IC7 - Il commento di Enrico Fubini
Dal 7 al 13 gennaio 2018
Pena di morte per i terroristi?
Terroristi arabi palestinesi
In questi giorni una nuova polemica riempie i giornali israeliani: è lecita la condanna a morte per i terroristi? Molte considerazioni a questo proposito si sono lette, alcune pro, altre contro. Evidentemente è un problema di grande rilevanza etica oltre che politica che infiamma l’opinione pubblica, esasperata dopo decenni di terrorismo. Ovviamente c’è terrorismo e terrorismo: c’è il giovane esaltato che cerca di colpire con un coltello il soldato o il malcapitato che passa in quel momento per la strada, c’è il terrorismo organizzato che con efferata crudeltà stermina un’intera famiglia, bambini compresi. La legge proposta in parlamento dal partito Israel Beitenu (Israele, la nostra casa) di Bennet e sostenuta anche da Lieberman, ministro della difesa, e approvata in prima lettura con una maggioranza molto risicata (52 contro 49) in realtà modifica ben poco l’attuale legge che già prevede la condanna a morte in alcuni casi estremi e già approvata nel lontano 1977. La differenza tra il prima e il dopo consisterebbe solo nel fatto che nella vecchia legge da applicarsi in Giudea e Samaria di fronte a un tribunale militare la pena di morte poteva essere proposta solo da una giuria composta da tre giudici militari di alto grado che dovevano esprimersi all’unanimità, mentre con la nuova legge sarebbe sufficiente un voto di maggioranza.
Dal 1977 nessuna giuria ha mai proposta la pena di morte per cui la legge è rimasta inapplicata e probabilmente oggi, se la nuova legge dovesse passare nelle altre due letture necessarie, rimarrebbe ugualmente inapplicata. Si tratta perciò di una questione di principio che oggi i partiti di destra sventolano per motivi elettorali. Si legge sui giornali che secondo i sondaggi il 70% degli israeliani gradirebbero in misura maggiore o minore la pena di morte e si capisce perciò il motivo per cui i partiti di governo cercano di fare passare in parlamento una legge che non sarebbe per nulla nuova ma che faciliterebbe in qualche modo l’applicazione della pena di morte. Il primo ministro Netanyahu sembra oscillante: più volte si era espresso per la pena di morte di fronte alla efferatezza di alcuni atti terroristici ma oggi non sembra entusiasta nel sostenere la nuova proposta di legge alla Knesset. In realtà praticamente nulla cambierebbe e il dibattito rimane perciò in una sfera del tutto teorica, anche se non meno importante.
Persino il duro ministro della giustizia, Ayelet Shaked del partito di Bennet ha affermato in un’intervista che “non c’è nessun bisogno di una nuova legge perché oggi la pena di morte è già prevista”. Nonostante la natura squisitamente teorica del dibattito tuttora in corso, molte personalità importanti nel paese hanno preso posizione chi pro e chi contro sulla pena capitale e tra queste il Procuratore generale, Avichai Mandelblit, che si è pronunciato contro affermando che la pena di morte non è mai stata un deterrente contro gli atti terroristici. Altri ancora, nel campo di chi è favorevole, temono che scambi di prigionieri, come sono già avvenuti in passato restituiscano la libertà a terroristi che non avrebbero il diritto di stare in questo mondo. Altre preoccupazioni anche di natura politica oltreché etica esprimono coloro che ritengono che la pena di morte comunque offenda la dignità umana e temono che una legge che faciliti la pena di morte renda ancora più difficili i nostri rapporti con l’Europa. Per coloro che si sono espressi contro la pena capitale non sono estranee anche motivazioni di carattere etico-religiose: nella tradizione ebraica talmudica le condanna a morte è prevista ma di fatto è resa di così difficile applicazione da renderla praticamente inattuabile. L’attuale legislazione rispecchia in certo modo questa tradizione secondo cui la condanna è prevista ma non è stata mai attuata, altro che nel caso di Adolf Eichmann nel 1962. La sua applicazione pratica è resa talmente macchinosa, anche dal punto di vista burocratico, da renderla di difficile attuazione. Non è affatto detto che nelle prossime due letture la nuova legge ottenga ancora una maggioranza seppur risicata. Anche se così fosse, nella realtà nulla cambierebbe, ma il dibattito può comunque essere una spia importante per verificare gli umori del paese in questo momento storico così delicato e complesso.
Enrico Fubini, già docente di Storia della musica presso l'Università di Torino