Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 08/01/2018, a pag. 12, con il titolo "Rivolta in Iran, furia ayatollah. Ahmadinejad è in manette", il commento di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA a pag.1, con il titolo "Il silenzio colpevole dell'Europa", il commento di Gian Enrico Rusconi preceduto da un nostro commento; dal CORRIERE della SERA, a pag. 10, con il titolo "Mille arresti. Che fine ha fatto Ahmadinejad?", il commento di Viviana Mazza.
Ecco gli articoli:
Mahmoud Ahmadinejad, ex presidente iraniano
Il Giornale - Fiamma Nirenstein: "Rivolta in Iran, furia ayatollah. Ahmadinejad è in manette"
Fiamma Nirenstein
Sembra uno scherzo: Mahmoud Ahmadinejad sarebbe stato messo agli arresti domiciliari a Shiraz per incitamento al disordine. E il ministro dell'Intelligence ha dichiarato: «Tutto è nato da una sedizione interna». E nessuno ha fatto fatica a pensare che si tratti proprio dell'ex presidente. È un paradosso immaginare che nell'ambito della repressione contro la folla scesa in piazza per chiedere la libertà, sia stato rinchiuso anche il peggiore ex leader dell'Iran più duro, un vero fanatico, intento durante il suo mandato dal 2005 al 2013 a costruirsi la bomba atomica per distruggere Israele e per fare a pezzi l'odiata America, e dedicatosi nel frattempo alla maggiore repressione religiosa dei propri concittadini. È lui che costruì archi di trionfo e strade di marmo a Hom, per accogliere il Mahdi, ovvero il messia sciita, una volta che gli fu chiesto conto delle impiccagioni degli omosessuali, rispose che nel suo Paese non esistevano omosessuali. E che dopo un suo discorso all'Onu dichiarò che aveva improvvisamente percepito che lo spirito stava discendendo su tutta l'Assemblea, più o meno pronta a essere convertita. La verità è che Ahmadinejad è stato un personaggio feroce, irragionevole, degno della sua genesi come studente-rapitore degli americani nel '79. Ma si è sempre pregiato di essere di povera famiglia: ha posato, con la sua giacchina bianca sbertucciata e la faccia da miserabile, da uomo del popolo, e può darsi benissimo che abbia dichiarato durante una visita alla città di Busher che la leadership attuale è «distante dai problemi e dalle preoccupazioni della gente, non vive nella realtà, non sa nulla della situazione sociale. Credono di essere i padroni di una società ignorante». È una dichiarazione che si attaglia allo spirito populista di Ahmadinejad, uno che vuole tornare potente incarnando il proletariato, che già nel 2013 è stato arrestato, che nel 2017 voleva di nuovo correre per presidente e ne è stato sconsigliato da Khamenei. L'arresto è legato alla reazione decisa del governo di Rouhani e degli ayatollah: l'oscuramento dei mezzi di comunicazione impedisce un'informazione precisa. Ma il tentativo di dare la rivolta per morta è una falsità. La ruota dello scontento e della fame di cambiamento gira, ed è più diffusa di quella del 2009, concentrata solo nelle grandi città. Anche sabato notte la gente è uscita per le strade; ci sono quasi 2mila persone imprigionate fra cui i tre quarti sono studenti, di un centinaio di loro non si sa più nulla. Il numero dei morti si conta a decine, ma anche qui le notizie sono nascoste. Ieri è stata convocata una seduta parlamentare cui hanno sentito il democratico dovere di partecipare ministri e guardie rivoluzionarie, gli stessi che poi senza complimenti ordinano la repressione. Cosa succederà? È difficile dirlo. La folla è uscita in piazza soprattutto richiedendo una vita migliore. Abbiamo sentito predicare mille volte, mentre si stilava l'accordo sul nucleare, che esso avrebbe portato a una migliore economia e a una maggiore moderazione. È successo il contrario: l'Iran è diventato più attivo nel finanziamento di operazioni belliche e terroriste che hanno depauperato la popolazione. I regimi cadono quando si spezzano le classi dirigenti e gli apparati di sicurezza, e questo avviene solo quando la spinta internazionale dà coraggio al disaccordo interno. È indispensabile, ma sembra che solo Nikky Haley abbia espresso il suo supporto. Mentre è con un senso di vergogna che tocca a guardare come i francesi, voce europea al Consiglio di Sicurezza, ripetano che mentre guardano con «vigilanza e preoccupazione» chiedano di non accedere a «posizioni strumentali». Cioè che si seguiterà a commerciare. Che pena. Per arricchire l'Iran? No, solo la classe dirigente, risponde il popolo in piazza, corrotta e guerrafondaia.
LA STAMPA - Gian Enrico Rusconi: "Il silenzio colpevole dell'Europa"
Di condivisibile c'è soltanto la titolazione. Seguendo il più smaccato conformismo, Rusconi non fa altro che prendersela con Trump, invece di analizzare seriamente il regime degli ayatollah. Si lamenta che non ci sia un intervento dell'Europa, ma con l'apprezzamento della Mogherini e l'Accordo sul nucleare di Obama possiamo immaginare quale intervento vero a sostegno dei manifestanti Rusconi ha in mente. Altroché difesa dei diritti umani e civili, il suo commento è in realtà una difesa dell'attuale governo iraniano, della brutale repressione come abbiamo anche letto sul giornale sul quale scrive.
Gian Enrico Rusconi
L’Europa deve reagire attivamente a quanto sta accadendo in Iran. Non può assistere impotente ad una repressione in atto con migliaia di arresti, compresi studenti e persone non coinvolte nelle manifestazioni di protesta iniziate nelle settimane scorse e arrestate a titolo preventivo. L’Europa deve essere ferma e netta nella disapprovazione, pur senza assumere l’atteggiamento di Trump che finisce in vero e proprio incitamento alla rivolta.
Un incitamento che non solo avvalla la denuncia dei governanti iraniani che la rivolta sarebbe stata fomentata da potenze straniere, ma provoca un inevitabile deterioramento dei rapporti con il regime iraniano. Un circolo vizioso che servirà a Trump per giustificare la desiderata disdetta dell’accordo sul nucleare, raggiunto dalla amministrazione Barak Obama e convintamente condiviso dagli europei.
A questo punto l’Europa deve scrollarsi di dosso l’accusa fatta dal vice di Trump, Mike Pence, di un «Europa pavida», che non prende posizione. Non può quindi accontentarsi della dichiarazione dell’Alto rappresentante per la Politica estera europea, Federica Mogherini, che «dimostrazioni pacifiche e libertà di espressione sono diritti fondamentali che si applicano a ogni Paese e l’Iran non fa eccezione». L’Europa deve fare una politica attiva autonoma, autorevole. Questa è l’occasione, proprio perché complicata e al di sopra della visione semplicistica di Trump.
La situazione che si sta creando è ben peggiore di quella verificatasi mesi fa in Turchia, quando la reazione di Erdogan al denunciato «colpo di Stato» ha portato ad una indiscriminata e generalizzata negazione dei diritti civili fondamentali contro cui l’Europa si è limitata a protestare.
La situazione iraniana attuale è molto più complessa. La protesta popolare delle settimane scorse, ha messo a nudo una profonda tensione all’interno del sistema politico iraniano. Era motivata da una situazione economica e sociale in drammatico peggioramento, causata da misure di austerity che hanno fatto esplodere i prezzi del pane, della benzina e di altri beni di prima necessità. Paradossalmente erano misure di un governo che si presentava come «riformatore». Ma chi è sceso in piazza protestava anche contro la corruzione e le speculazioni finanziarie di gruppi religiosi, che hanno bruciato per loro obiettivi particolari i risparmi di migliaia di famiglie a reddito modesto. Protestava anche contro il mancato mantenimento delle promesse in tema di libertà civili in particolare, ma non solo, per quanto riguarda le donne, e di riduzione del soffocante controllo da parte delle autorità religiose. La protesta ha investito la costruzione complessiva del regime, mescolando ragioni e obiettivi anche opposti: di chi vuole spingere per le riforme e di chi approfitta del malcontento per cercare di tornare indietro.
