Duemila e oltre
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
questa è una cartolina un po’ speciale: se il conteggio che ne tengo sul mio computer è giusto, siamo arrivati alla cartolina numero 2000, a partire dalla prima, nel 2009. Quella dei numeri tondi, naturalmente è una piccola superstizione innocua: non c’è nessuna qualità speciale negli anniversari decennali o nei centenari, se non quella che ci mettiamo noi. Basterebbe cambiare base di numerazione e i conti cambierebbero. In base dodici, per esempio, i numeri tondi capitano a 12, 144, 1728 - quantità che a noi non dicono nulla. Ma nella vita è utile darsi degli obiettivi usarli come momenti di rallegramento, come facciamo coi compleanni, a patto di usarli anche come punti di riflessione critica.
Duemila cartoline vuol dire grosso modo seimila pagine. Diciamo venti libri di dimensioni dignitose. Grazie all’insistenza di Informazione Corretta e del suo direttore Angelo Pezzana, ne è uscito finora uno, decisamente grosso, che raccoglie i testi meno occasionali fino al 2015. Si intitola “Israele, diario di un assedio” (Proedi Editore), e il titolo rispecchia la mia sensazione di due anni fa, quando lo scelsi. Oggi non sceglierei la metafora dell’assedio, perché con lo schieramento antiraniano sono cambiati i dati sul terreno e l’elezione di Trump ha fatto fallire il tentativo di strangolamento di Israele che Obama aveva tentato durante la sua presidenza. Lo smantellamento delle politiche antisraeliane e antiamericane di Obama è un merito storico di Trump, che lentamente sta emergendo nonostante l’assalto diffamatorio dei media americani (e per quel che conta anche italiani). Oggi è rimasta l’Europa a fare quella politica, ma sempre più debole, evidentemente fuori sincrono con l’evoluzione della politica internazionale e pesantemente divisa al suo interno.
Seimila pagine, tutte sullo stesso ambito tematico: Israele, l’ebraismo, l’antisemitismo, l’antisionismo, il terrorismo, Eurabia. E’ una quantità che un po’ mi spaventa, perché testimonia di un accanimento, o di una certa grafomania. Non so se essere contento della mia coerenza, o spaventato dall’ostinazione che ho dimostrato e che, nei limiti delle mie possibilità, intendo continuare a perseguire. Forse queste seimila pagine sarebbero state più efficaci se fossero state quattromila o duemila, sempre con lo stesso numero di articoli. Mi piacerebbe saper essere più succinto. A mia discolpa posso citare una battuta celebre: "Mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve". E’ Pascal, che scrive intorno al 1656, una delle sue “Lettres Provinciales”. Scritte ogni giorno come un tempo, o quattro volte alla settimana come oggi, le cartoline sono un impegno pesante, diciamo due ore l’una in media fra lavoro di documentazione e di scrittura. Per continuare a giocare coi numeri, 2000 volte due ore fa 4000 ore, cioè 500 giorni a l tempo pieno di otto ore al giorno. Un po’ di difficoltà a fare il lavoro di sintesi ci sta.
Aggiungo ancora che ho sempre cercato di mettere le mie fonti, di riportare esattamente dati ed espressioni, aggiungendo i link, non solo per evitare spiacevoli reazioni giudiziarie alle mie polemiche, che sono dure e spesso sarcastiche, ma sempre corrette quanto a fatti ed opinioni considerate, ma anche con la speranza che qualcuno andasse a vedere le fonti che ho trovato. Anche in questo scrupolo, se volte, potete vedere un senso polemico. Se io riesco a trovare tantissime notizie che i giornali non riportano, stando per lo più in Italia, senza che questo sia il mio mestiere, perché nessuno mi ha mai pagato per le mie cartoline, e il lavoro è un altro - perché i signori giornalisti professionisti che scrivono di Israele in redazione o da corrispondenti non raccontano le storie spesso assai notevoli, che racconto io? Non posso credere che non lo sappiano fare. Il fatto è che non vogliono o non possono, non glielo fanno fare, perché i fatti danno ragione a Israele e questo non è accettato dall’ideologia corrente. La controprova è che non sono per nulla solo in questo lavoro: un certo numero di bravi giornalisti che raccontano i fatti sul Medio Oriente ci sono, alcuni sui giornali, come Nirenstein, Meotti e Molinari, altri sul web (i soliti, che mi scuseranno se non li nomino). Ma nel contesto dei media sono pochi, pochissimi: meritevoli eccezioni.
Arriviamo così al nocciolo della mia riflessione. Ma vale la pena sprecare tanto tempo e tante energie per questo lavoro? Non si potrebbe lasciar stare e dedicarsi a cose più piacevoli, evitando fra l’altro il danno collaterale di dover inghiottire tutto l’odio, tutte le cattive notizie, tutta la rabbia per l’antisemitismo e l’antisionismo di media e politici spesso autorevoli e ancor di più, tutta l’ipocrisia che li avvolge? Me lo chiedo spesso, credete. Ma la risposta è no, non bisogna mollare. Perché quella contro Israele è una guerra, che continua i secoli e millenni di odio antisemita; e questa guerra si è sempre svolta prima sul piano dello scontro delle idee e solo dopo sul piano fisico. C’era bisogno che le orribili calunnie medievali contro gli ebrei (il deicidio, l’uso del sangue dei bambini per impastare il pane azzimo, l’avvelenamento dei pozzi, la profanazione delle ostie e tutto il resto) prima che si svolgessero le stragi, i roghi dell’Inquisizione, le espulsioni da città e stati, le reclusioni nei ghetti. C’è voluto un secolo e passa di accumulo di antisemitismo “laico” in Europa (oltre al vecchio antigiudaismo cristiano) fatto della diffamazione culturale dei Kant e dei Voltaire, dello schifo culturale dei Wagner, oltre che del razzismo vero e proprio, per rendere accettabile e quasi naturale la Shoà. Lo stesso è accaduto nel mondo islamico.
Oggi la diffamazione è più rara sull’ebreo come persona o come stereotipo, ma si esercita con tutta la sua violenza e una caratteristica, “virtuosa” buona fede da parte di Ong cattoliche, militanti socialcomunisti, utopisti vari, oltre che naturalmente dagli avanzi più virulenti del nazifascismo su Israele. Dunque una battaglia delle idee è necessaria, è urgente e riguarda sia Israele che gli ebrei della diaspora (anche se alcuni di loro, per interesse o contagiati dall’utopismo antisionista senza capirlo davvero, si aggiungono vergognosamente al coro dei nemici di Israele). Bisogna continuare a battersi su questo terreno: come ebreo lo considero un obbligo nei confronti del mio popolo, ma anche come cittadino italiano ed europeo penso che sia assolutamente necessario, perché oggi i nostri paesi sono governati da un’ideologia terzomondista e socialista “liquida”, autodistruttiva e suicida, che va combattuta perché l’Europa dei diritti e dello sviluppo, della scienza e soprattutto della libertà possa continuare a esistere e non sia travolta dall’invasione in corso. Per quel che posso, non ho perso la voglia di fare questa battaglia.
Ugo Volli