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Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 25/01/2018, a pag. II, con il titolo "Lo statuto iraniano dei 5s", l'analisi di Andrea Affaticati. Marco Taradash Nel novembre del 2012, quando Dario Fo, autore del Mistero Buffo, annunciò il suo voto per il M5S cominciai a definire i grillini “fascisti buffi”. Il loro modo di operare in Parlamento non me ne ha fatto pentire. Ora il nuovo Statuto del M5S dà forma a quel progetto di distruzione della democrazia parlamentare avviato col Vaffaday. In attesa, nelle aspettative di Grillo e del Clan dei Casaleggesi, di trasferirlo nella nuova Costituzione della Repubblica Democratica Diretta Italiana, come vedremo. Una premessa: pensare che il fare, o il non fare, o il mal fare, o persino il malaffare, o persino persino il ben fare, quando capitasse, del movimento di Grillo possa spostare un solo voto in meno o in più è sbagliato. Concordo con chi invita a cercare nella politica un’alternativa, non nel corpo a corpo che spesso finisce col confondere i corpi. L’esprit de géométrie politologica non ci aiuta infatti a capire fenomeni indecifrabili come il Movimento 5 Stelle. Tutti i criteri sperimentati di valutazione saltano quando capita che a un sistema politico e istituzionale in crisi di credibilità e di energia si contrapponga non un avversario interno al suo linguaggio e alle sue regole scritte o abitudinarie, ma un fenomeno radicalmente nuovo, mai visto, capace di inventare un diverso modo di aggregazione politica, un pensiero sociale alternativo, un lessico scandaloso, una modernità seducente e distruttiva per quanto antimoderna e all’ap - parenza impraticabile. Accade, alle volte, nella storia. In Italia è già avvenuto una volta, cento anni fa, e fu una tragedia.
La storia oggi potrebbe ripetersi. La seconda volta però non sempre assume la forma di farsa, può materializzarsi anche in una sagoma comica. Una comica avvelenata, grottesca spesso, disgustosa alle volte, ma ridicola sempre – nel doppio senso di far sorridere scetticamente i geometri politici e di divertire fino far scoppiare la pancia della brava gente, del “popolo”. Fino a condurre sulla soglia del governo di una nazione. Per capire come questo possa accadere nell’Italia del nuovo millennio è consigliabile leggere un romanzo, il miglior romanzo civile di questo nuovo secolo, “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi. Vi si racconta come, con quotidiana ineluttabilità, ampie fasce di popolazione che si erano riconosciute nel movimento socialista poterono acclamare in Mussolini, il socialista rivoluzionario che aveva trasferito nel suo movimento – che mai doveva diventare partito e nel giro di due anni partito divenne – l’interprete delle loro speranze. Molto semplicemente allora, stanca delle frustrazioni e delle difficoltà della vita quotidiana, delle “chiacchiere” della politica, dei soprusi, la gente, e alla fine la stragrande maggioranza della gente italiana, a un certo punto aveva smesso di pensare con la sua testa e si era affidata a qualcuno che aveva un gran capoccione (e una mascella volitiva) e si dichiarava capace di trasformare in azione la volontà vera di tutti. La volontà generale. Cosa che in effetti in questi anni è risuccessa in Italia, specie a gran parte dell’elettorato di sinistra, specie il più socialmente antagonista, ma anche alla borghesia benestante nutrita di odio antiberlusconiano ed esaltata dal partito dei letterati, dei talkshow e soprattutto della satira (Sabina Guzzanti, Maurizio Crozza, Marco Travaglio). Per non parlare, ma questo è scontato, del Partito dei magistrati. E così piano piano l’onda ha raggiunto anche il ceto medio impoverito o “desecurizzato” dalla globalizzazione (che temeva) e dalla conservazione politico-economica (che invece sosteneva, e nelle sue forme più stantie e