Caso Regeni: ecco le responsabilità della tutor musulmana Cronaca di Grazia Longo, commento fazioso di Riccardo Noury
Testata:La Stampa - Il Manifesto Autore: Grazia Longo - Riccardo Noury Titolo: «La tutor di Cambridge impose a Regeni di affidarsi a un’attivista - Continuiamo a sostenerlo: la verità sta al Cairo»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/01/2018, a pag. 11 con il titolo "La tutor di Cambridge impose a Regeni di affidarsi a un’attivista", la cronaca di Grazia Longo; dal MANIFESTO, a pag. 1, con il titolo "Continuiamo a sostenerlo: la verità sta al Cairo", il commento di Riccardo Noury, preceduto da una nostra critica.
E' evidente la responsabilità di chi aveva mandato in Egitto Giulio Regeni, in questo caso una docente musulmana di Cambridge, militante dei Fratelli Musulmani, in una missione che chiunque poteva giudicare estremamente rischiosa. Come infatti è avvenuto a Regeni, innamorato delle 'primavere arabe', talmente condizionato nei confronti dell'islamismo dai lavaggi del cervello tanto da ricordare il caso di Vittorio Arrigoni ucciso nella Gaza che tanto amava in odio a Israele, da rimetterci la vita. Ma la 'tutor' a Cambridge, responsabile del lavaggio del cervello del povero Regeni, non interessava ai nostri cronisti. Adesso la verità sta venendo fuori, come IC aveva segnalato sin da quando si era saputo chi era la sua tutor all'Università di Cambridge. "La verità su Giulio Regeni" recitano gli striscioni appesi a molti edifici istituzionali nel nostro paese. Bene adesso la verità si sa. Andrebbero sostituiti, trovare la farse giusta non sarà difficile. Bene il pezzo sulla Stampa, informativo quanto basta.
Ecco gli articoli:
Giulio Regeni, la tutor Maha Abdel Rahman, il cui cinismo solo adesso si rivela sui media italiani
La Stampa-Grazia Longo: "La tutor di Cambridge impose a Regeni di affidarsi a un’attivista"
Grazia Longo
Non solo la professoressa Maha Abdel Rahman, aveva fatto pressioni su Giulio Regeni per la ricerca sui sindacati autonomi oppositori al regime di Al Sisi, ma gli aveva anche imposto come supervisore in Egitto «una famosa attivista che avrebbe potuto sovraesporlo». Circostanza poi smentita dalla tutor Abdel Rahman nell’interrogatorio a Cambridge, il 9 gennaio scorso, di fronte al pm Sergio Colaiocco. Alle 19,41 di domani saranno due anni esatti dal sequestro del ricercatore friulano, ritrovato senza vita e terribilmente torturato il 3 febbraio 2016 alla periferia del Cairo. E mentre ancora si cercano i responsabili, esecutori e mandanti tra gli apparati di sicurezza del regime di Al Sisi (i sospettati sono una decina), lascia sempre più perplessi l’atteggiamento reticente della professoressa di Cambridge. In attesa dell’esito della perizia sui suoi personal computer, cellulare, pen drive e hard disk - sequestrati dopo l’interrogatorio del 9 gennaio, alla presenza delle autorità giudiziarie del Regno Unito, del Cambridgeshire, dei carabinieri del Ros e i poliziotti dello Sco - un dato inquietante emerge dagli atti della rogatoria internazionale inoltrata dalla procura di Roma. In una chat con un amico e collega, il 15 luglio 2015, Giulio Regeni «confessa di temere di non aver ben figurato con la sua supervisor Rahman, che difatti era parsa seccata dalle rimostranze dello studente apprendendo della nomina della professoressa Rabab El Mahdi quale sua tutor al Cairo. In merito Regeni scrive all’amico: «Ho fatto il codardo e le ho detto che ero un po’ preoccupato del fatto che è una grande attivista e io non vorrei essere tanto in primo piano. Lei c’è rimasta male e m’ha detto “finirà che dovremo metterti con qualcuno del governo”. Dopo sono tornato nel suo ufficio e le ho detto che mi andava bene il suo nome». Peccato però che la tutor di Cambridge, durante l’interrogatorio, non abbia confermato. Non era del resto la prima volta che cambiava le carte in tavola. Sulla questione, in una mail «trasmessa alla polizia del Cambridgeshire, nel giugno 2016, dopo che si era rifiutata di rendere dichiarazioni alle autorità, la professoressa scriveva che «Giulio aveva identificato la professoressa Rabab Al Mahdi presso il Dipartimento di scienze politiche come supervisore. Io la conoscevo ed ero d’accordo che sarebbe stata appropriata». Perché la professoressa Maha Abdel Rahman non conferma di essere stata lei a suggerire la tutor in Egitto di Giulio? Perché sostiene di non ricordare le paure del ragazzo? Regeni era talmente preoccupato che nella chat con il collega amico «a sostegno delle sue inquietudini e a giustificazione della sua massima prudenza riportava il caso di una sua collega che, recatasi in Egitto l’anno precedente per svolgere la sua stessa ricerca, era stata espulsa dal Paese e aveva dovuto ricorrere alle cure di uno psicologo per i traumi riportato nell’esperienza egiziana». E, in base alle indagini, ci sarebbero altri due ricercatori di Cambridge inviati in Egitto per «attività di ricerca sullo stato di sviluppo dell’attività dei sindacati autonomi e che sono stati allontanati dalle autorità». Tragico, invece, l’epilogo della ricerca di Regeni.
Il Manifesto-Riccardo Noury: "Continuiamo a sostenerlo: la verità sta al Cairo"
Riccardo Noury dimentica completamente i crimini del regime della Fratellanza Musulmana che prese il potere in Egitto dopo la cosiddetta "primavera araba", per essere poi rovesciato dal regime militare di Al Sisi, unico destinatario delle accuse di Noury. Quello di Al Sisi non è un governo democratico, ma certamente è meglio di una dittatura fondata sul Corano come quella di Morsi, che Noury rimpiange. Il solito doppio standard filo-islamista sul Manifesto.
Ecco il pezzo:
Riccardo Noury
Il 25 gennaio 2016 al Cairo Giulio Regeni veniva sequestrato, trasferito in uno o più centri di detenzione senza poter avere contatti col mondo esterno, per essere poi sottoposto nei giorni successivi a feroci torture e infine assassinato. Il suo nome si aggiungeva, purtroppo, ai tanti egiziani ed egiziane vittime di sparizione forzata e torturate a morte in Egitto. Da subito chi in Egitto e in Italia conosce bene il sistema di violazioni dei diritti umani nel paese nordafricano ha parlato di «delitto di stato». E da subito chi difende i diritti umani in Egitto, correndo sempre rischi e pagando spesso col carcere, ha capito quanto sarebbe stato importante indagare a fondo per scalfire il muro dell'impunità del sistema giudiziario del paese: arrivare alla verità per Giulio l'italiano, per poi provare a cercarla per i Giulio egiziani. Come è noto, le autorità egiziane hanno scelto la tattica del depistaggio, della perdita di tempo, delle promesse non mantenute. Hanno preso di mira gli avvocati e gli attivisti direttamente o indirettamente coinvolti nella ricerca della verità. Cinque innocenti sono stati uccisi per creare la messinscena della Pasqua 2016, quella servita sul vassoio d'argento della banda di rapinatori di stranieri. E nonostante il comportamento assai poco collaborativo delle autorità egiziane, lo scorso settembre l'Italia ha fatto tornare alla piena operatività l'ambasciata al Cairo. La decisione, presa nella calura pre-ferragostana il 14 agosto, era stata preceduta da un'imponente campagna mediatica in cui si sosteneva che richiamare l'ambasciatore era stato un errore e rimandarlo avrebbe contribuito alla ricerca della verità per Giulio. Non sappiamo quali passi avanti siano stati chiesti, e soprattutto ottenuti nella rinnovata interlocuzione tra Italia ed Egitto, verso quella verità. Delle relazioni italo-egiziane successive al ritorno dell'ambasciatore al Cairo la stampa locale ha parlato molto, assai meno quella italiana. Ma rimandando l'ambasciatore al Cairo il governo italiano si è assunto una precisa responsabilità, tra l'altro rinunciando ancor prima a ogni altro strumento di pressione; all'inizio del 2018 poi, la Procura di Roma ha proceduto all'interrogatorio di Maha Abdelrahman, tutor di Giulio Regeni presso l'università di Cambridge. Le indagini ci diranno se dall'interrogatorio e dall'analisi di documenti e materiale ora in possesso degli inquirenti italiani emergeranno elementi rilevanti. Dobbiamo essere chiari. Amnesty International ha sempre sostenuto che la verità dovesse es sere cercata a tutto tondo. Da questo punto di vista ogni azione investigativa che aiuti a comprendere il contesto nel quale è maturato l'omicidio di Giulio Regeni è benvenuta. Difendere in modo apodittico un'istituzione universitaria in quanto tale non è un approccio costruttivo. Ma anche attaccarla per partito preso o persino per il pregiudizio che la persona in questione sia donna, araba e musulmana.