Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/02/2018, a pag.10, con il titolo "Teheran sotto accusa al vertice anti-Isis", il commento di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
L’Isis è stato sconfitto in Iraq, e quasi in Siria, ma bisogna far in fretta a ricostruire per non ripetere le condizioni che hanno consentito ai jihadisti di conquistare «vaste porzioni» dei loro territori. Alla Conferenza dei donatori in Kuwait ieri è stato il giorno del Segretario di Stato americano Rex Tillerson. Ha portato in dote una quota consistente, tre miliardi, della cifra necessaria per rimettere in piedi l’Iraq, stimata in 88 miliardi. Il grosso verrà dai Paesi del Golfo in una doppia mossa che punta a stabilizzare il Paese e a sottrarlo dall’influenza iraniana.
La missione di Tillerson in Medio Oriente parte dallo Stato islamico per arrivare all’Iran. Perché l’Isis rappresenta ancora una minaccia, da pseudo-Stato con un suo territorio si sta mutando «in una forza insurrezionale», dal teatro siro-iracheno si sposta «in Afghanistan, Libia, Africa occidentale, Filippine», ma dietro l’appello a non «abbassare la guardia» traspaiono le nuove preoccupazioni americane.
La prima è tenere agganciato l’Iraq alla Coalizione occidentale. Il 6 maggio si vota per un nuovo parlamento e le formazioni pro-Iran hanno creato un fronte agguerrito, forte dei successi delle loro milizie addestrate dai Pasdaran proprio nella guerra all’Isis. Per questo il disimpegno sarà graduale, «la Coalizione continuerà a perseguire i propri impegni militari», l’Italia manterrà la missione di addestramento, anche se i ranghi saranno dimezzati da qui alla fine dell’anno. Gli aiuti finanziari saranno il secondo pilastro, perché il premier Haider al-Abadi, ha avvertito che «senza aiuti esterni ricostruire è impossibile».
La seconda preoccupazione è mantenere un piede in Siria. Tillerson ha annunciato 200 milioni di aiuti per la stabilizzazione delle «aree liberate» dalle Forze democratiche siriane, alleate degli Usa. Ha sottolineato che controllano quasi «il 30% del territorio», contro il 60% dei governativi. Altri 300 milioni andranno all’addestramento dei combattenti, che devono ancora cacciare l’Isis dalle sacche rimaste lungo l’Eufrate. A complicare le cose però è arrivato l’intervento della Turchia contro i curdi dello Ypg ad Afrin. I curdi rappresentano circa i tre quarti delle Forze democratiche. Hanno spostato i loro combattenti dal fronte anti-Isis di Deir ez-Zour a quello anti-turco di Afrin.
Una ripercussione che, ha denunciato Tillerson, ha ostacolato «l’offensiva della coalizione contro lo Stato Islamico». Per gli Usa gli alleati curdi rappresentano anche una testa di ponte indispensabile a contenere l’Iran in Mesopotamia ma la risposta, indiretta, di Recep Tayyip Erdogan non fa presagire nulla di buono. Il leader turco ha attaccato i generali Usa Paul Funk e Jamie Jarrard, che avevano dato un altolà a una eventuale operazione turca anche a Manbij, e ha promesso «uno schiaffo ottomano». L’incontro con Tillerson promette scintille.
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