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Il 'sionismo sintetico' di Avram Isel’son Commento di Giuliana Iurlano
L’antisemitismo ha vissuto in Russia due vite, anch’esse legate allo storico spartiacque del 1917. Due vite, tuttavia, in perfetta sintonia l’una con l’altra, anche se divise da motivazioni istituzionalmente separate, ma in realtà coincidenti. Lo stesso sionismo in Russia subì un cambio di marcia, in conseguenza dei fatti del 1917, che spinsero il movimento a darsi tempi e modi diversi rispetto al periodo zarista. Il personaggio che più di altri incarnò questa svolta e ne fu in qualche modo travolto fu Avram Idel’son. In un capitolo a lui dedicato in Russian Idea, Jewish Presence: Essays on Russian-Jewish Intellectual Life (Boston, Academic Studies Press, 2013), Brian Horowitz analizza il pensiero e l’azione di Idel’son, ma nel contempo ci fornisce uno spaccato molto interessante della vita intellettuale di un certo numero di ebrei russi, che si avvicinarono e aderirono al sionismo politico da un versante tutto russo, interamente inserito all’interno della cultura russa. Idel’son, insieme a Daniil Pasmanik, Yuly Brutskus, Vladimir Jabotinsky e alcuni altri, articolarono la loro adesione al sionismo nei termini di un “sionismo sintetico”.
La formula appare alquanto misteriosa, ma perfettamente spiegabile con la profonda adesione e compartecipazione alla cultura russa da parte dei “sionisti sintetici”. Inoltre, questa nuova formulazione si inseriva in un contesto intellettuale ebraico russo già percorso da fermenti sionistici propri del movimento Hibbat Tsion (Amore di Sion), in cui personaggi come Leo Pinsker e Ahad-Ha’am aprirono la strada sia ai “sionisti sintetici” sia a quei sionisti che più tardi dettero una svolta decisiva al movimento, indirizzandolo verso obiettivi politici ben precisi (Hayim Weizmann, Martin Buber, Menachem Usishkin, David Ben-Gurion). Idel’son era profondamente radicato nella vita intellettuale russa, tanto che egli non si traferì mai in Eretz-Israel. Questo atteggiamento è appunto legato alla sua particolare concezione del sionismo. Per Idel’son, i due maggiori pericoli per gli ebrei russi erano l’antisemitismo e l’assimilazione; e, del resto, i suoi frequenti viaggi in ogni parte dell’Europa lo convinsero della bontà delle sue convinzioni. Il suo “sionismo sintetico” contemplava due aspetti: incrementare la vita ebraica in Russia per mezzo dell’educazione e dell’attivismo. Gli ebrei russi, dunque, dovevano rafforzare la loro unità come gruppo sociale e culturale attraverso lo studio, l’arricchimento della propria identità ebraica e l’impegno concreto in seno alla comunità. Questo era il punto di partenza indispensabile per il secondo aspetto del sionismo di Idel’son: la Galut (la diaspora) era la base fondamentale, da ogni punto di vista, per affrontare l’emigrazione in Eretz-Israel. In sostanza, il rafforzamento della vita nazionale ebraica nella Galut era il presupposto essenziale per la successiva “salita” a Sion. Tale rafforzamento avrebbe evitato il pericolo dell’assimilazione, consentendo all’ebreo russo di abbracciare il progetto dell’emigrazione nella Terra di Israele. Nello stesso tempo, in Russia, era esploso il nazionalismo, l’idea, cioè, che le varie nazionalità presenti nel territorio russo dovessero tutte partecipare alla vita politica dell’Impero. Questo era un pericolo per i sionisti di Idel’son, perché il nazionalismo avrebbe potuto distogliere parte dei sionisti dal progetto del “sionismo sintetico”, che aveva come punto di arrivo il ritorno degli ebrei in Eretz-Israel. Tra l’altro, un eventuale nazionalismo ebraico nella Galut – in considerazione del profondo antisemitismo russo – era impossibile e, nello stesso tempo, uno sviluppo in senso capitalistico dell’economia russa avrebbe portato all’assimilazione. Sia il nazionalismo sia la modernizzazione capitalistica erano i nemici del “sionismo sintetico” di Idel’son e del suo obiettivo finale. Il vero problema insito nel pensiero di idel’son, sia prima, sia soprattutto dopo il fatidico 1917, era il contesto sociale russo in cui da secoli era inserita una grande comunità ebraica. Se nel periodo zarista la prima parte del “sionismo sintetico” di Idel’son poteva avere un senso – in termini estremamente ridotti e comunque insufficienti per passare alla seconda fase ¬–, nella Russia comunista, dove i particolarismi nazionali erano combattuti in nome dell’unità proletaria, la prima fase del progetto di Idel’son era impossibile. Così, la vittoria del bolscevismo, da una parte, e la Dichiarazione Balfour, dall’altra, posero fine, di fatto, al “sionismo sintetico” di Idel’son. Si trattava di due eventi ben diversi, di fatto opposti, ma che confluirono a determinare il superamento del progetto di Idel’son. L’antisemitismo comunista chiuse definitivamente gli spazi alla possibilità di un’autonomia culturale dell’ebraismo russo, perseguitando ferocemente ogni tipo di “deviazionismo”, anche intellettuale. Da parte sua, invece, la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 conferì al sionismo politico una legittimazione politica straordinaria, dopo secoli di sottomissione, inaugurando una stagione, non sempre lineare, ma di grande impatto sull’ebraismo europeo, poi americano. Weizmann, Ben-Gurion, Usiskhin, superando ogni velleità di “sintesi”, come avrebbe voluto Idel’son, condussero il movimento sionista ad una fase di unità di intenti che permise agli ebrei di ritornare, dopo duemila anni, in Eretz Israel e di fondarvi poi lo Stato di Israele.
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