Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/01/2018, a pag.23 con il titolo "Quali pericoli per il dialogo ebraico-cristiano" la cronaca di David Meghnagi.
David Meghnagi
Il 17 gennaio si celebra la giornata del dialogo ebraico cristiano. Un momento importante, in cui sarà bene riflettere insieme sulle ambiguità e sui pericoli che si annidano in una situazione politica e culturale deteriorata.
A Milano il 9 dicembre c’è stata una manifestazione filopalestinese. Come in altre parti d’Europa, seguendo uno stesso copione, nel corso della manifestazione si sono levati dalla folla appelli in lingua araba per lo sterminio degli ebrei. Con esplicito richiamo al racconto coranico dell’eccidio degli ebrei di Kheibar.
Le istituzioni islamiche coinvolte nell’organizzazione della manifestazione, hanno finto di niente, e fino a che l’episodio non è emerso nella sua gravità. Nonostante le ripetute sollecitazioni delle istituzioni ebraiche italiane, si attende una denuncia chiara di quanto accaduto.
Milano, la manifestazione del 9 dicembre al grido 'morte agli ebrei'
I manifestanti non erano molti. Dobbiamo attendere che si moltiplichino, forti dell’impunità, per rispondere a un pericolo che mette in discussione i fondamenti stessi della convivenza civile? Il progresso del dialogo ebraico cristiano è stato enorme. Il cambiamento è stato profondo. Ma è purtroppo maturato dopo la morte di un milione e mezzo di bambini. Da «perfidi giudei», gli ebrei si sono trasformati in «fratelli maggiori». Sul piano teologico si è trattato di un vero e proprio capovolgimento d’immagini simboliche nel loro opposto. L’ambivalenza però rimane. Ed è tra l’altro evidente nella scelta dell’immagine per rappresentare il cambiamento. Nei racconti biblici, i fratelli maggiori, per varie ragioni finiscono per «perdere» la «benedizione» della primogenitura.
La Santa Sede ha instaurato rapporti diplomatici con Israele. Ha firmato un impegnativo protocollo che la impegna nella lotta contro l’antisemitismo. Il riconoscimento e lo scambio di ambasciate sono però avvenuti dopo la guerra del Golfo, quando non era possibile rimandare la decisione. Il pontefice ha visitato Israele in occasione del Giubileo. Il suo fu un viaggio importante, che ha lasciato un segno profondo nel cuore degli israeliani. Ma per evitare complicazioni con il mondo arabo e islamico, una parte della Curia ha impedito che la visita avvenisse prima.
Se si confronta l’attuale situazione con le dichiarazioni di un alto esponente dei gesuiti all’indomani dello sterminio, secondo cui le «Leggi razziali» del ’38 non erano tutte sbagliate, e che forse qualcuna di quelle famigerate leggi poteva essere conservata, il cambiamento è evidente. Ciononostante le amarezze non mancano.
Come per esempio di fronte ai tentativi negazionisti di riscrivere la storia, grazie a una maggioranza di stati autoritari e antidemocratici che hanno preso in ostaggio l’Unesco. Un silenzio che stride con la condanna netta e immediata, che è seguita all’intenzione degli Usa di trasferire l’ambasciata americana a Gerusalemme.
Nei movimenti cattolici di sinistra e d’ispirazione terzomondista, l’antigiudaismo preconciliare, trova un suo prolungamento nella rappresentazione falsata della realtà, in cui il ritorno ebraico alla «Terra dei Padri», è ridotto - e descritto - a un’impresa «coloniale», che marcionicamente sancisce una nuova «caduta», trasformando lo Stato degli Ebrei, nell’Ebreo degli Stati.
Non bisogna però perdersi d’animo. Con la dolorosa consapevolezza, ma a questo punto anche saggezza che deriva dal senso dei limiti, guardare sempre al futuro con rinnovata speranza. Facendo di tutto perché i progressi avvenuti siano coltivati ed estesi al dialogo con le altre fedi.
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