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La Stampa - Avvenire - L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
18.01.2018 Le menzogne di Abu Mazen e gli attacchi a Benjamin Netanyahu, Donald Trump
Commento di Giordano Stabile (ma pessimo titolo), commenti faziosi di Luca Geronico, Osservatore Romano

Testata:La Stampa - Avvenire - L'Osservatore Romano
Autore: Giordano Stabile - Luca Geronico
Titolo: «L’ira di Abu Mazen: 'Noi a Gerusalemme prima degli ebrei' - Netanyahu: entro l'anno gli Usa a Gerusalemme - Trump taglia i fondi ai palestinesi»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/01/2018, a pag. 13, con il titolo "L’ira di Abu Mazen: 'Noi a Gerusalemme prima degli ebrei' ", il commento di Giordano Stabile; dal AVVENIRE, a pag. 15, con il titolo "Netanyahu: entro l'anno gli Usa a Gerusalemme ", il commento di Luca Geronico; dall' OSSERVATORE ROMANO, a pag. 1, la breve "Trump taglia i fondi ai palestinesi", preceduti dai nostri commenti.

Ecco gli articoli:

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Terroristi palestinesi

LA STAMPA - Giordano Stabile: "L’ira di Abu Mazen: 'Noi a Gerusalemme prima degli ebrei' "

Il titolo della Stampa è fuorviante, perché presenta una tesi pseudo-storica, propugnata da Abu Mazen per l'ennesima volta al solo scopo di "dimostrare" l'estraneità degli ebrei alla regione dell'attuale Israele, come una tesi credibile. E' invece una menzogna, porla nel titolo  e nella dimensione di quasi una pagina intera, significa legittimare una menzogna. Lo diciamo al responsabile esteri, augurandogli di non sprecare, la prossima volta, spazio per una notizia da niente.

Ecco il pezzo:

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Giordano Stabile

La doppia mossa di Donald Trump ha messo nell’angolo il vecchio raiss. Abu Mazen ha reagito con rabbia. A ogni discorso i toni, da increduli, sono diventati sempre più duri. Un salto indietro di trent’anni, fino alla ricusazione degli accordi di Oslo, del riconoscimento dello Stato ebraico.
Ieri al Cairo, il presidente palestinese è tornato su una vecchia tesi, quella della discendenza dei palestinesi dai cananei, che vivevano a Gerusalemme «anche prima degli ebrei». Un muro posto davanti a qualsiasi compromesso sulla Città Santa, riconosciuta dalla Casa Bianca come capitale di Israele.
Abu Mazen, 83 anni il prossimo 26 marzo, è in un angolo. I maggiori alleati arabi, e Egitto e Arabia Saudita, agiscono in accordo con gli Stati Uniti, anche se non lo dicono.

Fra Hamas e Israele
Il nuovo piano di pace prevede la rinuncia a Gerusalemme, e come capitale palestinese il sobborgo di Abu Dis. I regimi filo-occidentali lavorano per convincere l’opinione pubblica, e per il raiss sarebbe un suicidio buttarsi nelle braccia di Iran o Turchia, sponsor dei suoi mortali rivali, prima di tutto Hamas. I finanziamenti americani, come si è visto con il dimezzamento dei fondi all’Unrwa, restano decisivi per la sopravvivenza dei palestinesi: un terzo arrivano dagli Usa, un sesto da Riad.
Domenica a Ramallah Abu Mazen ha denunciato il piano saudita e le decisioni di Trump come «un schiaffo in faccia». Ma l’alternativa è ormai cedere a Israele o cedere ad Hamas, avvallare la «Terza Intifada». Ieri al Cairo il raiss ha cercato di uscire dall’angolo, ha denunciato «l’ipocrisia» dei presidenti americani che fingono di «maledire i loro predecessori, promettono, ma non danno nulla» e non sono più «mediatori credibili». L’alternativa non si vede, una «conferenza di pace internazionale» che sostituisca i negoziati bilaterali resta un miraggio.
Abu Mazen ha bollato come un «peccato» il trasferimento dell’ambasciata americana. Il richiamo alla sacralità di Gerusalemme non riesce però a mobilitare le masse palestinesi, figuriamoci arabe. Un altro «schiaffo» Abu Mazen lo ha ricevuto alla riunione della Lega araba ad Amman, quando il ministro degli Esteri degli Emirati Abdullah bin Zayed al-Nahyan lo ha accusato di non essere in grado di «difendere» la Città Santa. Pesa il consenso, ormai bassissimo, per l’Autorità nazionale, accusata dai giovani sempre più disillusi di corruzione e nepotismo, e di collaborare con lo Shin Bet israeliano.

L’intesa sulla sicurezza
Il punto è: finché regge l’intesa israelo-palestinese sulla sicurezza, la Casa Bianca può osare. La rinuncia all’accordo sul controllo del territorio metterebbe a rischio la stessa Autorità nazionale palestinese, minacciata dagli islamisti. Nonostante i toni da guerra Abu Mazen alla fine ha ribadito che la violenza non è un’opzione per far valere i diritti dei palestinesi e che la «nostra posizione resta la richiesta di uno Stato nei confini del 1967».
La narrativa può tornare pure agli Anni Ottanta, ma secondo la Casa Bianca, rivela l’analista del Washington Institute David Makovsky, «è soltanto un raid preventivo», volto ad arginare le mosse di Washington e sperare di un cambio della guardia in Israele nelle elezioni del 2019.

