Parliamo un po’ sul serio di razza
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
a destra, la prima pagina del
Corriere della Sera
Cari amici,
devo confessarlo, mi sono arreso. Ho sempre considerato la rete come un luogo di discussione ed eventualmente di lite in cui fosse possibile far passare idee e informazioni e mi ci sono sempre impegnato seriamente, perché credo che abbia senso cercare di parlare con la gente, diffondere fatti e opinioni.
Certo, le persone che si raggiungono sono centinaia, al massimo migliaia. Ma se si pensa alla diffusione della carta stampata (non della televisione, naturalmente) non si è così lontani. Lo sapete per esempio che il temuto Fatto Quotidiano a novembre 2017 ha venduto in media 31,561 e il supponente Manifesto 7.985?
Ma poi negli ultimi giorni mi sono trovato a partecipare in parallelo a due polemiche, entrambe innestate dalla politica ma di carattere scientifico, quella sui vaccini e quella sulle razze; in entrambe mi sono trovato isolato, incapace di ottenere ascolto, circondato da sostenitori di piramidali idiozie presentate come evidenze.
Quelli dei vaccini con cui ho parlato dicevano di non essere contrari ai vaccini in sé ma al loro obbligo (quando tutti i dati mostrano che solo l’obbligo riesce a garantire misure di sicurezza collettiva, come i limiti di velocità delle macchine, i caschi e le cinture, l’assenza di fumo in luoghi pubblici, la sicurezza delle caldaie).
Qualcuno diceva che i dieci vaccini erano troppi e che bisognava rafforzare invece che indebolire il sistema immunitario dei bambini (ma si dà il caso che gli antigeni in gioco in dieci vaccini siano molti, ma molti meno di quelli che entrano nell’organismo con una qualunque merenda e che il funzionamento dei vaccini consiste proprio nel rafforzare il sistema immunitario, fornendogli informazioni sulla forma chimica dei patogeni che producono alcuni grave malattie).
Qualcuno mi ha detto che l’obbligo dei vaccini lo trasformava in un “servo della gleba”, qualcun altro che al massimo era disposto ad accettare 4 vaccini e non di più. Altri mi hanno parlato di speculazione dell’industria medica per la vendita di vaccini, come se il costo anche farmaceutico della cura di una sola delle malattie prevenute non costasse migliaia di volte il prezzo di un vaccino, garantendo profitti ben più alti.
Il tutto senza che nessuno dei miei interlocutori avesse la più vaga formazione medica o intendesse documentarsi seriamente sui meccanismi immunitari e sull’epidemiologia.
Per la razza la sorpresa è stata ancora più grande. Nelle mie discussioni è venuto fuori che praticamente tutti pensavano che di fatto le razze esistessero. Al massimo, alcuni dicevano che non era bene usare il termine, che era meglio “etnia” o “stirpe”, e che non bisognava dire che una razza fosse superiore all’altra.
Difficile capire che cosa avessero in mente, perché nessuno dava definizioni, al massimo esempio come “bianco” “giallo” e “nero” o addirittura i paragoni con le razze canine. Però si capiva che avevano in mente l’idea che gli esseri umani si potessero dividere in gruppi omogenei a partire dal colore della pelle e da qualche altro tratto somatico, come la forma del viso e che i gruppi così ottenuti condividessero però molto di più, un modo di essere, una forma di vita, una certa tendenza alla socialità e a certe capacità di lavoro, una certa intelligenza o la sua mancanza - tutte qualità ereditarie e comuni alla “razza”.
Insomma che le razze fossero le basi biologiche delle diverse culture e società e magari di interessi comuni.
Il fatto è che tutto ciò è falso. Non solo politicamente inaccettabile, semplicemente falso. E’ chiaro che la gente ha diversi colori della pelle, dei capelli e degli occhi (anche se molto meno omogenei di quel che dicono le parole “bianco”, “nero” ecc. : dove mettiamo per esempio il colorito olivastro così diffuso nel Mediterraneo? E i capelli rossi fanno parte del tipo nordico e celtico degli irlandesi o di quello semitico degli ebrei?).
Ed è chiaro che questi tratti sono ereditari, anche se in maniera più complicata di quel che vorrebbe chi tratta la razza come un’eredità pura e semplice.
Oggi però sappiamo che i tratti ereditari degli esseri viventi sono codificati in unità chiamate “geni” che sono sequenze di DNA (acido desossiribonucleico) contenuti nei cromosomi, i quali si ritrovano uguali in ogni cellula del corpo; la riproduzione sessuale mescola parte dei geni paterni con parte di quelli materni.
I geni negli esseri umani sono circa 300 mila, ma di essi meno di un decimo è usato per produrre le proteine che determinano il funzionamento delle cellule e poi dei tessuti, fino alla forma e al funzionamento dell’organismo; altri hanno funzioni di controllo e di ridondanza.
Ci sono dunque rapporti fra gruppi di geni, ma ognuno è indipendente dagli altri.
Di conseguenza il complesso di geni che regola il colore della pelle ha pochissimo a che fare con quelli che determinano le proprietà dal sangue, il funzionamento del cervello, dei polmoni o delle ghiandole sessuali, per non parlare di quelle entità estremamente complesse, influenzate dai geni ma soprattutto dall’ambiente che sono l’intelligenza o la socialità o il talento artistico.
Non c’è un blocco di caratteristiche ereditarie, una “razza”; ma un numero molto alto di tratti indipendenti che determina il nostro patrimonio ereditario. Oltretutto non è assolutamente chiaro quante e quali siano queste razze: tre come sembrano credere i praticoni del “colore”? O molte di più come pensavano i teorici nazisti della razza, che distinguevano per esempio anche fra gli “ariani” una razza “alpina” e una “nordica”? Com’è diverso un napoletano “tipico” da un norvegese altrettanto “tipico”, così lo è un abitante delle foreste pluviali dell’Africa, quelli che si usano chiamare “pigmei”, da un etiope degli altipiani; lo stesso si può dire mettendo vicino un mongolo della steppa da un cambogiano.
Anche perché i tratti che colpiscono molto i cultori delle razze sono fortemente adattativi: il pigmento della pelle varia in relazione all’illuminazione solare, i tratti del naso e degli occhi sono influenzati dal clima ecc. I paleontologi hanno mostrato che tutti gli esseri umani moderni vengono da uno stesso piccolo gruppo uscito dall’Africa alcune decine di migliaia di anni fa: al massimo sono distanti alcune centinaia di generazioni, che in tempi biologici sono un attimo.
Cavalli Sforza è stato in grado di tracciare i movimenti di queste migrazioni e di metterli in relazione con le parentele fra le lingue. Non abbiamo un biglietto solo della lotteria che ci dica che siamo di questa o quella razza, ma decine di migliaia. Il fatto di essere entrambi “bianchi” non rende in media due esseri umani più vicini fisicamente di essere invece uno “bianco” e uno “nero”, esattamente come non li apparenta appartenere entrambi a un certo gruppo sanguigno.
Le analisi sulla distribuzione di singoli tratti, come i gruppi sanguigni o l’IQ confermano questa variabilità e soprattutto lo fanno le ricerche molto approfondite degli scienziati, come il nostro Cavalli Sforza, che sono andati in giro per il mondo a prelevare sangue dalle più diverse popolazioni per confrontarne le caratteristiche.
Tutte queste cose si sono dimostrate negli ultimi cinquant’anni; nessuna sosrpresa dunque che vecchi documenti come la nostra costituzione non ne tengano conto. Il discorso sarebbe molto complesso, ma non vado avanti. L’ipotesi della razza, cioè che le qualità fondamentali degli esseri umani si possano classificare a seconda del colore delle pelle, è stata falsificata dalla biologia. Credere che ci siano delle razze (non importa se superiori o inferiori) sulla base dell’evidenza del colore è come pensare che la terra sia piatta perché dall’alto di un grattacielo vediamo intorno a noi un disco di terra.
O come credere che i segni zodiacali “esistano”: è chiaro che gli esseri umani si possono suddividere liberamente a seconda delle date di nascita e che forse un qualche effetto del clima del periodo della nascita può esserci, soprattutto in società pre-tecnologiche in cui le case erano male riscaldate; ma di qui a parlare di influenza delle costellazioni e a classificare la popolazione secondo “segni” ce ne passa.
Insomma le razze proprio non esistono. Esistono i razzisti, coloro che credono alle razze e che sono abbastanza ostinatamente ignoranti per pensare che le loro impressioni valgano più della ricerca scientifica. E che sono poi propensi a giudicare gli altri a seconda della loro presunta appartenenza a una certa razza: talvolta sono i “bianchi” di destra a essere “suprematisti”, cioè razzisti; talaltra, negli Stati Uniti contemporanei sono i “neri” di estrema sinistra (come il movimento “black lives matter”). Sono ignoranti prima ancora che intolleranti. E dato che la ragione di questa nota è politica, permettetemi di dirvi la mia posizione.
Non voterò mai per un partito che parla di razze. Né di destra, né di sinistra (ce ne sono, i democratici americani, per esempio). Anche se non parlano di “superiorità razziale”. Anche se non sono antisemiti, anche perché l’antisemitismo ha origini molto più antiche e profonde del razzismo, che è una pseudoteoria ottocentesca. Mi basta che ignorino la scienza. E, a proposito, non voterò mai per un partito che sostenga l’importanza dei segni zodiacali, dell’omeopatia, o che intende ridimensionare quel fondamentale presidio della salute pubblica che sono i vaccini. E vi invito a fare altrettanto.
Ugo Volli