corporative). E alla fine tutto questo gran rivolgimento di stomaco si è concentrato in una persona, un comico dalla grande capigliatura e capace di attraversare volitivamente a nuoto lo stretto di Messina, uno che al posto di Sorel e del sindacalismo rivoluzionario ha come mentore Gianroberto Casaleggio e il suo Rousseau, la sua visione fantascientifica del futuro, i suoi algoritmi, la sua dissoluzione della democrazia parlamentare, la sua rinnovata fiducia nell’intellettuale collettivo, il mediatore assolutista della “democrazia diretta”. Identificato in Grillo, in se stesso ma a distanza di sicurezza, e poi, per diritto ereditario, in suo figlio. In un prezioso libro del 1961, ‘Le delusioni della libertà’, anticipatore in qualche misura dei monumentali studi di Renzo De Felice, Paolo Vita-Finzi scriveva che “nel primo fascismo confluivano correnti diverse e contraddittorie, in maggioranza però di sinistra (massoni, repubblicani) e anche di estrema sinistra, come i sindacalisti rivoluzionari... ma persino fra i socialisti moderati il fascismo non appariva allora con i contorni mostruosi che una falsa prospettiva tende ad attribuirgli sin dall’inizio”. Vita Finzi invitava a rileggere grandi intellettuali e politici anche di matrice liberale e democratica sedotti, almeno per un breve periodo, dall’antiparlamentarismo che impregnava all’inizio del ‘900, in Italia e in Europa, il sentimento popolare e culturale. Si racconta di Peguy, Sorel, Prezzolini, Pareto, Croce, D’Annunzio... Ai fascisti buffi di oggi è bastato meno, molto meno: l’eredità giustizialista di Mani Pulite e il superstite Davigo, l’Antimafia di Di Matteo, la simpatia di Dario Fo, la vanità di Stefano Rodotà. Oltre a Rousseau, ovviamente, e alla sua piattaforma-bancomat. Torniamo allo statuto Perché allora indugiare sullo statuto del nuovo partito a 5 stelle, se la conoscenza dello spirito e della lettera autoritaria dei suoi articoli non influiranno sulle scelte degli elettori? Perché gli aspiranti dittatori vanno presi sul serio. A differenza dei politici “democratici” le cui promesse sono spesso specchietti per le allodole, quelli autoritari vanno presi alla lettera, anche se sembrano dei pazzoidi. La Stampa ha pubblicato la scorsa settimana un’intervista fatta da Giulio De Benedetti a Hitler nel 1923, dieci anni prima che prendesse il potere. C’è già la guerra, la soluzione finale, la liquidazione del Parlamento e della democrazia rappresentativa. Eppure vinse le elezioni. Il M5S ha annunciato spesso che intende modificare la Costituzione una volta giunto al potere (al potere, perché il governo di coalizione non gli interessa, al massimo intende raccogliere adesioni al suo programma se non raggiungerà la maggioranza assoluta). Lo Statuto del M5S è quindi un’utile anticipazione di quali saranno i fondamenti culturali della eventuale nuova Costituzione della Repubblica Democratica Diretta Italiana. Veniamo così informati nell’art 1 che “Gli strumenti informatici attraverso i quali l’associazione si propone di organizzare le modalità telematiche di consultazione dei propri iscritti ... saranno quelli di cui alla cd. Piattaforma Rousseau”. E, come ci ha fatto sapere, prendendola un po’ alla lontana, un autorevole dirigente del M5S, il deputato Manlio Di Stefano, responsabile del dipartimento nazionale LEX, questa sarà la prima innovazione costituzionale dei fascistibuffi: “Norberto Bobbio diceva ‘Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia’? Sì, ma lo stesso Bobbio aggiungeva ‘a meno che non si raggiunga la capacità tecnologica di coinvolgere tutti’. Noi siamo oggettivamente l’unico movimento al mondo che ha avviato un progetto di questo tipo. Siamo in continua evoluzione. Vogliamo arrivare ad una piattaforma universale che coinvolga tutti i cittadini, non solo gli iscritti al M5S. L’idea è di inserire strumenti di democrazia