Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 05/02/2018, a pag. II, con il titolo "Nessuno si fila i palestinesi", l'analisi tratta dal Washington Post.
Abu Mazen
Il presidente Trump ha causato l’ennesima tempesta mediatica su Twitter, quando due settimane fa ha lasciato intendere di voler tagliare centinaia di milioni di dollari di aiuti americani ai palestinesi” ha scritto sul Washington Times il classicista e storico di Stanford Victor Davis Hanson. “Trump era arrabbiato per l’indisponibilità dei palestinesi di impegnarsi in un dialogo di pace con Israele, dopo che l’amministrazione ha annunciato di voler spostare l’ambasciata israeliana a Gerusalemme. Visto che gli Stati Uniti mandano i propri aiuti finanziari alla Palestina tramite organizzazioni terze connesse alle Nazioni Unite, non è chiaro a quanti soldi esattamente Trump si riferisca. In totale, però, si vocifera siano più di 700 milioni di dollari l’anno. Dieci anni fa, una diatriba del genere tra gli Stati Uniti e l’Autorità palestinese avrebbe occupato tutte le prime pagine di giornale. Oggi no. Perché? Il medio oriente è cambiato radicalmente, e con esso il ruolo e l’immagine dei palestinesi. La prima ragione è che gli Stati Uniti sono oggi uno dei maggiori produttori di energia fossile al mondo. L’America è attualmente immune al tipo di embargo petrolifero arabo che nel 1973-74 paralizzò l’economia americana, in risposta al supporto di Washington a Israele. Anche Israele, grazie alle scoperte di nuovo petrolio e di gas naturale marittimo, è diventato autosufficiente dal punto di vista energetico, e perciò immune ai tagli degli arabi. Secondo, il medio oriente è diviso in mille fazioni diverse. L’Iran sta cercando di diffondere la sua radicale teocrazia sciita in Iraq e in Siria, e negli stati del Golfo Persico. Oltretutto è il maggiore sostenitore della resistenza armata palestinese. Le cosiddette autocrazie sunnite ‘moderate’ disprezzano l’Iran. Comprensibilmente, gran parte dei paesi arabi temono lo spettro del nucleare iraniano molto più di quanto temano la realtà di un Israele democratico e egualmente armato. Terzo, il mondo stesso sembra essere stufo della questione palestinese. Quarto, i palestinesi non sono mai riusciti a creare un governo consensuale, trasparente, di successo. Dopo trent’anni di attesa, il mondo sta iniziando a lasciar perdere la loro retorica di autogoverno e di riforma della Cisgiordania. L’incapacità dei palestinesi di governare la Cisgiordania in una maniera costituzionalmente accettabile è la ragione per cui centinaia di migliaia di espatriati palestinesi danno voce alla propria solidarietà da una distanza di sicurezza, visto che vivono in Nord America o in Europa. Più di un milione di palestinesi preferiscono rimanere in Israele. Sono convinti che avranno più sicurezza, libertà e prosperità in uno stato democratico, piuttosto che sotto il regime autoritario offerto dalla Palestina a qualche chilometro di distanza. Trump sarà pure impreciso e ignorante, rispetto allo stagnante processo di pace medio orientale, ma i suoi istinti politici sono probabilmente giusti.”
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