Riprendiamo dal dal FOGLIO, di oggi 04/01/2018, a pag. 1-I, con il titolo "Deferenza Ue con l’Iran", l'analisi di David Carretta; dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, con il titolo 'Ancora in piazza per Charlie: non stanchiamoci della libertà', l'intervista di Stefano Montefiori a Elisabeth Badinter.
Ecco gli articoli:
IL FOGLIO - David Carretta: "Deferenza Ue con l’Iran"
David Carretta
Bruxelles. Dopo sei giorni di proteste, una ventina di morti e oltre quattrocento arresti, Federica Mogherini finalmente si è decisa a parlare a nome dell’Unione europea sulle manifestazioni in Iran, come le chiedevano di fare deputati europei, esperti di politica internazionale e militanti dei diritti umani. “Forse me la sono persa, ma il Servizio di azione esterna dell’Ue ha dichiarato sul Sud Sudan, ma niente sulle proteste in Iran. Perché questo silenzio?”, si era chiesta martedì pomeriggio su Twitter Judy Dempsey del think tank Carnegie Europe. Dal 30 dicembre diversi eurodeputati avevano invocato un intervento. “Chiedo all’Alto rappresentate e ai governi europei di esprimere pubblicamente solidarietà con l’attuale sollevazione del popolo iraniano”, aveva detto il belga Gérard Deprez quel giorno. Sull’Iran Mogherini “deve dare priorità ai diritti dei cittadini”, aveva scritto su Twitter l'olandese Marietje Schaake. Il silenzio europeo “incoraggia le autorità iraniane” nella repressione, aveva denunciato il ceco Pavel Telicka. Martedì Mogherini ha ritrovato la voce con una dichiarazione pubblicata a tarda sera: “l’Ue sta seguendo da vicino le manifestazioni in corso, l’aumen - to della violenza e la perdita inaccettabile di vite umane (...). Negli ultimi giorni siamo stati in contatto con le autorità iraniane” e “i diritti umani sono sempre stati una questione centrale” delle relazioni con l’Ue. Nessuna condanna diretta del regime dei mullah, semmai una certa deferenza.
“Nello spirito di franchezza e rispetto che è alla base della nostra relazione, ci aspettiamo che tutti quelli coinvolti evitino la violenza e che il diritto a esprimersi sia garantito, anche alla luce delle dichiarazioni fatte dal governo iraniano”, ha detto Mogherini, prima di lanciare un avvertimento che ha scatenato l’ironia dei social media: “l’Ue continuerà a monitorare la situazione”. L’attendismo di Mogherini sull’Iran non è un’eccezione nell’Ue. Per l’Alto rappresentante, la priorità è preservare l’accordo sul nucleare del 2015 che rappresenta uno dei rari successi diplomatici dell’Ue dell’ultimo decennio, anche se non ha portato alle aperture del regime di cui gli europei si erano detti certi. La “difesa dell’accordo con l’Iran” è una delle 12 cose del 2017 che Mogherini intende portare nel 2018, come ha scritto sul suo blog il 1o gennaio: “Un momento difficile per il multilateralismo è arrivato dopo la decisione di Donald Trump di non certificare nuovamente l’accordo sul nucleare iraniano davanti al Congresso americano (…). L’Ue – una potenza affidabile e multilaterale – continuerà a lavorare perché l’accordo venga messo in atto da tutti”, ha scritto l’Alto rappresentante. La seconda priorità è “sostenere Hassan Rouhani di fronte ai falchi”, spiega al Foglio un funzionario vicino a Mogherini: nel contesto politico iraniano “l’attuale presidente rappresenta l’unica speranza di apertura politica”. In questo senso “Mogherini si iscrive in piena continuità con la dottrina Obama”, dice un altro osservatore. Nelle capitali dei 28 ciascuno ha le sue buone ragioni per evitare di condannare in modo esplicito la Repubblica islamica. Quelle di Emmanuel Macron sono innanzitutto geopolitiche. Quest’anno vorrebbe compiere la prima visita in Iran di un presidente francese dalla rivoluzione islamica del 1979. Così, in una conversazione telefonica martedì, Macron si è limitato a chiedere a Rouhani “moderazione” e “calma”. La visita in Iran del suo ministro degli esteri Jean-Yves Le Drian, prevista questa settimana, è stata rinviata ma non cancellata. Per altri, come la Germania, le ragioni del silenzio sono economiche. Michael Tockuss, capo della camera di commercio tedesco-iraniana, ha ricordato alla Deutsche Welle che da gennaio a ottobre la Germania ha esportato per 2,8 miliardi di dollari in Iran contro 328 milioni di esportazioni. Dall’accordo sul nucleare, le imprese di tutti i paesi europei si sono messe a fare la fila a Teheran per prendere contatti e firmare contratti. Se per il petrolio i principali clienti sono Cina e India, gli europei continuano a comprare quasi il 40 per cento del greggio esportato e rimangono ghiotti di gas della Repubblica islamica. Così anche il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, è rimasto silente fino a martedì prima di dire la stessa cosa di Mogherini: “Tutte le parti evitino la violenza”.