AVVENIRE - Luca Geronico: "Netanyahu: entro l'anno gli Usa a Gerusalemme"

La stampa cattolica, con Avvenire e Osservatore Romano, oggi attacca Netanyahu e Trump per le dichiarazioni sul secondo a proposito dello spostamento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme. Non c'è spazio, in questi commenti, per opinioni della parte israeliana, ma solo per voci arabe palestinesi. Nessuno stupore, quindi, nel non leggere neanche una riga sul terrorismo arabo palestinese, ma solo accuse e indignazione a senso unico contro l'unica democrazia del Medio Oriente.

Ecco il pezzo:

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Benjamin Netanyahu

“Lo spostamento dell'ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme sarà molto più veloce di quanto si pensi: avverrà entro un anno da oggi». In volo verso la capitale indiana New Delhi, Benjamin Netanyahu ha lanciato un chiaro messaggio sui tempi tecnici relativi al processo di riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Nelle dichiarazioni durante il viaggio in aereo, il premier israeliano ha pure elogiato il cambio di rotta dell'Amministrazione Trump sull'accordo nucleare con l'Iran avallato da Barack Obama. «Annullare l'accordo è ciò che hanno detto di voler fare», ha detto il premier israeliano che ha salutato con favore il dimezzamento dei fondi Usa all'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa): «Da 70 anni l'organizzazione perpetua la narrativa palestinese e l'abolizione del sionismo, e questa è la prima volta che gli americani la sfidano», ha aggiunto Netanyahu. Quanto al trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme entro il 2018, precisava Haaretz, è una affermazione in base a una «valutazione solida». La dichiarazione fa intuire una decisa accelerazione della tabella di marcia dopo che in dicembre il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, aveva dichiarato che il trasferimento non sarebbe avvenuto probabilmente prima di due anni. Il 6 dicembre il presidente Usa, Donald Trump, aveva riconosciuto Gerusalemme capitale di Israele e annunciato, senza fornire alcuna tempistica, il trasferimento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Ieri, intanto, al Cairo ha preso il via la Conferenza internazionale organizzata da al-Azhar, la più importante istituzione dell'islam sunnita, su Gerusalemme con la partecipazione dei rappresentanti di 86 Paesi. Presente pure, tra gli altri, il patriarca copto ortodosso Tawadros II. Il presidente dell'Anp, Abu Mazen ha bollato la scelta di Trump come una «decisione peccaminosa». II leader palestinese ha ribadito che «l'amministrazione americana non è più affidabile per mediare fra noi e gli israeliani». «II complotto contro Gerusalemme è di natura colonialista e americana e contraddice il diritto internazionale e sfida la volontà della comunità internazionale», ha aggiunto ribadendo che Gerusalemme resta la capitale eterna della Palestina. Nel discorso ad alAzhar, Abu Mazen ha poi esortato musulmani e cristiani a visitare Gerusalemme per dare sostegno alla città senza timore che il viaggio rappresenti un segno di «normalizzazione» con il suo «carceriere»: Israele. II Grande imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, ha invece proposto di fare del 2018 «l'anno di Gerusalemme»: l'obiettivo è di «informare il mondo su questo problema, sostenere moralmente e materialmente gli abitanti». II congelamento parziale dei fondi americani destinati all'agenzia dell'Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) «punta a liquidare la questione dei rifugiati», ha invece dichiarato il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Abul Gheit. Papa Francesco ha inviato un messaggio, consegnato al nunzio apostolico in Egitto, Bruno Musarò, in cui si afferma la necessità di «una ripresa del dialogo tra israeliani e palestinesi per una soluzione negoziata» per giungere - come riferito dal Sir - a una «pacifica coesistenza di due Stati» secondo i confini internazionalmente riconosciuti, «nel pieno rispetto della natura peculiare di Gerusalemme, il cui significato va oltre ogni considerazione circa le questioni territoriali».

OSSERVATORE ROMANO: "Trump taglia i fondi ai palestinesi"
 
 
La solita velina, una colonna in prima pagina. Un appunto per un prossimo colloquio cristiano-ebraico: chiedere conto della posizione anti-Israele dei due quotidiani della Santa Sede (S.S.).

L'amministrazione statunitense ha annunciato ieri di aver tagliato 65 dei 125 milioni di dollari destinati alla Unrwa, l'agenzia dell'Onu che assiste i profughi palestinesi. Lo ha reso noto il dipartimento di stato in una lettera nella quale chiede all'agenzia «un riesame fondamentale della sua attività». I restanti 60 milioni saranno erogati per impedire che l'Unrwa chiuda del tutto i battenti. Il taglio ai finanziamenti era stato più volte annunciato in passato dal presidente Donald Trump. «I palestinesi non vogliono negoziare il trattato di pace atteso da tempo con Israele» aveva dichiarato il capo della Casa Bianca motivando così la sua decisione. Dure le critiche da parte palestinese. La scelta di Trump — ha detto Hanan Ashrawi, portavoce dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) — «creerà condizioni che porteranno a maggiore instabilità nella regione e dimostra che non c'è senso di colpa nel colpire degli innocenti». Nei giorni scorsi, in polemica contro la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele, il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, aveva denunciato la fine degli accordi di Oslo e annunciato che non accetterà più la mediazione statunitense nel contenzioso con gli israeliani.

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