Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/02/2018, a pag. 23 con il titolo "La battaglia dei dissidenti anti-Putin", il commento di Gianni Vernetti.
Gianni Vernetti
Il Consiglio Comunale di Washington Dc ha approvato all’unanimità il «Boris Nemtsov Plaza Designation Act» con il quale la porzione di Wisconsin Avenue di fronte all’Ambasciata della Federazione Russa è stata dedicata alla memoria di Boris Nemtsov, uno dei più brillanti leader dell’opposizione democratica e liberale russa, ucciso a Mosca il 27 febbraio del 2015 a pochi passi dal Cremlino.
Vladimir Putin
Un piccolo gesto topografico e forse l’indicatore che fra le due sponde dell’Occidente qualcosa si muove per sostenere i tanti nuovi dissidenti che da Mosca a Vladivostok, si battono per una Russia con più libertà, Stato di diritto, stampa libera e magistratura indipendente. Sono i giovanissimi dell’organizzazione «Sciopero degli Elettori» che nei giorni scorsi in oltre cento città della grande Russia sono scesi in piazza per protestare contro l’arbitraria esclusione dalla corsa presidenziale del prossimo 28 marzo del carismatico blogger Aleksej Navalny.
Putin, senza veri avversari e senza una vera competizione elettorale, verrà rieletto presidente per la quarta volta, ma nel grande Paese euroasiatico iniziano nuovamente a farsi sentire le tante voci del dissenso. L’opposizione democratica nella Russia post-sovietica ha una storia travagliata, fatta di iniziative politiche spesso minoritarie ed elitarie, incarcerazioni, esili e morti violente.
Tutto ha inizio nel 1993 con la nascita di Jabloko, il primo partito liberale, europeista e filo-occidentale russo guidato da Grigorij Javlinskij che non ha mai superato il 6-7% dei consensi, ma che è stato l’incubatore di tutti i leader liberali di questi anni.
E dopo anni di risultati poco esaltanti, lo scorso 11 settembre la lista «Democratici Uniti», guidata da Dmitry Gudkov, e composta da esponenti di Jabloko e Solidarnost, ha eletto centinaia di consiglieri nelle elezioni locali.
Solidarnost fu fondata da Boris Nemtsov, uno degli artefici dell’introduzione dell’economia di mercato e delle privatizzazioni in Russia e una delle voci più autorevoli e rispettate dell’opposizione liberale: prima di essere ucciso denunciò l’annessione illegale della Crimea e l’intervento militare russo nell’Est dell’Ucraina, denunciando la volontà di Putin di creare uno Stato fantoccio (Novorossiya) nella regione del Donbass.
In esilio volontario negli Usa è invece Garry Kasparov, il più volte campione del mondo di scacchi che nel suo ultimo libro «L’inverno sta arrivando» (Fandango) ha preso in prestito il motto della popolarissima serie televisiva «Games of Thrones» per spiegare «perché Vladimir Putin e i nemici del mondo libero devono essere fermati».
Garry Kasparov è stato a lungo leader dell’opposizione democratica e fra gli ispiratori delle grandi manifestazioni della Piazza Bolotnaya, quando in centinaia di migliaia scesero in piazza per denunciare le troppe irregolarità delle elezioni presidenziali del marzo 2012. Prima dell’esilio a New York è stato arrestato durante un sit-in per la liberazione delle giovani musiciste del gruppo punk Pussy Riot.
E infine Aleksej Navalny, leader della Coalizione democratica che unisce il Partito del Progresso e il Partito della Libertà (Rpr-Parnas), due formazioni della galassia liberale russa. Navalny è oggi il simbolo della lotta alla corruzione e con il suo sito «Rospil» analizza le spese dello Stato e critica inefficienza e corruzione. È estremamente popolare fra giovani e ceto medio professionale della nuova Russia e la sua esclusione dalla corsa presidenziale è stato un segno di debolezza di Putin.
Qualcosa si muove dunque nella grande Russia e l’Occidente non dovrebbe compiere l’errore di lasciare soli quanti si battono per più libertà e democrazia.
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