulle più belle spiagge della costa, negli Anni 70 e 80 l’Histadrut, il sindacato israeliano, concedeva ai lavoratori del settore pubblico qualche giorno di riposo - vacanza era un concetto guardato con sospetto dall’ideale socialista - al sanatorio Mivtachim di Zikhron Ya’aqov. Gioiello brutalista a firma dell’israeliano Jacob Rechter e vincitore nel 1973 dell’Israel Award per l’architettura, il serpente bianco di cemento dalla forma ondulata che segue le curve della collina e sembra fluttuare nel vuoto, è sempre lì, ben visibile dalla strada.
Zichron Ya’akov
Ancora oggi è una struttura d’accoglienza ma già dal nuovo nome, Elma Art Complex Luxury Hotel, si capisce quanto la società israeliana si sia trasformata. Cartina al tornasole delle vicissitudini del partito laburista, dopo un tentativo di conversione a hotel negli Anni 90 le piccole stanze del sanatorio caddero in disgrazia e il centro chiuse i battenti nel 2004. L’anno dopo la proprietà passò dal Mivtachim Pension Fund a Lili Elstein, filantropa, mecenate delle arti, moglie del tycoon del colosso farmaceutico Teva e terza generazione di quei coloni che, arrivati dagli Usa nel 1881, seguirono Edmond B.J. de Rothschild per fondare Zikhron Ya’aqov («il ricordo di Giacobbe», in ebraico, omaggio a James, padre del barone Rothschild). Dopo un necessario ma rispettoso restauro - completato da Amnon, figlio dell’architetto Rechter - tre anni fa la struttura è rinata: arredamenti di design, una spa, due piscine, un ristorante, opere d’arte (tra cui la splendida serie di foto La sposa salata di Sigalit Landau), il club The Cube e una sala concerti da 450 posti con un’acustica perfetta, due pianoforti a coda Steinway e un organo a canne Orgelbau Klais progettato su misura. La quasi novantenne signora si è stabilita in una delle suite dell’Elma e può capitare di incontrarla ai concerti. Chissà cosa potrebbe raccontare, la discendente Elstein, di Aaron e Sara Aaronsohn, i due fratelli che misero su la rete di spionaggio ebraico Nili a sostegno degli inglesi contro i turchi nella I guerra mondiale. I destini delle famiglie Elstein e Aaronsohn devono essersi certamente incrociati negli anni commemorati nella casa museo Beit Aaronsohn, pagina controversa e avvincente della storia del pre-Stato ebraico.
Stretta fra il Libano e la Striscia di Gaza, la costa israeliana è un segmento di appena 200 chilometri di Mediterraneo ma il rapporto tra distanza e abbondanza di storia e storie non è minimamente proporzionale al tempo che s’impiegherebbe per percorrerla. Ai piedi di Zikhron Ya’aqov, il kibbutz di Ma’agan Michael, il villaggio arabo Jisr al-Zarqa e la storica Cesarea sono l’esempio della concentrazione di complessità e fascino in un tratto lungo nemmeno 20 chilometri.
Ma’agan Michael
Ma’agan Michael
Grandi piscine artificiali separano la strada dalla spiaggia e dal mare. Sono le vasche di acquacoltura, una delle industrie portanti del kibbutz Ma’agan Michael oltre alla produzione di materie plastiche. Fondato nel 1949, oggi Ma’agan Michael è tra i più densamente popolati ed eterogenei kibbutz in Israele nonché tra i più ricchi. La spiaggia è frequentata quasi esclusivamente da israeliani che, durante la lunga bella stagione, costruiscono «kanta» o «zoola» (slang per «campeggi in spiaggia»), ampi tendoni che arredano addirittura con divani di seconda mano, materassi e barbecue, per soggiorni anche lunghi. Entrare in sintonia con gli inquilini dei «kanta» è semplice, purché ci si presenti con birre e snack da condividere. Il confine tra Ma’agan Michael e Jisr az-Zarqa, l’unico villaggio arabo musulmano lungo la costa di Israele, è Tel Taninim (in ebraico «collina dei coccodrilli»). Il promontorio è la riserva naturale con la sorgente d’acqua più pulita di Israele e una diga del periodo tardo romano-bizantino da cui partiva l’acquedotto che serviva Cesarea.
Jisr az-Zarqa
Jisr az-Zarqa
Jisr az-Zarqa non è un villaggio di pescatori da cartolina. Gli abitanti non sono riusciti a stare al passo con i tempi e oggi la popolazione è tra le più povere del Paese. Schiacciato tra le comunità benestanti del kibbutz a Nord e di Cesarea a Sud, per molti anni il villaggio è caduto in un cono d’ombra e oblio ma ultimamente Jisr az-Zarqa sta recuperando terreno. Il merito è anche di un imprenditore arabo israeliano originario del villaggio e di una donna ebrea di un vicino paese, avvocato e istruttrice subacquea. Ahmad Juha e Neta Hanien hanno avviato insieme la Juha’s Guesthouse, impresa sociale che crea impiego per la comunità di Jisr az-Zarqa e soddisfa escursionisti e viaggiatori che hanno l’opportunità di sperimentare il calore e la cordialità dei locali.
Cesarea
Cesarea
Da Jisr az-Zarqa al parco archeologico di Cesarea si arriva anche a piedi, con una passeggiata di 5 chilometri lungo la spiaggia in uno dei tratti più semplici e accessibili dell’Israel National Trail. Non capita tutti i giorni di prendere il sole e fare un tuffo a pochi metri dalle rovine di un acquedotto romano. Il porto di Cesarea, costruito da Erode il Grande, è oggi un parco archeologico che conserva le tracce del passaggio di romani, bizantini, musulmani, crociati e mamelucchi e il teatro romano ospita spesso concerti di artisti israeliani e internazionali. Gli scavi sono sempre in corso tanto che poche settimane fa è emerso un raro e bellissimo mosaico romano del II-III secolo con un’iscrizione in greco antico. Il centro residenziale di Cesarea è un susseguirsi di ville di ricchi industriali, imprenditori, politici, pop star e sportivi, in particolare golfisti di professione. Quello di Cesarea è l’unico golf club internazionale di Israele, fondato negli Anni 60 dalla famiglia Rothschild e completamente ripensato e ridisegnato dal famoso designer di campi da golf Pete Dye nel 2009. Anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu si gode la sua casa al mare quando è libero dagli impegni istituzionali. Quel che è certo è che non frequenta l’ottimo ristorante Helena al porto perché «sa che non è un posto per lui», secondo lo chef Amos Sion. Di poche ma decise parole, con le sue interpretazioni creative dei classici piatti della tradizione levantina, Sion rappresenta una proposta culinaria di qualità in un contesto turistico che altrove rischia di deludere le aspettative.
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