Operazione 'Sinai 2018'
Analisi di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)
Forze egiziane nel Sinai
Il 9 febbraio scorso l’esercito egiziano ha lanciato un attacco su larga scala denominato “ Sinai 2018”,nella provincia del Sinai auto proclamatosi parte dello Stato islamico. Conosciuta come “Ansar Beit Al Makdess” , questa organizzazione ha devastato la parte settentrionale della penisola, che è la più popolata e più sviluppata e confina con lo Stato di Israele. Non è chiaro cosa sia stato ottenuto finora ma i jihadisti stanno ancora combattendo. Più o meno tre settimane dopo, il 27 febbraio, i media egiziani hanno informato che Mohamed Fried, il comandante in capo dell’esercito, aveva chiesto a Abdel al Sisi di continuare l’operazione di almeno tre mesi. Il presidente, in alta uniforme per mostrare la propria determinazione, stava inaugurando una nuova base anti-terrorismo in una località segreta nella zona sud del Canale di Suez. Fried disse che l’esercito operava in condizioni difficili in aree a forte densità di popolazione dove i terroristi fanno uso di ordigni esplosivi fatti in casa che causano pesanti danni. Per cui i jihadisti, anche se indeboliti, costituiscono pur sempre una seria minaccia alle popolazioni locali e al prestigio del presidente che nelle prossime elezioni del 26-28 marzo mira a un secondo mandato. Ci sono anche due potenziali minacciosi scenario: un mega attacco terroristico durante la campagna elettorale e simultaneamente un altro attacco ai seggi elettorali per distruggere il processo elettorale. Non vi sono giornalisti al seguito dell’esercito, per cui l’informazione viene distribuito con parsimonia dai portavoce o da fonti militari anonime, per cui non c'è modo di verificarne l'accuratezza.
Terroristi affiliati allo Stato islamico nel Sinai
Da quel che ne sa, le forze di terra, aeree e navali sostenute dalle unità di sicurezza operano soprattutto nel Sinai del nord, anche se un secondo fronte è stato aperto a ovest del Cairo, dove sono stati avvistati gruppi di terroristi operanti anche nelle aree desertiche lungo il confine libico, dove si svolge un considerevole contrabbando di armi, munizioni,missili e esplosivi. Le pattuglie della marina pattugliano le coste del Mediterraneo e il Mar Rosso per impedire ai terroristi di infiltrarsi nel paese o tentare di fuggire. Citando una fonte militare anonima, il quotidiano Al Masry al Yom stimava in 35.000 il numero dei soldati impiegati in questa operazione, senza contare la polizia e altre forze di sicurezza. Il 22 febbraio il portavoce ufficiale dell’esercito Tamer Alrafati ha comunicato che finora erano stati uccisi 71 terroristi, arrestati 1852 persone sospettate di crimini o appartenenti allo Stato islamico, molti poi rilasciati dopo essere stati interrogati. Sono poi stati distrutti 158 obiettivi dalle forze aeree e 413 dal fuoco dell’artiglieria. Sono stati distrutti anche 1282 nascondigli utilizzati dai terroristi per immagazzinare armi e munizioni e preparare esplosivi, oltre a nascondere le attrezzature e le forniture necessarie per il funzionamento delle loro attività come tende, forniture mediche e medicinali. Questi nascondigli servivano anche da centri amministrativi. Sono poi stati scoperti tre tunnel che comunicano con la Striscia di Gaza. L’esercito ha sequestrato 31 motocicli privi di targa, 53 coltivazioni di hashish sono state distrutte e 39 tonnellate di droghe sono state confiscate. Queste cifre dimostrano la portata dell'operazione, che senza dubbio ha inferto un duro colpo all'organizzazione terroristica, tuttavia non è stata ancora "totalmente sradicata" e questo è stato l'obiettivo di Sisi nel lanciare l'attacco. Le cifre mostrano anche il modo in cui il cosiddetto Stato islamico si stava finanziando nel Sinai settentrionale - nelle aree desertiche e montuose, nonché tra le popolazioni civili. Non è chiaro quanti terroristi ci siano - le stime vanno da poche centinaia a molte migliaia. Se questi numeri sono affidabili, l'uccisione di solo 71 terroristi non ha ridotto in modo significativo i loro ranghi.
Il 27 febbraio, durante l'inaugurazione della nuova base, un portavoce dell'esercito ha rilasciato il dodicesimo comunicato sin dall'inizio dell'operazione. Uno spettacolare attacco terroristico è stato evitato quando l'esercito ha affrontato ed eliminato un gruppo di terroristi con cinture esplosive che intendevano farsi saltare in aria tra le truppe. Sette terroristi armati sono stati presi dopo un conflitto a fuoco. Il 1 ° marzo, secondo il comunicato n°13, altri 13 terroristi sono stati uccisi e diversi obiettivi distrutti. Tuttavia i jihadisti riescono a eludere con successo gli attacchi dell'esercito e a programmare nuove operazioni, anche so finiscano catturati o uccisi. Secondo i dati rilasciati dall'esercito, solo due ufficiali e meno di dieci soldati sono stati uccisi in conflitti a fuoco. Il presidente Sisi, era particolarmente partecipe incontrando ufficiali e civili per sottolineare che il lancio di un'operazione militare su vasta scala era stata una necessità assoluta e l'unico modo per ripristinare la stabilità non solo nella penisola del Sinai, ma in tutto l'Egitto. L'esercito non si sarebbe fermato finché lo Stato islamico non fosse stato completamente eliminato. Nel frattempo, le popolazioni civili che hanno sofferto pesantemente in passato per gli attacchi terroristici continuano a soffrire a causa dei combattimenti. L'anno scorso i jihadisti hanno preso di mira i civili, uccidendo 300 persone in preghiera nella moschea di Rode di El Abid. Avevano precedentemente assassinato in pochi giorni sette membri della comunità cristiana copta minacciando di ucciderli tutti. L'intera comunità - 160 famiglie copte che vivono a El Arish e nel nord del Sinai - vide le scritte sul muro. Senza nessuno che li proteggesse, fuggirono e trovarono un rifugio temporaneo a Port Said, sperando di tornare un giorno. Sfortunatamente, le operazioni militari finora hanno solo contribuito alla miseria della popolazione civile. Le scuole sono chiuse, molte strade sono bloccate al traffico civile e in diversi luoghi è stato proibito alle persone di lasciare le loro case per diversi giorni. Cibo e medicinali sono difficili da reperire.
Le autorità si sono offerte di mandare autobus per trasferire i bambini, in modo che possano frequentare scuole nel Sinai meridionale e persino nell'Egitto continentale, ma finora senza successo e non c'è nessuna soluzione in vista. Con i jihadisti indeboliti, ma ancora una forza da non sottovalutare, l'esercito egiziano dovrà prolungare l'operazione per un lungo periodo. Ritirarsi ora significherebbe negare l'effetto dei risultati raggiunti finora. Ecco perché il comandante in capo dell'esercito ha richiesto altri tre mesi. Israele sta seguendo da vicino gli sviluppi dall'altra parte del confine e secondo quanto riferito fornirà all'Egitto informazioni indispensabili. Ha anche accettato di lasciare che il suo vicino trasferisca truppe nel Sinai in numero di gran lunga più grande rispetto a quanto era stato stabilito nell'accordo di pace tra i due paesi. Eliminare la minaccia del terrorismo e assicurare la stabilità del regime sono di fondamentale importanza per la sicurezza di Israele.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 2002 al 2004. Dal 1989 al1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta