Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 19/02/2018, a pag. I l'analisi tratta dal Jerusalem Post dal titolo "Dopo i curdi si tradirà Israele?".
La battaglia dello scorso fine settimana tra Israele e forze siriane e iraniane segna un nuovo capitolo nel riallineamento delle potenze in atto in medio oriente. Eppure, mentre Russia, Turchia e Iran continuano ad affermarsi nella regione costituendo una sorta di asse di potenze, l’America è gravemente assente dall’equazione geopolitica. Il mese scorso, alla Stanford University, il segretario di stato americano Rex Tillerson ha delineato una nuova politica siriana che, almeno ufficialmente, postula l’ampliamento degli obiettivi statunitensi in Siria al di là della lotta contro lo Stato islamico. Tillerson ha parlato del mantenimento di una forza militare in Siria non solo per combattere i terroristi affiliati a Isis e al Qaeda, ma anche per contrastare la perniciosa influenza dell’Iran. Ha anche fatto capire che gli Stati Uniti avrebbero esteso la loro presenza militare in Siria fino a comprendere la creazione di una forza di sicurezza di confine di 30.000 uomini nel nord del paese insieme agli alleati degli Stati Uniti, i curdi. Finora, però, alle parole non sono seguiti i fatti. Pochi giorni dopo il discorso di Tillerson, la Turchia ha intensificato la sua offensiva nel nord della Siria contro le forze curde alleate con gli Usa. Forze turche appoggiate da aerei e artiglieria hanno catturato territori precedentemente controllati dalle forze curde, mentre Washington non faceva nulla. Questo voltare le spalle ai curdi siriani, il gruppo che ha fatto più di ogni altro per combattere l’Isis, lascia tristemente presagire quella che potrebbe essere la reazione degli Stati Uniti nel caso in cui Israele venisse trascinato in un conflitto diretto con Hezbollah, Siria, Iran e forse persino la Russia. L’inerzia degli Stati Uniti circa la difesa dei curdi ha conseguenze anche più ampie. Indirettamente rafforza la Russia e l’Iran, mentre la Turchia va ad aggiungersi all’elenco delle nazioni che provocano apertamente gli Stati Uniti. E mina la Nato, un’organizzazione creata per contrastare la Russia, nel momento in cui lascia mano libera alla Turchia, che è membro della Nato, per promuovere gli interessi russi. Il sostegno degli Stati Uniti è quindi fondamentale se Israele vuole continuare a godere degli spazi di manovra militare necessari per difendersi dall’Iran quand’anche tali spazi fossero osteggiati dalla Russia. Ma Tillerson è stato considerevolmente silenzioso sulla recente “giornata di guerra” fra Israele, Siria e Iran. E finora non ha nemmeno annunciato di voler modificare le tappe della sua visita in corso in medio oriente per includere una sosta in Israele. Sin dall’inizio, il suo programma che non prevedeva di fare tappa in Israele attestava il suo approccio disimpegnato. Ma i problemi circa la politica americana in Siria non sono iniziati con Tillerson. Quando Barack Obama lasciò che le sue proclamate linee rosse venissero violate senza la minima reazione, dimostrò al mondo che gli Stati Uniti non erano seriamente impegnati a risolvere la crisi siriana, e del medio oriente in generale. Non è troppo tardi perché Tillerson cambi rotta. Nonostante il forte coinvolgimento della Russia nella regione, gli Stati Uniti rimangono la nazione più potente, sostenuta dall’economia più grande e dinamica del mondo. Non agendo, l’America incoraggia l’Iran e aumenta le probabilità di guerra”.
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