Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/02/2018, a pag.2, con il titolo "Il Vaticano chiede al leader turco maggiore tutela per i cristiani" la cronaca di Francesca Paci.
Il Papa riceve con tutti gli onori il dittatore islamista Erdogan ed è compiaccente nei confronti delle sue richieste. E' così che devono comportarsi le democrazie - per esempio Israele - per ottenere un buon giudizio dal Vaticano?
I media italiani di vario indirizzo e orientamento si genuflettono oggi davanti al Papa che accoglie Erdogan. Non stupisce che Papa Bergoglio e il dittatore turco abbiano trovato una intesa su Gerusalemme, opponendosi entrambi alla linea degli Usa e di Israele, il Paese di cui Gerusalemme è capitale.
Ecco l'articolo:
Francesca Paci
«Buongiorno» esordisce Papa Francesco accogliendo il presidente turco Erdogan nella biblioteca privata del Palazzo Apostolico, la stessa dove un anno fa aveva ricevuto Trump. «Come sta?» replica l’ospite accompagnato dalla moglie Emine, la figlia Esra e un seguito di venti persone, tra cui 5 ministri. Le prime battute dello storico incontro durato 50 minuti, ben oltre quanto previsto dal protocollo, sono per Gerusalemme, argomento di cui i due leader avevano già discusso al telefono il 7 e il 29 dicembre scorsi.
Papa Bergoglio con Erdogan
Entrambi concordano sul fatto che il riconoscimento di Gerusalemme come capitale israeliana da parte dell’amministrazione americana sia stato un errore e che si debba fare «tutto il possibile per fermare Trump» perché, nota Bergoglio, «la Città Santa delle tre religioni appartiene alle tre religioni». Erdogan annuisce a titolo proprio e della fede musulmana che, dice, rappresenta qui a Roma in quanto presidente dell’Organizzazione per la Cooperazione islamica, il cartello al cui cospetto un mese fa si era detto pronto a proclamare Gerusalemme Est capitale della Palestina.
Il Pontefice, che nella sua ultima visita ad Ankara nel 2014 aveva ricordato il genocidio armeno aprendo una piccola crisi diplomatica, è diretto: chiede di parlare di Siria, vuole sapere dei profughi in fuga verso la Grecia e l’Italia.
Fuori, sotto Castel Sant’Angelo, un presidio di curdi e attivisti dei diritti umani protesta per i raid su Afrin e finisce per venire alle mani con le forze dell’ordine. Dentro Erdogan spiega all’interlocutore la situazione degli esuli del Paese vicino e incassa il suo ringraziamento per il lavoro fatto alla frontiera. Al termine dell’udienza, durante il meeting con il Segretario di Stato Vaticano, il presidente turco, lodando l’impegno della Chiesa con i rohingya del Myanmar, accetterà l’offerta di cooperazione del cardinale Parolin consentendo all’ingresso delle associazioni cattoliche nei campi profughi al confine.
Il colloquio funziona. I due s’intendono tanto che a un certo punto decidono di procedere a braccio e spostare le carte disposte sul tavolo dai rispettivi staff. Erdogan introduce la questione della xenofobia e definisce i fatti di Macerata «islamofobi più che xenofobi», parla di un attacco contro i musulmani, ribadisce come l’islam sia una religione di pace e quanto sbagliato sia parlare di «terrorismo islamico» giacché le vittime sono soprattutto musulmane. Francesco è attento. E però ha pure lui qualcosa da obiettare, vuole discutere dei diritti dei cristiani in Turchia, tema a cui, precisa, tiene parecchio. L’altro lo segue: «Ci tengo molto anche io, al punto che recentemente ho ordinato di ristrutturare 14 chiese e una sinagoga».
Il Papa ascolta. Sa però che la situazione della Chiesa d’Oriente è complicata e lo è anche in Turchia, dove, per esempio, domenica scorsa è stato lanciato un ordigno incendiario nel cortile di una parrocchia di Trebisonda, la città dell’assassinio di don Santoro, ucciso nel 2006. Bene il restauro, dunque. «Ma - insiste - a noi interessa anche lo stato giuridico della Chiesa in Turchia». Il punto d’incontro finale è la pace tra le religioni e l’impegno congiunto a superare insieme gli ostacoli.
Al momento dei saluti e dello scambio dei regali - Bergoglio dona un medaglione con un angelo «che strangola il demone della guerra», un’acquaforte della basilica di San Pietro nel 1600 e una copia dell’Enciclica «Laudato si’», mentre Erdogan ricambia con un grande quadro di ceramica di Iznik con il panorama di Istanbul e un cofanetto di libri del mistico sufi Mevlana Rumi - ospite e padrone di casa si alzano in piedi. «Ci siamo già sentiti al telefono due volte per parlare di Gerusalemme, mi auguro che continueremo» chiosa il primo. E l’altro: «Non c’è due senza tre». Erdogan, che parla solo turco, interpella i suoi per decifrare il messaggio, che viene interpretato come una volontà di mantenere dei contatti diretti. Il tempo è volato: il presidente turco, mano sul cuore, saluta con un inchino e se ne va.
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