Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/01/2018, a pag.14, con il titolo "Tillerson: 'In Siria dopo l’Isis il nemico da fermare è l’Iran' " la cronaca di Paolo Mastrolilli.
Paolo Mastrolilli
Donald Trump
La strategia americana in Siria cambia: dopo l’Isis, il nuovo nemico da fermare diventa l’Iran. Lo ha spiegato il segretario di Stato Tillerson con un discorso all’Hoover Institute della Stanford University, in cui ha annunciato anche l’intenzione degli Stati Uniti di conservare una presenza diplomatica e militare nel Paese a lungo termine, per impedire il ritorno del terrorismo e favorire l’uscita di scena di Assad.
Crimini contro l'umanità in Iran
Il capo di Foggy Bottom, invitato a discutere dall’ex collega Condoleezza Rice, ha rivendicato l’accelerazione delle operazioni militari che hanno distrutto il Califfato, aggiungendo però che la crisi non è risolta: «La situazione è caratterizzata da tre fattori: l’Isis è sconfitta sostanzialmente, ma non completamente; il regime di Assad controlla circa metà del territorio e della popolazione siriana; le continue minacce strategiche per gli Usa, non solo dall’Isis e da al-Qaeda, persistono. E mi riferisco principalmente all’Iran». Tillerson ha denunciato l’obiettivo di Teheran di «creare un arco settentrionale», cioè una sfera di influenza dalla Repubblica islamica al Mediterraneo, che rappresenta un pericolo diretto per Washington e i suoi alleati.
Il segretario di Stato ha indicato i cinque obiettivi principali dell’America. Primo, sconfiggere in maniera definitiva Al-Qaeda e Isis, impedendo che rinascano e colpiscano altrove. Secondo, risolvere il conflitto tra la popolazione siriana e il regime attraverso il processo politico guidato dall’Onu, che deve portare ad una leadership post Assad, perché il Paese non tornerà mai stabile finché l’assassino della propria gente resterà al potere. Terzo, diminuire l’influenza dell’Iran e impedirgli di creare l’arco settentrionale, o minacciare i vicini. Quarto, garantire il ritorno dei rifugiati. Quinto, liberare la Siria dalle armi di distruzione di massa.
La strategia per centrare questi obiettivi comincia dalla permanenza americana sul terreno, tanto sul piano diplomatico, quanto su quello militare. L’errore del ritiro anticipato dall’Iraq non verrà ripetuto, per impedire che l’Isis o altri gruppi terroristici possano tornare nel Paese. Questa presenza poi servirà anche a fermare le ambizioni dell’Iran.
Nello stesso tempo bisognerà assicurare un futuro pacifico alla Siria, usando due strumenti: la stabilizzazione, e il processo politico guidato dall’Onu. Il primo punto significa aiutare la ricostruzione del Paese, i servizi, le infrastrutture, senza collaborare con Assad. Quindi garantire insieme la sicurezza, la difesa dal terrorismo, e il ritorno ad una vita normale.
La de-escalation militare avviata con Russia e Giordania nel Sud-Ovest del Paese è il modello da seguire. Su questo piano, Tillerson riconosce anche le preoccupazioni della Turchia, per lanciare il segnale che gli Usa non intendo destabilizzarla attraverso la questione curda. Il secondo punto significa che il regime di Assad non può restare al potere, e va sostituito attraverso un processo democratico gestito dal Palazzo di Vetro. Il segretario di Stato riconosce che la Russia ha forti interessi nel Paese e forte influenza sul regime, ma proprio per questo deve svolgere un ruolo chiave per convincere Assad a farsi da parte e aiutare la mediazione Onu che ha approvato con la risoluzione 2254. Quindi Mosca vedrà assicurati i suoi interessi, ma solo in questo quadro di collaborazione.
Da mesi gli alleati europei chiedevano agli Usa di riprendere l’iniziativa politica in Siria, perché «accettare la pace filo sciita di Mosca significava condannarsi al ritorno del terrorismo sunnita di Al-Qaeda o Isis», come ci ha spiegato una fonte diplomatica al Palazzo di Vetro. Il discorso di Tillerson rappresenta la risposta, e il ritorno dell’America sulla scena.
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