Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/02/2018, a pag.8, con il titolo "Hezbollah, nuovo fronte contro Israele. Ora minaccia i giacimenti di gas", il commento di Giordano Stabile.
Ecco l'articolo:
Giordano Stabile
Hezbollah apre un nuovo fronte con Israele, contro le piattaforme marine per l’estrazione del gas, e la contrapposizione fra l’Iran e lo Stato ebraico assume contorni ancora più precisi. Da una parte l’assedio su più lati da parte delle milizie alleate di Teheran. Dal Sud del Libano con Hezbollah, dal Sud-Ovest della Siria con forze addestrate dai Pasdaran, dalla Striscia di Gaza con Hamas, movimento sunnita ma legato agli iraniani, e ora anche dal mare.
Dall’altra ci sono le azioni israeliane, sempre più muscolari, per spezzare «l’autostrada sciita» che dagli altopiani iranici scende verso la Mesopotamia, tocca Baghdad e Damasco e sfocia a Beirut sul Mediterraneo. Una sfida culminata con l’abbattimento di un drone iraniano e di un F-16 israeliano sabato 10 febbraio in una battaglia sui cieli siro-israeliani.
L’ultimo discorso del venerdì del leader del Partito di Dio libanese, Hassan Nasrallah, ha avuto però come tema principale la sfida sul gas. È stato innescato dalla visita del Segretario di Stato americano Rex Tillerson a Beirut giovedì scorso. Tillerson ha offerto la mediazione statunitense per la disputa sul confine marittimo fra Israele e il Libano. Sono soltanto 812 chilometri quadrati contesi, ma sopra il Blocco 9, la porzione di fondale più promettente per l’estrazione del gas. Hezbollah ha respinto la mediazione perché ritiene quegli 812 chilometri quadrati parte delle acque libanesi. Nasrallah è andato oltre, ha minacciato di colpire con i suoi missili le piattaforme israeliane, in particolare quella del giacimento Tamar, che fornisce tutto il fabbisogno di metano a Israele.
Nasrallah ha già evocato in passato altre azioni devastanti, come colpire il deposito di ammoniaca ad Haifa per provocare «una piccola esplosione atomica». Gli ha risposto più di una volta il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman, con la minaccia di «riportare all’età della pietra» il Libano. Ma dieci giorni fa dalle parole si è passati ai fatti. Una fiammata, o le prove generali della guerra. Il fronte sciita si sente più forte di 12 anni fa, quando Hezbollah e le forze armate israeliane si confrontarono per 33 giorni a Sud del fiume Litani. Oggi il conflitto è visto come «totale». Al fronte libanese si aggiungerà senza dubbio quello siriano. La scorsa settimana il sito filo-hezbollah Dahiyah ha rivelato che il movimento sciita conta non soltanto su «180 mila razzi e missili» in Libano, ma anche su «70 mila in Siria», compresi «1.600 a lungo raggio».
L’azione del generale Qassem Suleimani, a capo delle forze d’élite dei Guardiani della rivoluzione, ha «libanesizzato» le forze armate siriane e irachene, complici le guerre settarie degli ultimi quindici anni. In Iraq 100 mila uomini delle Forze di mobilitazione popolare, Hashd al-Shaabi, dipendono da Teheran. In Siria oltre a 10 mila uomini di Hezbollah, ci sono 40-50 mila fra iracheni e afghani, e anche Damasco ha creato le sue Hashd al-Shaabi, altri 20-30 mila miliziani. Sono forze che gli ayatollah possono spingere verso il Golan. Mentre la crisi nella Striscia di Gaza - con la mancata «riconciliazione» fra palestinesi e la Terza Intifada lanciata dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte Trump - ha spinto di nuovo Hamas verso l’Iran.
L’attacco di sabato, con quattro soldati feriti da un bomba-trappola, ha innescato ieri i raid «più massicci dal 2014». Lo Stato ebraico conta sullo strapotere dell’aviazione per avere ancora una volta ragione dei suoi nemici. Dal 2013 ha colpito con regolarità depositi e convogli di armi iraniane dirette a Hezbollah. Il 10 febbraio si è confrontato però con una reazione inattesa, ha perso un caccia per la prima volta dal 1982 e ha reagito con un’azione devastante sulle difese missilistiche siriane lungo l’autostrada sciita. Questa volta lo spettro degli avversari è più insidioso. E «i persiani» contano di riuscire laddove «gli arabi» hanno sempre fallito.
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