Riprendiamo dal FOGLIO del 03/02/2018, a pag. 1-4, con il titolo "Poche convinzioni, competenza minima e opportunismo: la Salvineide Ue", il commento di David Carretta.
David Carretta
Bruxelles. Il 28 settembre del 2011, come sempre quando partecipa alle sessioni del Parlamento europeo, intorno a mezzogiorno Matteo Salvini entra nella grande plenaria di Strasburgo. E’ quello l’orario tipico delle votazioni nell’Assemblea che raggruppa gli eletti dal popolo dell’Unione europea. E’ quella l’ora in cui tutti gli eurodeputati devono essere presenti perché, se non partecipano almeno alla metà dei voti per appello nominale, la loro diaria quotidiana di più di 300 euro viene dimezzata. Quel giorno l’atmosfera è più tesa del solito. Sono i mesi dello spread e del panico sui mercati che fanno tremare la zona euro. La Commissione ha presentato un pacchetto di riforme del Patto di stabilità e crescita, il cui obiettivo è rassicurare i mercati sulla volontà di mettere i conti in ordine, ma che è anche all’origine delle politiche di “austerità” degli anni a venire. E’ il Six pack proposto di corsa da José Manuel Barroso e dal suo commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, mentre Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia ballano sull’orlo del default: obiettivi di deficit strutturale più stretti per i paesi con debito sopra il 60 per cento del pil, pareggio di bilancio, sanzioni finanziarie e taglio dei fondi strutturali per chi viola le regole, procedura per gli squilibri macroeconomici eccessivi. La sostanza del Six Pack sarà incorporata qualche mese dopo nel famoso Fiscal compact, che Salvini chiede oggi di cancellare altrimenti l’Italia uscirà dall’euro. Un quarto d’ora dopo mezzogiorno, i deputati se lo trovano davanti. Il testo più importante è quello sulla modifica del regolamento n.1466/97 per “il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche”, relatrice l’olandese Corien Wortmann-Kool. Il Ppe vota a favore in nome dell’austerità. Il Pse vota contro l’austerità. E Matteo Salvini? Astenuto sull’austerità. Un errore? No: l’inte - ra delegazione della Lega si è astenuta su tutti i regolamenti e direttive del Fiscal compact 1.0. E’ una scelta, probabilmente dettata dalla convenienza visto che in quei giorni l’Italia, con la Lega al governo guidato da Silvio Berlusconi, balla al ritmo dello spread. Il 1° febbraio del 2018, i servizi della commissione Ambiente dell’Europarlamento hanno inviato a tutti i deputati gli emendamenti su un rapporto che sta facendo molto discutere in Italia. A novembre la sede dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema), che deve traslocare da Londra causa Brexit, è stata assegnata alla città di Amsterdam dopo una lunga selezione che si è conclusa con un sorteggio da cui è uscita sconfitta Milano. Ma il 29 gennaio il direttore dell’Ema, Guido Rasi, ha spiegato che il palazzo destinato a ospitare la sua Agenzia non sarà pronto nei tempi previsti e che la soluzione provvisoria è “meno che ottimale”. In Italia è il putiferio. Il Partito democratico, Forza Italia e la Lega presentano modifiche alla risoluzione legislativa sul trasferimento dell’Ema per attribuirla a Milano. Ma tra gli emendamenti a prima firma Salvini ce n’è uno che gli italiani potrebbero pagare a caro prezzo: i costi del trasloco non devono essere “pienamente coperti dall’attuale paese ospitante (cioè il Regno Unito, ndr)”, come recita il testo originale. Salvini e gli altri deputati leghisti chiedono che “i costi associati al cambiamento di sede dell'Ema siano pienamente coperti dal bilancio generale dell’Unione” (cioè almeno il 15 per cento a carico dell’Italia).
Matteo Salvini, Beppe Grillo
Una scelta? Sarebbe grave, perché metterebbe i britannici prima dei contribuenti italiani. E’ un errore, quasi certamente dettato dall’incapacità di comprendere il testo legislativo in discussione alla commissione Ambiente. L’astensione sul Six pack come la svista sull’Ema sono due dei tanti episodi della lunga carriera di europarlamentare di Matteo Salvini che dimostrano come, malgrado le grida di “Prima gli italiani”, il leader della Lega sia riuscito a sfruttare l’Europa per mettere “Salvini first”. Nella strategia del “Prima Salvini” la tanto odiata Ue è una mucca da mungere per garantire la propria esistenza politica. La sua carriera, del resto, era iniziata nel 2004 con un piccolo scandalo premonitore: l’assunzione come assistente parlamentare di Franco Bossi, il fratello del Senatùr, a cui Salvini deve tutto, ma che non ha esitato a spazzare via quando ha intravisto la possibilità di impossessarsi della Lega. Alcuni episodi della storia da europarlamentare di Salvini sono anche utili a capire come governerebbe l’Italia dopo il 4 marzo, visto che la poltrona a Strasburgo e Bruxelles è la carica istituzionale più importante che ha detenuto nella sua lunga carriera di leghista (per un anno è stato deputato alla Camera in Italia, oltre che consigliere comunale a Milano per 14 anni)
Convinzioni? Poche, come dimostra il voto sull’austerità del Six pack. Competenza? Minima, se si guarda agli errori stupidi sul pagamento del trasloco dell’Ema. Opportunismo? Molto, a giudicare dalla quantità di soldi ricevuti dall’Ue tra stipendio, diaria, indennità varie, soldi da spendere per le attività “europee” del partito (Salvini riceve 280 mila euro l’anno solo per gli assistenti, tra i quali compaiono il commissario del Movimento dei giovani padani, Andrea Crippa, e altri esponenti del cerchio magico dei “giovanotti”, come Eugenio Zoffili e Alessandro Panza). Il lavoro di un parlamentare europeo spesso viene valutato sulla base delle presenze a Strasburgo e Bruxelles. I numeri sulla partecipazione alle plenarie non sono lusinghieri, ma accettabili per un leader politico nazionale. In questa legislatura Salvini si classifica al 543° posto in termini di presenze ai voti nominali, secondo il think tank Votewatch che tiene i conteggi più aggiornati sui 751 deputati dell’Ue. Tra il 2009 e i 2014 era andata peggio, con un misero 625° posto. Negli ultimi tre anni e mezzo Salvini non è mai stato relatore di alcun provvedimento. Almeno ha presentato 47 emendamenti e 93 interrogazioni, anche se in molti casi si è limitato a mettere la firma su un testo preparato da altri parlamentari della Lega. Idem per le 49 risoluzioni che portano il nome di Salvini, ma spesso anche quelli di Marine Le Pen, Harald Vilimsky e altri personaggi del gruppo eurofobo di estrema destra dell’Europa delle nazioni e delle libertà.