In queste ore in cui viene annunciato che «la sedizione» è stata vinta dalle forze conservatrici, i commenti degli osservatori esterni sono assai perplessi e di segno molto diverso. È finito il governo «riformatore» di Rohani, contro cui è scoppiata la rivolta? Che cosa faranno le forze conservatrici fedeli alla Guida suprema Khamenei che si attribuiscono il merito della repressione e che non hanno mai accettato di buon grado gli accordi sul nucleare con l’Occidente egemonizzato dall’America? O sono anch’esse divise al loro interno? Non potrebbe qui aprirsi uno spiraglio di una nuova intesa grazie alle potenze europee? Perché Bruxelles non prende una sua iniziativa?
CORRIERE della SERA - Viviana Mazza: "Mille arresti. Che fine ha fatto Ahmadinejad?"
Viviana Mazza
Almeno 21 morti e mille arresti: è il bilancio delle proteste iniziate il 28 dicembre in Iran e represse dalle autorità. In carcere ci sono una novantina di studenti: diversi spariti senza conferme ufficiali; una quarantina sono stati identificati, sarebbero rinchiusi nel settore 209 della prigione di Evin controllato dal ministero dell’Intelligence. I loro cari hanno indetto un sit-in davanti al carcere. «Ci hanno detto che se non ce ne andiamo ci arrestano — ha raccontato Shokoufeh Yadollahi, madre dello studente Kasra Nouri—. Abbiamo risposto che siamo pronti ad unirci ai nostri figli in prigione. Sono in sciopero della fame, non ce ne andremo finché non ci danno notizie». In manette sono finiti centinaia di manifestanti (i Guardiani della Rivoluzione hanno postato su siti come Gerdab.ir foto scattate durante le proteste, chiedendo alla gente di identificare i partecipanti), ma anche giovani come Nouri (e quattro colleghi che appartengono ad una setta sufi considerata eretica) che non erano in piazza. Un deputato, Farid Mousavi, ha detto che alcuni arresti sono una «misura preventiva». Le autorità temevano probabilmente che i moti partiti dai ceti più poveri crescessero con l’appoggio del movimento studentesco. Il regime ha accusato i nemici «esterni» come Stati Uniti, Arabia Saudita, i Mujaheddeen del Popolo e i monarchici. Ma molti pensano che all’inizio, nello scatenare la piazza abbiano avuto un ruolo le faide interne al regime: i conservatori ostili al governo moderato avrebbero alimentato gli slogan di «Morte a Rouhani», perdendo però il controllo perché la gente ha iniziato a inveire contro la Guida Suprema e gli interventi militari all’estero dei Guardiani della Rivoluzione. Secondo il sito arabo «Al-Quds Al-Arabi», l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad sarebbe finito agli arresti domiciliari per istigazione delle proteste, per aver dichiarato il 28 dicembre che «alcuni dei leader vivono distaccati dai problemi della gente e non sanno nulla della società». Il capo dei Guardiani, il generale Jafari, senza nominare Ahmadinejad, sembrò suggerire un suo possibile coinvolgimento giorni fa: «Un ex responsabile che sta diventando un oppositore del regime ha avuto un ruolo all’inizio di queste manifestazioni. I servizi di sicurezza stanno indagando e, nel caso sia vero, interverranno». Ahmadinejad, famoso per i sussidi con cui conquistò i voti dei poveri ma poi caduto in disgrazia per le rivelazioni sulla corruzione del suo governo, è da tempo in contrasto con l’establishment (di recente i suoi sostenitori hanno dichiarato guerra al potente capo della magistratura Sadegh Larijani, accusandolo di avere conti miliardari all’estero). Ma nessuno dei siti di opposizione persiani, nemmeno Bbc Farsi , riporta la notizia del presunto arresto, facendo pensare che sia falsa. Su Telegram, il canale Dolatebahar vicino ad Ahmadinejad ha pubblicato ieri una sua foto a Teheran, forse per smentire quelle voci. Un altro conservatore, l’ayatollah Ahmad Alamolhoda, ostile a Rouhani e alleato della Guida Suprema a Mashad, la città dove sono iniziate le proteste, invece, sarebbe stato convocato per spiegare il suo ruolo.
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