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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
20.02.2018 Iran come Hitler: i partiti dicano da che parte stanno
Commenti di IC, Alberto Simoni, Daniele Raineri

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Alberto Simoni - Daniele Raineri
Titolo: «Teheran apre al dialogo sul nucleare - Il deal atomico con l’Iran non basta più, diplomatici al lavoro»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/02/2018, a pag.17 con il titolo "Teheran apre al dialogo sul nucleare" il commento di Alberto Simoni; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Il deal atomico con l’Iran non basta più, diplomatici al lavoro", il commento di Daniele Raineri.

A destra: Iran ed Europa

L'Iran di oggi è l'equivalente di quello che era la Germania di Hitler negli anni Trenta. Il feroce regime degli ayatollah, se lasciato libero di agire senza freni dall'Occidente, provocherà la Terza guerra mondiale. Per questo chiediamo ai partiti, in vista delle elezioni del 4 marzo, di dire chiaramente da che parte stanno, in modo che i cittadini possano regolarsi decidendo a chi dare il proprio voto. E' necessario, inoltre, che i cittadini conoscano i nomi dei diplomatici europei e italiani che siederanno con i rappresentanti della dittatura clericale sciita per ridiscutere l'accordo sul nucleare voluto da Obama. L'unico che dimostra di saper usare il cervello è Trump, ci auguriamo che non prevalga l'appeasement targato UE (Mogherini), Farnesina (diplomazia) Bonino (+ Europa, cioè +Islam) ecc.

Dai quotidiani di oggi riprendiamo il commento di Alberto Simoni, che pur informando sulla situazione contiene alcune ambiguità, e in particolare considera Donald Trump non la soluzione - come invece dovrebbe sottolineare - ma una parte del problema della relazione Occidente/Iran.

Del tutto condivisibile, invece, il commento di Daniele Raineri, presentato però dal Foglio con un titolo debole, che non chiarisce la natura criminosa del regime iraniano.

Pubblichiamo infine le righe finali della cronaca di Giordano Stabile, presentata dalla Stampa a pag. 17, che rende conto delle indispensabili misure prese da Israele per contrastare il pericolo rappresentato da Hezbollah e Iran. Eccole:

Immagine correlata
Giordano Stabile

... Del passo falso approfitta Israele. Dal 2013, quando è cominciato l’intervento di Hezbollah e dei Pasdaran, ha compiuto un centinaio di raid contro depositi e convogli di armi iraniane. Ma ora il suo intervento è più diretto: nell’area del Golan, è emerso, appoggia con armi e finanziamenti sette gruppi ribelli anti-Assad. Netanyahu aveva chiesto ai russi una zona “senza iraniani” profonda 60 km. Ne ha ottenuta una di soli 5 km. E ora passa alle contromisure.

Ecco gli articoli di Alberto Simoni, Daniele Raineri:

LA STAMPA - Alberto Simoni: "Teheran apre al dialogo sul nucleare"

Il dialogo fra Washington e l’Iran, via Europa, potrebbe riaprirsi. Il telegramma del Dipartimento di Stato che lascia trapelare la bozza di un piano Usa per riscrivere parte del Jcopa (l’accordo sul nucleare firmato il 14 luglio del 2015) è noto da poche ore quando fonti diplomatiche Usa a Monaco di Baviera, dove domenica sera è calato il sipario sulla 54a Conferenza sulla Sicurezza, rivelano che gli iraniani avrebbero offerto la disponibilità a «parlarne». Il via libera è arrivato da Javad Zarif, ministro degli Esteri di Teheran, che sempre a Monaco aveva ribadito che «l’Iran non avrebbe violato il Jcopa». La finestra di tempo per intavolare un discorso con la Repubblica islamica si chiude il 12 maggio. Quel giorno Trump comunicherà se intende rinnegare il patto del 2015. Gli iraniani hanno dato il loro assenso a discutere un accordo supplementare che non cancelli il Jcopa - che Zarif considera intoccabile - ma lo renda più efficace (e digeribile) per entrambi. La bozza del Dipartimento di Stato prevede tre opzioni: la prima è, appunto, quella di un accordo supplementare, una sorta di allegato al testo originario (ed è quella la via cui l’Iran guarda); la seconda è una nuova risoluzione dell’Onu (oggi è in vigore la 2231 del 2015); infine la terza immagina un emendamento al Jcopa. Serve però anche il coinvolgimento degli alleati europei. Ieri a Roma il vice segretario di Stato Usa John Sullivan ha spiegato che gli americani «vogliono discussioni con i partner Ue per correggere lacune e difetti dell’accordo sul nucleare». I francesi chiedono una «rigorosa implementazione» del Jpoca ma sono «impegnati - fa sapere il ministero degli Esteri in un segnale di apertura – a discutere con i partner». L’obiettivo è non farsi piegare dalla linea dura della Casa Bianca. E su questo Roma e Parigi possono contare su sponde in seno all’Amministrazione. «Il Jcopa non è perfetto - spiega un alto diplomatico Usa - ed è migliorabile. Ma è una base da cui partire. Anche il generale McMaster e il Pentagono riconoscono che l’accordo sta funzionando». Il problema è lo stesso Trump che a sentire il diplomatico Usa «vuole smontare ogni cosa ottenuta dal suo predecessore». E il riavvicinamento a Teheran è proprio uno dei successi cui Obama è più fiero.

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Il deal atomico con l’Iran non basta più, diplomatici al lavoro"

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Daniele Raineri

Roma. Si parla con sempre più insistenza della necessità di un secondo patto con l’Iran, oltre a quello firmato nel luglio 2015 che stabiliva la fine delle sanzioni economiche internazionali in cambio del congelamento per almeno dieci anni del programma di ricerca nucleare iraniano. Questo secondo patto prende atto che il governo di Teheran è impegnato in una serie di manovre militari e politiche in medio oriente che sono aggressive e pericolose e quindi il congelamento della ricerca nucleare da solo non basta se tutto il resto va avanti come se nulla fosse. Anzi, a essere più precisi prende atto del fatto che per raggiungere quell’accordo sul nucleare per anni si è taciuto sulle altre questioni in cui l’Iran è implicato, lasciando che prendessero dimensioni preoccupanti. Sabato scorso un gruppo di diplomatici di Italia, Francia e Regno Unito ha incontrato un gruppo di diplomatici iraniani a margine della Conferenza per la sicurezza di Monaco, in Germania, proprio per parlare della necessità di questo secondo accordo. Tra le manovre aggressive citate da questi negoziatori europei – molto discreti e ancora impegnati in una fase molto preliminare – ci sono la questione Siria e la questione Yemen. L’Iran sta gestendo la Siria come una piattaforma militare da usare in una possibile guerra contro Israele, ha occupato alcune basi, ha mandato un esercito di consiglieri militari e ha creato una moltitudine di milizie che in teoria non fa parte di un’armata regolare ma che in pratica è inquadrata tra le forze iraniane (il governo iraniano chiama queste forze “l’asse della resistenza”). Se il programma nucleare è congelato ma l’Iran sposta migliaia di missili nel sud della Siria a pochi minuti di volo dalle città israeliane, pronti a essere lanciati da gruppi paramilitari bene addestrati, allora dal punto di vista della pace in medio oriente la situazione è tornata di nuovo a prima del 2015 – anzi è molto più rischiosa. L’Iran potrebbe avere in mente una salva di missili “a saturazione” che potrebbe sopraffare e rendere inutili le difese missilistiche di Israele. Ieri il New York Times ha pubblicato un lungo pezzo che cerca di fare il punto della situazione e che contiene un’immagine molto chiara, la mappa in puntini rossi delle installazioni militari iraniane in Siria: un po’ dapper - tutto. Domenica il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu mentre parlava dal podio della Conferenza di Monaco ha alzato un pezzo di un drone iraniano che dieci giorni fa è entrato nello spazio aereo di Israele. Insomma, in quell’area la questione è molto sentita. Un discorso simile vale per lo Yemen, dove negli ultimi due anni un gruppo di guerriglieri del nord all’improvviso ha cominciato a colpire con missili balistici l’aeroporto internazionale della capitale saudita Riad, a più di ottocento chilometri di distanza, e ha mostrato capacità militari mai dimostrate prima. Nel caso yemenita la situazione non è chiara come nel caso siriano, la collaborazione militare degli Houthi con l’Iran dev’essere ancora provata con elementi incontrovertibili e le dimensioni del progetto sono minori, ma lo schema trasformareforze-irregolari-locali-in-alleati è uguale. Questo secondo patto – che non esiste ancora: è l’oggetto di una discussione in corso – è molto legato al primo, quello del 2015. L’Amministrazione Trump ha detto che se non si raggiunge questo secondo accordo sui comportamenti aggressivi dell’Iran entro maggio allora si ritirerà anche dal primo accordo sulla ricerca nucleare e quindi imporrà di nuovo sanzioni economiche. Il fatto che un manipolo di diplomatici europei sia al lavoro per scongiurare quest’ipotesi, assai concreta, è il primo segnale di convergenza tra Europa e America da molti mesi, dopo che la spaccatura sulla questione Iran era diventata assai evidente.

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