Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 09/01/2018, con il titolo "Gerusalemme e Corea da Papa Francesco appello al negoziato", il commento di Paolo Rodari.
Il pezzo di Paolo Rodari contiene Gerusalemme quasi solo nel titolo, e soprattutto omette di riportare le dichiarazioni di Papa Bergoglio sulla capitale di Israele. Il Papa ha affermato ieri che occorre "difendere lo status quo" - una evidente critica alla decisione recente di Donald Trump di spostare l'ambasciata Usa da Tel Aviv proprio a Gerusalemme -. Quello che non ha invece detto è che Gerusalemme è la capitale di Israele, e solo da quando è unita sotto l'amministrazione israeliana è possibile a tutti - cristiani, ebrei, musulmani e altri ancora - accedere a tutti i luoghi della capitale. Queste le parole del Papa, ignorate dal cronista.
Ecco l'articolo:
Paoa Bergoglio
L’hanno definito «Papa comunista». Niente di più falso. E il discorso di ieri ai 183 ambasciatori i cui Paesi hanno rappresentanza presso la Santa Sede lo dimostra. Francesco, il primo vescovo di Roma a non aver partecipato al Concilio Vaticano II, perché è stato ordinato prete solo nel ’69, rilegge in chiave critica l’anno-totem della sinistra, il Sessantotto. È da lì, dice, che è partita la «colonizzazione ideologica». Il riconoscimento dei diritti è una cosa positiva, poiché riguarda «la promozione di ogni uomo», ma, osserva, esiste il rischio che «una visione riduttiva della persona umana apra la strada alla diffusione di ingiustizia, ineguaglianza sociale e corruzione». Come gli accadde in Argentina da vescovo quando da sinistra lo accusavano di essere un conservatore, Francesco ancora oggi demolisce le categorie in cui vogliono ingabbiarlo e offre ai diplomatici un discorso in continuità teologica e dottrinale con Joseph Ratzinger, il Papa della resistenza al relativismo culturale. Anche sui migranti, Bergoglio non avalla gli stereotipi delle «porte aperte a tutti» e, come aveva già fatto di ritorno dalla Svezia, chiede accoglienza ma con prudenza. Sui fronti più caldi, il Papa vuole negoziati. A cominciare dalla Siria e dalla Corea. E alla segreteria di Stato dà mandato di attuare la sua geopolitica della misericordia: puntare su ciò che unisce piuttosto che su ciò che divide. Così, anche a Gerusalemme, nei Paesi africani e del Sudamerica dove sta per recarsi per aiutare a superare i contrasti. Come fece Wojtyla quando pacificò Argentina e Cile arrivati a un passo dalla guerra, così la discesa di Bergoglio in Cile e Perù vuole conciliare un’area in turbolenza: «Il Venezuela attraversa una crisi drammatica», dice. E, insieme, rimarginare la distanza fra Roma e le Chiese locali. L’opposizione di Roma alla teologia della liberazione spesso ha tagliato fuori anche i frutti migliori, quella teologia etnica che piace da sempre al Papa argentino.
Per inviare la propria opinione alla Repubblica, telefonare 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante