Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/02/2018, a pag.2 con il titolo "Iran alle porte, Israele si scopre debole" il commento di Vincenzo Nigro
Se chi ha fatto il titolo avesse letto il pezzo di Nigro, non l'avebbe titolato "
Iran alle porte, Israele si scopre debole". Un aggettivo che riflette piuttosto come la pensano al desk esteri. Nigro scrive invece che i responsabili della sicurezza di Israele sono 'preoccupati', e chi non lo sarebbe di fronte a un Iran che vuole impadronirsi del Medio Oriente.
Vincenzo Nigro
TEL AVIV L'Iran alle porte di Israele. «Non ho mai avuto paura, mai. In questa regione Israele è sempre riuscito a godere di una situazione di solidità strategica che nei momenti più difficili ci dava possibilità di sperare. Adesso, diciamo, ho qualche timore... dovremo lavorare di più... »."Timore", è il massimo che si riesce a far ammettere a Siva Shine. Questa donna sui 60 anni adesso lavora all'Inss, l'istituto di studi per la sicurezza di Israele, ma fino a ieri è stata il capo dell'unità di analisi del Mossad, dopo essere stata per anni prima agente operativo e poi una dei coordinatori dell'intelligence in vari governi. «Sappiamo, tutti noi, che le cose sono cambiate, e anche molto: adesso che l'Iran è alle porte, e non è uno scherzo». Dopo l'abbattimento del drone iraniano entrato in Israele, e dopo la perdita dell'F-16 al confine con la Siria, dopo quello che sta succedendo ad Affin fra turchi, curdi, siriani e russi, tutte le rotelline del sistema di sicurezza e di intelligence israeliano si sono rimesse in moto, silenziose ma impazzite. Nella piccola palazzina dell'Inss alla periferia di Tel Aviv le riunioni si inseguono a catena, in vari formati: militari, esperti di Iran, di Russia, di Turchia. Ma anche esperti di politica intema, perché ancora una volta il "fronte interno", con il premier Netanyahu impegnato a difendersi da ben 4 inchieste giudiziarie, potrebbe essere fonte di mille problemi. Una serie di incontri con ricercatori, giornalisti, uomini delle forze armate chiesti dopo l'abbattimento dell'F-16 offrono varie conferme. Primo: ormai la "superpotenza" nella regione è la Russia di Putin. Il grande alleato americano, con tutta l'amicizia fra Trump e Netanyahu, con le portaerei al largo di Israele e centinaia di cacciabombardieri pronti, sembra «un ricco signore in pensione, incapace di gestire i milioni del suo conto in banca». Secondo: per la Russia è già arrivato il momento delle scelte difficilissime: «Quella che ci riguarda direttamente è chiara», dice Amos Harel, analista di Haaretz, «devono scegliere se sostenere Israele o l'Iran adesso che in Siria siamo arrivati a scontrarci direttamente». Terzo: la Russia dovrà fare scelte ancora più complesse. Scelte difficili, peresempio fra turchi e curdi, fra turchi e i siriani di Assad. Con la presenza di Iran, benedetta per la guerra di Siria, ma ormai assai ingombrante, adesso Mosca avrà altri problemi. «Netanyahu in poco più di un anno è stato a Mosca sette volte: sette volte per parlare con Putin. Si è portato i capi militari, i capi dell'intelligence, quelli dell'aviazione: per avvertire Mosca di quello che poi è accaduto, che gli iraniani non si sarebbero fermati e che noi, se loro continuano, dovremo fermarli», dice una fonte vicini all'Idf, l'esercito israeliano. Per questo Israele ha deciso, almeno a parole, di cambiare messaggio, di cambiare obiettivo. Adesso Israele minaccia direttamente Teheran, come ha fatto il generale Nitzan Alon: «Fino ad oggi i nostri avvertimenti erano stati verso il Libano, verso la Siria. Dicevamo chiaramente "vi riporteremo all'età della pietra", colpiremo direttamente il regime di Assad. Ma ormai è chiaro, non è Assad, non è Hariri che controlla il gioco: è Teheran. E noi colpiremo lì». E così anche sui giornali vengono fatte filtrare notizie su riunioni della Israeli Air Force in cui si pianificano attacchi a obiettivi strategici dentro l'Iran. Teheran ha capito perfettamente, e adegua la sua propaganda. Fino a qualche tempo fa "distruggeremo Israele" (anzi "l'entità sionista") era come una giaculatoria, un rito verbale violento ma consuetudinario. Ieri Moshen Rezai, uno dei capi del sistema politico-religioso, ha parlato come un militare: «Tel Aviv sarà rasa al suolo se il regime israeliano dovesse compiere azioni militari contro la Repubblica islamica. E anche lui, come fanno spesso gli stessi israeliani, lancia un avvertimento personale, quasi mafioso: «Le nostre forze militari non daranno alcuna possibilità di fuggire a Netanyahu se farà una mossa poco saggia», dice Rezai. Una guerra di parole. Che due sabati fa, sui cieli di Una Siria ormai provincia iraniana, pere la prima volta è diventata una guerra combattuta.
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