Il ghetto di Venezia secondo Rainer Maria Rilke Commento di Elena Loewenthal
Testata: La Stampa Data: 02 marzo 2018 Pagina: 27 Autore: Elena Loewenthal Titolo: «Rilke racconta il ghetto di Venezia»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/03/2018, a pag. 27 con il titolo "Rilke racconta il ghetto di Venezia" il commento di Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal
La copertina (ed. Dehoniane)
«Il ghetto come piccola patria e il mondo intero, senza frontiere, come grande patria», scrive Riccardo Calimani nella sua nota di lettura a margine di un piccolo, grande gioiello firmato Rainer Maria Rilke e ora tradotto da Fabrizio Iodice per le Edizioni Dehoniane di Bologna con il corredo del testo originale tedesco: Una scena dal ghetto di Venezia.
È il ghetto per antonomasia, dove nel 1516 il Senato veneziano decretò che andavano concentrati tutti gli ebrei della città: un luogo fisico ma prima ancora mentale. Protagonista di una storia lunga e spesso tragica, eppure carico di fascino, di nostalgie vicine e lontane. Sono quelli che Calimani definisce per l’appunto «gli aspetti paradossali di questa dicotomia inestinguibile». Perché nel ghetto di Venezia abita da sempre un magico equilibrio in cui forza centrifuga e forza centripeta si neutralizzano a vicenda ed è come se il tempo stesse fermo lì in mezzo, in quel Campo di Ghetto Nuovo che è la seconda piazza della città per estensione, eppure è chiusa tra le mura del quartiere, dietro cancelli che un tempo venivano sprangati.
Rilke si fa guidare dentro il ghetto, dove scopre una storia piena di poesia e dolcezza. Dapprima ce lo descrive per quel che vede e sente, ma poco dopo, «appena si fa buio», la storia cala nel tempo per andare a trovare una fanciulla di nome Ester che è buona e bella come in ogni fiaba che si rispetti, e vive con un vecchio nonno che amorevolmente accudisce. Assieme a Ester c’è un nobile veneziano che si chiama Marcantonio ma non lo è di fatto. Ma il vero protagonista è il mare, che anche se abita Venezia come vene di un corpo, in fondo dalla città appare più lontano che mai, fors’anche irraggiungibile. Se è vero che Rilke non chiama neanche «racconto» bensì «scena» queste pagine, lo è non meno la loro capacità di trattenere il lettore. Sono davvero belle. Il corredo del testo originale aiuta a orientarsi nel ghetto chi padroneggia la lingua tedesca, mentre la nota finale di Calimani è un excursus nella storia di un luogo unico e della sua famiglia, che qui è di casa da molto tempo.
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