diretta e partecipata in Costituzione”. La “piattaforma universale” Rousseau in Costituzione. La centralità della Piattaforma risulta chiarissima dal codice etico degli eletti. Questi si obbligano ad “accettare che l’organizzazione e la costituzione di gruppi di comunicazione spetta al Capo Politico per quanto riguarda il Parlamento Italiano ed Europeo, per quel che riguarda la Camera, il Senato, la Presidenza del Consiglio, i ministeri ed il Parlamento Europeo” (sì, è scritto così); a che “il 50 per cento delle quote stanziate dalle rispettive Camere per il funzionamento dei gruppi parlamentari sia stanziato per il sovvenzionamento dei predetti gruppi di comunicazione”; “ad utilizzare la cd. Piattaforma Rousseau come principale mezzo di comunicazione per uniformarsi agli obblighi di trasparenza e puntuale informazione dei cittadini e degli iscritti al MoVimento 5 Stelle delle proprie attività parlamentari”. E infine a versare di tasca propria 300 euro al mese per il funzionamento della piattaforma (che quindi avrà a disposizione più di 50 mila euro al mese più tutto il denaro destinato alla comunicazione). Costruito così il partito-regime quale sarà il ruolo dei “cittadini iscritti”? Più o meno quello delle “folle oceaniche”, la grancassa. Intanto si scopre che “L’iscrizione al partito è gratuita” (art.3). Questo favorisce i maneggi, ma soltanto dal vertice, come vedremo. L’art. 4 tratta della “democrazia diretta e partecipata”. E’ rassicurante: “Tutte le decisioni più importanti sono delegate agli iscritti: l’elezione del Garante, del Capo Politico, del Comitato di Garanzia, dei Probiviri, dei candidati alle elezioni, del programma politico”. E’ tutta fuffa, però. Continuando a leggere si scopre che in realtà gli iscritti non decidono un bel nulla, avendo soltanto il potere di ratificare le decisioni del Garante e del Capo politico. I quali infatti, spiega l’articolo successivo (art. 5) si riservano il diritto di rimettere in discussione il voto, qualsiasi voto: “Entro 5 (cinque) giorni, decorrenti dal giorno della pubblicazione dei risultati sul sito dell’Associazione, il Garante o il Capo Politico possono chiedere la ripetizione della consultazione, che in tal caso s’intenderà confermata solo qualora abbia partecipato alla votazione almeno la maggioranza assoluta degli iscritti ammessi al voto”. Per il primo voto basta la maggioranza dei votanti, per la controprova è necessaria la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto. Obiettivo irraggiungibile in un partito in cui ogni iscrizione è gratuita e deve per giunta passare al filtro del Garante. Tanto per capirci, alle elezioni che hanno sancito l’investitura del candidato unico Luigi Di Maio a “premier” gli aventi diritto al voto erano circa 140.000 e hanno votato in 37.000. Se anche il numero restasse invariato dovrebbero votare contro il veto del Garante, per impedirlo, almeno 70.000 iscritti. Facile. L’art. 6 tratta dell’Assemblea degli iscritti, che si riunisce ogni anno in un luogo fisico e/o per via telematica. E’ l’equivalente di ciò che i partiti pre democrazia diretta chiamano Congresso. E’ il luogo della sovranità dei “cittadini’ iscritti. In apparenza. In realtà non ha nessun potere di decisione. Infatti ad essa spetta “approvare i documenti politici proposti dal Capo Politico ovvero da almeno un terzo degli iscritti, ferme le competenze e responsabilità del Capo Politico nella determinazione ed attuazione dell’indirizzo politico del MoVimento 5 Stelle; eleggere il Tesoriere, su proposta del Garante; su iniziativa del Garante o di almeno un terzo degli iscritti, approvare le proposte di indirizzi vincolanti per l’ado - zione e/o modifica dei regolamenti di competenza del Comitato di Garanzia”. Capito? I documenti politici vengono proposti dal Capo politico, e, di fatto, solo da lui. Ma l’Assemblea ha il potere di presentare un altro documento, no? Certo. Basta che sia sottoscritto da poco meno di 50.000 iscritti. Una presa di giro megagalattica. Per l’elezione di una figura decisiva come il Tesoriere, si applica un meccanismo ancora più rigido (si fa per dire): la proposta è fatta dal Garante e non è neppure presa in considerazione la possibilità che venga rigettata. Ora vediamo come si svolge l’Assemblea, che è presieduta dal Capo Politico, il quale “determina le modalità di svolgimento e votazione dell’assemblea” e, naturalmente, ne trae le conclusioni: “Il Presidente dell’Assemblea, tenuto eventualmente conto delle eventuali osservazioni e/o considerazioni e/o opinioni ricevute, predispone una proposta di delibera da sottoporre alla votazione dall’Assemblea”. Si noti l’iterazione: “tenuto eventualmente conto delle eventuali osservazioni...”. Annamo bene. E se a qualcuno saltasse in mente di proporre modifiche a questo statuto ritenendolo un tantino rigido? Semplice. Prima dovrà raccogliere le firme di un terzo degli iscritti, intorno alle 50.000, poi le modifiche verranno votate ed eventualmente approvate. Naturalmente, in questo caso, il Garante potrà mettere il veto: “Entro 5 giorni, decorrenti dal giorno della pubblicazione dei risultati sul sito dell’Associazione, il Garante può chiedere la ripetizione della votazione che, in tal caso, s’intenderà confermata qualora abbiano partecipato alla votazione almeno la metà più uno degli iscritti”. Basterà, per vedersi approvata la modifica, convincere a votare poco più di 70.000 iscritti e conquistarne la maggioranza. Tuttavia, a maggior tutela di tutti, come spiega l’art.8, “al Garante è attribuito il potere di interpretazione autentica, non sindacabile, delle norme del presente Statuto”. Me-ravi-glio-so. Il Capo Politico viene però eletto dall’Assemblea, questo va riconosciuto. Ma qui lo Statuto, così puntiglioso in tutti i suoi passaggi, si fa più vago. Spiega infatti che: “Il Capo Politico è eletto mediante consultazione in Rete secondo le procedure approvate dal Comitato di Garanzia (CdG), e resta in carica per 5 anni. E’ rieleggibile per non più di due mandati consecutivi”. Quali procedure? Non si sa, le deciderà il CdG. Per giunta questo Capo può essere revocato sia dal CdG che da Garante. Decisione che che dovrà essere ratificata dagli iscritti. Come? A differenza di tutti gli altri casi di votazione non si danno i numeri. La proposta infatti dovrà essere “ratificata da una consultazione in Rete degli iscritti, in conformità a quanto previsto dal presente Statuto”. Come abbiamo già visto spetta al Garante l’interpretazione insindacabile dello Statuto, e quindi possiamo stare tutti tranquilli. Tutti tranne uno, il Capo Politico, lo vediamo fra poco. Il Garante modello Teheran Per quanto tempo resta in carica il Garante? “A tempo indeterminato” recita lo statuto. A vita, quindi. A meno che non sia sfiduciato dal Comitato di Garanzia. In questo caso basterà che vada al voto la metà degli iscritti (quindi, oggi, solo 70.000) e sarà sufficiente per sradicarlo dalla carica la maggioranza assoluta. Guai però al Comitato di Garanzia se perde la partita perché in tal caso decadrà immediatamente. Cosa ricorda tutto questo? Lo statuto sembra modellato sulla Costituzione della repubblica islamica dell’Iran. C’è la Guida Suprema (il Garante) nominato a tempo indeterminato, c’è il Consiglio di Vigilanza (il Comitato di Garanzia) e il Presidente eletto (il Capo Politico). I poteri sono molto simili. La Guida suprema (il Garante) può tutto, anche licenziare il Capo Politico (non ancora farne arrestare uno, come è capitato di recente al ribelle Ahmadinejad, ma diamo tempo al tempo). Ma chi elegge il Comitato di Garanzia? L’Assemblea naturalmente, siamo o non siamo nel paradiso della democrazia diretta? L’Assemblea potrà addirittura sceglierne 3, sui 6 proposti dal Garante. Dal Garante