Mike Pence a Gerusalemme, capitale d'Israele Analisi di Fiamma Nirenstein, cronaca di Giordano Stabile
Testata:Il Giornale - La Stampa Autore: Fiamma Nirenstein - Giordano Stabile Titolo: «Pence commuove Israele: 'Gerusalemme è vostra' - Pence sfida i leader palestinesi: 'Tornate al negoziato di pace'»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 23/01/2018, a pag. 13, con il titolo "Pence commuove Israele: 'Gerusalemme è vostra' ", il commento di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA a pag.12, con il titolo "Pence sfida i leader palestinesi: 'Tornate al negoziato di pace' ", il commento di Giordano Stabile.
Ecco gli articoli:
Mike Pence con Benjamin Netanyahu alla Knesset
Il Giornale - Fiamma Nirenstein: "Pence commuove Israele: 'Gerusalemme è vostra' "
Fiamma Nirenstein
Ieri alla Knesset, il Parlamento israeliano, abbiamo contato una ventina di standing ovation dell'assemblea e una protesta durissima di un gruppo parlamentare. E anche se molti media si sono affannati a descrivere il successo del vicepresidente americano Mike Pence come un abbraccio fra destre, quella del governo di Netanyahu e quella dei repubblicani di Trump, gli applausi a scena aperta sono pervenuti dai banchi del governo e dell'opposizione. Un vero amico per Israele è importante fino a essere commovente dopo gli anni duri di Obama; ed è fondamentale in una continua lotta contro la delegittimazione e la criminalizzazione non solo da parte dei palestinesi ma di molti Paesi musulmani e spesso anche europei che un amico ti stimi apertamente. È una vera spinta alla pace. Invece non è un caso che nelle stesse ore, come in una commedia su un palcoscenico girevole, Abu Mazen abbracciasse la Mogherini un po' imbarazzata, chiedendo che l'Europa proclami lo Stato Palestinese. Ma senza successo. Chi ha protestato duramente alla Knesset, con una scena che ricordava il Parlamento italiano, sono stati i tredici parlamentari della Lista Unita araba: hanno tirato fuori dei cartelli con la scritta «Gerusalemme è la capitale della Palestina». I commessi li hanno buttati fuori a spintoni, ma di nuovo la minaccia delle ultime ore di un boicottaggio serio, memorabile, è svanito come quello di una Intifada all'indomani dell'8 dicembre, quando Trump dichiarò Gerusalemme capitale di Israele. Pence ha una faccia e una voce da attore cinematografico, è un classico americano impregnato dell'identità di cristiano, un evangelico del diciottesimo secolo, pieno di sentimento e di volontà didattica. Si sa che dietro la decisione di Trump su Gerusalemme c'è stato sempre lui: e che diamine, Gerusalemme è degli ebrei, lo dice senza dubbio la sua Bibbia. Ieri ha detto che l'America ha avuto l'onore di riconoscere per prima lo Stato d'Israele, ma c'era una grave mancanza: Gerusalemme! E ora la falla è stata ripianata. Dunque, l'ambasciata sarà trasferita entro la fine dell'anno prossimo. Ma l'amministrazione Trump non ha abbandonato l'idea, nonostante l'ira di Abu Mazen, della pace, di due Stati per due popoli, di negoziati diretti fra israeliani e palestinesi, e qui ha alluso alla necessità che i palestinesi almeno ascoltino che cosa propongono gli americani; infine ha anche promesso che l'Iran non avrà mai la bomba: «L'accordo è un disastro, e gli Stati Uniti non lo certificheranno... a meno che non venga modificato». Pence ha descritto col tono e l'espressione oltre che con le parole il sentimento che lo lega e che lega gli Usa a Israele, alla difesa della sua sopravvivenza, l'ammirazione per la sua democrazia e per la rinascita del popolo ebraico dopo la Shoah. È stata una specie di distillato del significato che può avere nella vita del mondo occidentale tenere per questo piccolo Paese. Trump non può esprimerlo come Pence, che nella Bibbia legge, alla lettera, la storia del presente e del futuro, e che ritiene suo dovere difenderne la civiltà. Nel disegno di Pence gli incontri dell'altro ieri con Al Sisi d'Egitto e domani con il re della Giordania Abdullah sono molto importanti per la strategia americana, che affida ai due personaggi anche il ruolo essenziale di rimettere in piedi un processo di pace che si basi sull'interesse a mantenere la stabilità contro l'aggressività dell'Iran e dei suoi alleati. Ad Amman Pence potrà annunciare un accordo per un miliardo e mezzo di dollari l'anno, anche con l'Egitto si è certo parlato della rinata alleanza economica. Un grande successo alla Knesset deve avere come contrappasso una rinata amicizia coi Paesi sunniti moderati. Pence ha concluso il suo discorso con una benedizione ebraica che si dice ogni volta che si incontra una persona cara, si mangia di nuovo un frutto al suo ritorno dopo il ciclo naturale: «Ad aprile si celebrano 70 anni dalla nascita di Israele. Mentre vi preparate per lo storico evento io qui con la brava gente d'Israele voglio dire shehecheyanu, sii benedetto Dio, re del mondo, che ci hai dato la vita, ci hai sostenuto, ci hai permesso di arrivare a questo giorno». Gli occhi di Pence erano lucidi di emozione, come quelli di tutta l'assemblea.
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Pence sfida i leader palestinesi: 'Tornate al negoziato di pace' "
Giordano Stabile
Il vicepresidente americano Mike Pence arriva a Gerusalemme, che saluta come «capitale di Israele», e annuncia il trasferimento dell’ambasciata Usa nella Città Santa entro l’anno prossimo. Il numero due della Casa Bianca mette così l’ufficialità su una delle promesse elettorali di Donald Trump, e lo fa in un discorso alla Knesset, il parlamento israeliano, denso di citazioni bibliche, nel suo stile che si rifà al cristianesimo delle chiese evangeliche. Pence però ha anche teso la mano ai palestinesi, perché ritornino al tavolo dei negoziati e lanciato un nuovo avvertimento all’Iran, il nemico strategico nella regione mediorientale secondo la dottrina dell’Amministrazione Usa.
Pence è atterrato in Israele domenica sera, con la Second Lady Karen, e ha avuto un lungo colloquio con il premier Benjamin Netanyahu ieri mattina. Poi il discorso alla Knesset. «Gerusalemme è la capitale d’Israele - ha ribadito -, e il presidente Trump ha dato indicazioni al dipartimento di Stato di iniziare i preparativi per spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv: aprirà prima della fine del prossimo anno». Un annuncio che suggella la sintonia totale fra la Casa Bianca e il governo Netanyahu, ma che ha alimentato ancora il risentimento arabo, e degli stessi arabo-israeliani. I deputati che rappresentano la comunità, circa il 20 per cento della popolazione di Israele, hanno protestato, uno ha esposto un cartello con scritto «Gerusalemme capitale della Palestina», tutti sono stati espulsi dall’Aula. Pence ha teso la mano, ha ribadito che l’Amministrazione è determinata a raggiungere «una pace durevole fra Israele e i palestinesi» che ha invitato a riprendere le trattative, di fatto ferme fin dal 2014, ben prima della decisione di Trump su Gerusalemme. «Sappiamo - ha insistito - che il popolo di Israele vuole la pace, ed è disposto a pagarne il prezzo». Pence però non ha fornito indicazioni sul piano americano-saudita che dovrebbe sbloccare la situazione, in una cornice diversa dai piani precedenti. E in Giordania ha dovuto incassare le critiche di Re Abdullah, che ha insistito come la parte Est di Gerusalemme dovrà essere capitale del futuro stato palestinese.
Per Saeb Erekat, segretario generale dell’Olp, il discorso «messianico» di Pence è un «regalo agli estremisti» ma per Netanyahu, che ha parlato subito dopo, rappresenta una «delle più importanti decisioni nella storia del sionismo». E l’intesa è stata ribadita anche sull’Iran. Il vice-presidente ha promesso che l’accordo sul nucleare, «un disastro per gli Stati Uniti», non sarà «certificato», cioè non sarà più considerato valido da Washington. Netanyahu lo ha ringraziato e ha aggiunto che Teheran «rappresenta un pericolo per le nostre due nazioni e tutto il mondo libero». Oggi Pence visiterà il Muro del Pianto, il luogo più sacro per gli ebrei.
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