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La Stampa Rassegna Stampa
28.02.2018 Israele-Arabia Saudita-Russia: le iniziative di Trump
Analisi di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 28 febbraio 2018
Pagina: 11
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «L'oro nero è la nuova arma di Trump, così frenerà il potere di Putin in Europa-Il Pentagono lancia l'allarme 'La Russia può usare l'atomica'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/02/2018, a pag. 11/12, due servizi di Paolo Mastrolilli, interessanti perchè dovrebbero smentire la supposta collaborazione tra Trump e Putin, tanto declamata durante la campagna elettorale del primo. Visto come proseguono i rapporti fra i due sarebbero opportuni alcuni esami di coscienza da parte dei cosiddetti esperti che avevano messo in giro la bufala. Perlatro mai dimostrata!

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Paolo Mastrolilli

Ecco i due articoli:

L'oro nero è la nuova arma di Trump, così frenerà il potere di Putin in Europa

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Con un discorso pronunciato alla fine di gennaio, il presidente Trump ha cambiato ufficialmente l’obiettivo della politica americana dall’indipendenza, al dominio energetico. Il termine che ha usato è stato «energy dominance». Questa nuova linea si declina su due fronti: quello interno, per favorire la crescita e creare lavoro; e quello esterno, per potenziare l’influenza globale degli Stati Uniti, e contrastare i rivali che usano l’energia come arma di ricatto. A partire dalla Russia. Infatti la nuova strategia per la sicurezza nazionale, pubblicata a dicembre, ha reso esplicito questo scopo geopolitico, chiarendo che Washington intende «aiutare i suoi alleati a difendersi da chi sfrutta l’energia come strumento di coercizione». Il dominio energetico americano si basa su tre prodotti: petrolio, gas e carbone. I primi due sono strategici, mentre il terzo è obsoleto, ma va aiutato perché è una promessa elettorale fatta dal presidente ai minatori. La crescita nella produzione è dovuta a due fattori: il progresso tecnologico, che ha facilitato l’estrazione dello «shale» (lo scisto), soprattutto in North Dakota e Texas; e ora la decisione presa da Trump di allargare le esplorazioni in 47 nuovi siti, dall’Alaska agli oceani. Sul piano economico il vantaggio è evidente: l’aumento della produzione genera ricchezza e lavoro, a patto di conservare un prezzo abbastanza alto per giustificare gli investimenti necessari alle estrazioni di scisto e la ricerca dei futuri giacimenti. Su quello geopolitico gli effetti sono più ampi. Il primo è che incrementando le risorse interne, gli Usa diventano non solo indipendenti da quelle esterne, ma anche capaci di esportare, influenzando prezzi e rapporti di forza. Già l’amministrazione Obama aveva cancellato il divieto di vendere all’estero petrolio e gas. Con Trump il commercio dell’energia è stato accelerato, provocando un forte impatto su vari fronti. Gli Usa mandano gas liquido e petrolio in Europa, dalla Croazia alla Polonia, consentendo a questi Paesi di diminuire la loro dipendenza dalla Russia, e quindi il potere di ricatto di Mosca. Nelle settimane scorse, poi, la prima superpetroliera Usa è salpata dal Louisiana Offshore Oil Port alla volta dell’Asia. Vendendo petrolio in Cina, e negli altri paesi del Pacifico, la Casa Bianca punta a due obiettivi: ridurre il deficit commerciale, ma soprattutto chiudere il mercato al Cremlino, sottraendo ricavi e influenza politica a Putin. Le esportazioni americane, infine, mettono sotto pressione anche il Medio Oriente. A partire dall’Arabia Saudita, che ha bisogno di un prezzo al barile sopra ai 70 dollari per pareggiare il suo bilancio, e può essere spinta a collaborare anche su altri progetti americani, come la proposta di pace tra israeliani e palestinesi che il genero di Trump Jared Kushner sta per presentare. Infine la riduzione delle importazioni Usa può essere usata per mettere in ginocchio il Venezuela, primo esportatore in America. Naturalmente questa strategia deve trovare un equilibrio nel prezzo, perché gli azionisti delle compagnie petrolifere già si lamentano per i bassi profitti dello shale, che diventerebbe insostenibile sotto i 60 dollari. «Gli Usa - ci spiega l’analista di Citibank Ed Morse - sono già il più grande produttore mondiale di liquidi, sopra Russia e Arabia. Ma le conseguenze reali non sono nelle dimensioni, quanto nell’impatto sui mercati globali. Gli Usa hanno guadagnato fette di mercato a spese di Arabia e Russia, mentre l’Opec e altri Paesi congelavano la produzione. Questa espansione è avvenuta anche in Cina, a danno di altri esportatori. Ciò solidifica il ruolo del dollaro come moneta per i commerci, minando l’obiettivo di Pechino di rimpiazzare il petrodollaro con il petroyuan». Un risiko globale, insomma, che se funziona fa guadagnare gli Usa sul piano interno, consentendo loro di contenere Russia, Cina, e altri potenziali rivali o nemici.

Il Pentagono lancia l'allarme 'La Russia può usare l'atomica'

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'Satan 2' la nuova arma atomica russa

La Russia si prepara all’uso limitato delle armi atomiche in caso di conflitto, e gli Stati Uniti hanno cambiato la loro strategia nucleare proprio per prevenire questo rischio. A lanciare l’allarme è stato il vice sottosegretario alla Difesa David Trachtenberg, incaricato di gestire le scelte di policy del Pentagono, durante un convegno organizzato lunedì dalla Heritage Foundation, una delle think tank conservatrici più vicine all’amministrazione Trump. Cambia la dottrina «Noi - ha spiegato Trachtenberg - siamo estremamente preoccupati per quella che abbiamo visto come l’evoluzione della politica militare russa, riguardo al potenziale uso delle armi atomiche». Quindi ha chiarito i dettagli dell’allarme: «La dottrina nucleare di Mosca sembra considerare attivamente la possibilità di un uso limitato di queste armi. In certi casi, le recenti esercitazioni militari russe hanno incluso un livello di attività che coinvolgeva le forze nucleari, come non lo avevamo visto dall’epoca più intensa della Guerra Fredda. Alcune operazioni hanno compreso l’uso simulato di armi atomiche, come parte di quella che viene definita una “escalate to deescalate strategy”», ossia la strategia di accelerare lo scontro per fermarlo. La rivelazione del dirigente del Pentagono è sorprendentemente esplicita: i russi considerano realistica la possibilità di usare il loro arsenale nucleare, e si sono preparati a farlo, simulandone l’impiego nel teatro di guerra. Questo ha spinto gli Stati Uniti a cambiare la loro strategia, attraverso la revisione della «Nuclear Posture Review», appena pubblicata dal Pentagono. Il documento rilancia il ruolo delle armi atomiche, sollecitando in particolare lo sviluppo di quelle definite a «low intensity«, cioè piccoli ordigni tattici più facili da usare. Quando era uscito, gli osservatori lo avevano interpretato come una pericolosa accelerazione verso potenziali conflitti nucleari, ma Trachtenberg ha spiegato che in realtà il processo della sua elaborazione è stato l’inverso: «L’obiettivo delle nostre raccomandazioni è impedire una guerra, non combatterla. Se le armi nucleari vengono impiegate in un conflitto, è perché la deterrenza ha fallito. Lo scopo della Nuclear Posture Review del 2018 è proprio garantire che la deterrenza non fallisca». La Guerra Fredda In sostanza un ritorno alla strategia della Guerra Fredda, generata dal timore che Mosca sia pronta ad usare gli ordigni atomici, nella nuova versione a potenza limitata. E non soltanto Mosca: «Il nostro proposito ora è eliminare dal pensiero non solo della leadership russa, ma di qualunque potenziale avversario, la nozione che possa esistere un qualche livello di conflitto o di escalation da intraprendere, senza esporsi al rischio di una risposta commisurata». In altre parole, Washington ha osservato le esercitazioni in cui Mosca si è preparata ad usare le armi nucleari a bassa intensità, e ha reagito rilanciando lo sviluppo delle proprie, per chiarire che l’eventuale impiego di questi ordigni sarebbe seguito da una rappresaglia analoga. Una linea molto simile a quella della deterrenza, scelta durante la Guerra Fredda per scoraggiare l’uso di bombe e missili assai più potenti. «Le nostre raccomandazioni - ha concluso Trachtenberg - sono basate su una realistica valutazione del clima strategico attuale», in cui Russia, Cina e Corea del Nord stanno sviluppando gli arsenali nucleari.

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