e solo da lui, a cui però è dato il compito di “tutela delle minoranze e della rappresentatività di genere” nell’ambito dei 6. State sereni. Poteva mancare il il Collegio dei Probiviri? Naturalmente c’è, formato da 3 persone. Da chi è eletto? Dall’Assemblea. Chi può proporne i candidati? Il Garante. Ma stavolta, sorpresa, può proporne non 6 bensì 5. Perché? Sarà una cautela numerologica, non sappiamo. Vediamo ora come si svolge la vita politica degli iscritti e dei “portavoce’ ossia degli eletti. Dovrebbero riesumare un vecchio slogan: “Noi dormiamo con la testa sullo zaino”. L’articolo più lungo dello Statuto è infatti l’art. 11, intitolato non a caso “Proce - dimento per l’irrogazione di sanzioni disciplinari”. Le violazioni che possono portare a “richiamo, sospensione o espulsione” sono molteplici e vaghe, per cui la vita quotidiana dell’iscritto grillino si svolge in una spiacevole situazione di stress. E’ particolarmente rilevante, sotto il profilo politico, questo capo d’imputazione: “Promozione, organizzazione o partecipazione a cordate o gruppi riservati di iscritti”. Vietati gli assembramenti, in altre parole. Non è invece specificato a che ore scatta il coprifuoco. Nello Statuto si parla anche di “sospensione cautelare” – che inibisce la candidatura alle elezioni anche prima che il puntiglioso procedimento d’accusa venga concluso – e di “particolari circostanze attenuanti” che possono ridurre la pena che dovrebbe essere inflitta. Un testo, come si vede, che risente del lessico inquisitorio proprio di quella parte della magistratura che guarda al M5S in vista della catarsi politica. Non basta. Fra le infrazioni di cui si possono macchiare gli iscritti candidati o eletti si prevedono “mancanze che abbiano provocato o rischiato di provocare una lesione all’immagine od una perdita di consensi per il MoVimento 5 Stelle, od ostacolato la sua azione politica”. Mancanze, c’è scritto proprio così. Non poteva mancare la censura da grottesco processo staliniano: severamente punito è “il rilascio di dichiarazioni pubbliche relative al procedimento disciplinare medesimo”. Quanto ai parlamentari l’espulsione è possibile per “violazioni dello Statuto e del Codice Etico ancorché non sfociate in un procedimento disciplinare a norma di Statuto”. Ancorché. Oppure per “comportamenti suscettibili di pregiudicare l’imma - gine o l’azione politica del MoVimento 5 Stelle o di avvantaggiare altri partiti”. Suscettibili di. Infine ci sono le coserelle che piacciono tanto ai giornali, tipo il controllo meticoloso sugli emolumenti dei parlamentari e il loro drastico ridimensionamento, l’obbligo di non utilizzare il titolo di onorevole (giusto, ma va via anche quello di deputato o senatore, che fa troppo democrazia rappresentativa), sostituito da “cittadina” o “cittadino”. Infine le multe: l’eletto oggetto di una espulsione dovrà rifondere 100 mila euro per le spesa sostenute dal movimento in campagna elettorale e versare al movimento (con destinazione un ente benefico che verrà indicato dal Garante) la metà degli emolumenti annuali. Sono multe impossibili da riscuotere, visto che i parlamentari ricevono gli emolumenti direttamente dalle Camere di appartenenza, ma servono per ricordare a tutti gli eletti che che essi non rispondono alla Costituzione e all’art. 67 che vieta il vincolo di mandato in quanto rappresentanti della Nazione. No, loro rispondono del loro operato soltanto al Garante e al suo catenaccio magico. E alla Repubblica Democratica Diretta di un prossimo futuro. Possibile, improbabile? Dipende dagli elettori. Che hanno ormai esaurito la loro quota di presunta ingenuità. Scegliendo Grillo, scelgono di essere complici del suo progetto. Per inviare la propria opinione al Foglio, telefonare 06/589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante |
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