Nelle commissioni parlamentari, invece, va molto male. Salvini, che vorrebbe mettere i dazi come Donald Trump, è membro effettivo di quella che si occupa di Commercio internazionale. Secondo un dossier riservato che circola tra gli uffici dell’Europarlamento, nel 2014 è stato presente al 44 per cento delle sedute, nel 2015 al 24 per cento e nel 2016 al 6 per cento. Salvini è anche membro supplente della commissione Ambiente (quella che si occupa dell’Ema), dove nello stesso periodo è stato presente 0 (zero) volte su un’ottantina di riunioni. Salvini per contro si classifica bene per il numero di discorsi: 266 interventi nelle plenarie di Strasburgo e Bruxelles. Ma il suo iperattivismo retorico, soprattutto se paragonato alla pigrizia legislativa, rivela anche la sua concezione sull’attività di eurodeputato. L’Europarlamento per Salvini è uno Speakers’ corner di Hyde Park, da cui ritrasmettere il verbo nazional-populista attraverso canali come YouTube, Twitter e Facebook. I temi privilegiati degli interventi di Salvini sono gli italiani, i migranti, l’Isis, l’inutilità delle istituzioni europee, l’euro che rovina la vita alle piccole e medie imprese e alla gente.
La Padania, inneggiata nella sua prima legislatura tra il 2004 e il 2006, ha lasciato il posto ai tipici discorsi populisti al limite dell’antisemitismo su “banchieri, finanzieri, lobbisti, massoni e multinazionali” che complottano con l’Ue contro gli stati-nazione e i popoli. La svolta nazionalista, concretizzata nell’alleanza con Le Pen, ha portato al tradimento della causa autonomista (i catalani sono rimasti molto delusi dal suo silenzio assordante sull’indipendenza). Ma la sostanza? La difesa dell’interesse dell’Italia? Quali sono i risultati che Salvini ha ottenuto per gli italiani che devono venire prima di tutto? In questa legislatura sono molti i voti che hanno interessato più o meno da vicino l’Italia o le priorità di Salvini. Ma il 13 settembre del 2017 il segretario della Lega nord non si è presentato al momento di votare il via libera definitivo a 1,2 miliardi di aiuti dal Fondo di solidarietà dell’Ue per i terremoti che hanno colpito l’Italia (colpa di un aereo in ritardo e di una toccata e fuga a Roma per partecipare a una trasmissione televisiva). Un paio di mesi dopo, il 15 novembre, Salvini si è astenuto sulle nuove regole Ue per proteggersi dal dumping della Cina e altri paesi. Il giorno dopo, il 16 novembre, Salvini è tornato ad astenersi sulla riforma delle regole di Dublino, compresa la fine del principio del paese di primo ingresso e l’instaurazione di un meccanismo di ripartizione automatica dei richiedenti asilo tra gli stati membri. I pasdaran anti Salvini sostengono che lui in Europa non c’è mai, ma in realtà “a Strasburgo c'è quasi sempre”, spiega al Foglio un assistente parlamentare: “Non saluta mai nessuno, va in giro a occhi bassi, parla pochissimo, è sempre al telefono”. Un selfie con Le Pen, un passaggio alla “Zanzara” o un collegamento con “Omnibus” per criticare l’Ue: chi è in Italia si fa raggirare più facilmente dalla sua retorica diretta, tagliente, convinta se sullo sfondo ci sono i palazzi del potere europeo. Ma i suoi colleghi non si fanno incantare. Il 15 gennaio del 2014 un eurodeputato socialista belga, Marc Tarabella, è sbottato e ha smascherato pubblicamente il metodo Salvini. A Strasburgo si dibatteva di una direttiva sugli appalti pubblici, della quale Tarabella era relatore e Salvini uno dei relatori ombra. Quando il leghista è intervenuto per denunciare che era tutta “aria”, Tarabella ha immediatamente chiesto la parola. “Collega Salvini, è una vergogna sentirla in Aula. Perché? Perché per un anno e mezzo abbiamo lavorato con i colleghi Frank Engel, Jürgen Creutzmann, Heide Rühle, Malcolm Harbour, Dennis de Jong, tutti relatori ombra come lei. E lei è l’unico che non abbiamo mai visto in riunione. Allora, è facile dire che abbiamo fatto aria! No! Abbiamo lavorato nell’interesse delle piccole aziende, dei lavoratori, degli appalti pubblici sani. Come intende spiegare ai suoi elettori che è un fannullone in questo Parlamento? E’ sempre in tv e mai in Aula, mai in riunione per lavorare. E’ una vergogna: è un fannullone in questo Parlamento!”.
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