CORRIERE della SERA - Stefano Montefiori: 'Ancora in piazza per Charlie: non stanchiamoci della libertà'
Stefano Montefiori
Elisabeth Badinter
Qualche giorno dopo l’attentato del 7 gennaio 2015, cinque milioni di francesi scesero in strada per dire «Je suis Charlie». Quell’ondata di emozione e solidarietà con il tempo si è affievolita, mentre tornano le minacce. Le associazioni Printemps Républicain, Comité Laïcité République e Licra questo sabato organizzano assieme alla nuova redazione una riunione pubblica alle Folies Bergère per proclamarsi «Toujours Charlie!», ancora Charlie. Tra le personalità che hanno deciso di partecipare, la più celebre e influente è la filosofa e femminista Élisabeth Badinter.
Perché ha dato la sua adesione? «Di solito non partecipo a queste cose, ma dobbiamo molto a Charlie Hebdo ed è il momento di ricordarlo. All’epoca delle caricature su Maometto i vignettisti danesi vennero sostenuti da Charlie Hebdo e questo mi sembrava normale, giusto. Invece molti politici francesi e in particolare l’allora presidente Jacques Chirac erano molto critici. Nel 2006 Chirac fece pressioni sull’imam della moschea di Parigi perché intentasse un processo alla redazione, e io testimoniai in loro favore. Oggi associo Charlie Hebdo all’ossigeno. Questo giornale resta il termometro più sicuro della nostra libertà. I politici invece, tranne eccezioni, mi sono sembrati degli abominevoli fifoni».
Perché? Per opportunismo? «Perché hanno paura di avere fastidi, temono violenze. Ma se rinunciamo ai nostri principi essenziali... Charlie è un simbolo di quel che abbiamo di più prezioso».
Dopo l’attentato ci fu una enorme manifestazione dei francesi... «Non tutti».
Vale a dire? «La maggior parte dei musulmani delle periferie non scesero in piazza. Capisco che non era facile, manifestare per Charlie sarebbe stato giudicato un tradimento imperdonabile. Ma se i francesi musulmani fossero venuti per dire ”combatteremo i terroristi al vostro fianco”, sarebbe stato un gesto molto forte e avrebbe dimostrato al resto dei francesi la loro integrazione. Oggi ci sono donne musulmane che vengono a trovarmi, vogliono ribellarsi, loro sono veramente Charlie. Ma non sono mai invitate in tv, i media hanno tendenza a fare parlare sempre i provocatori, facendo un gioco molto pericoloso». Milioni di persone tornerebbero in piazza oggi, secondo lei, per un evento della stessa gravità? «Non si riproduce mai due volte la stessa cosa».
Il clima è cambiato? La società è più divisa di prima? «Molti musulmani restano contrari a Charlie, e i cattolici di destra si sono trovati d’accordo con la comunità musulmana sul no alle nozze gay, c’è una specie di complicità religiosa. Ma il peggio è che ci si abitua a tutto, si è diffusa una forma di stanchezza».
Charlie Hebdo ha patito anche l’improvvisa attenzione globale, ci si è accorti che è capace di scherzare davvero su tutto, per esempio sui morti del terremoto in Italia, dove ha provocato molte proteste. «Ma Charlie ha il diritto di essere di cattivo gusto, il punto non è se le vignette piacciono o no, il punto è la libertà di espressione. Molti oggi hanno paura, si diffonde la tentazione di dire ”basta, non prendiamo rischi”. E a me questo non piace per niente. Charlie ormai è considerato da molti miei concittadini come una fonte di problemi».
In Francia l’affare Weinstein ha preso una piega particolare, con le denunce per violenza sessuale contro l’intellettuale islamico Tariq Ramadan. Charlie Hebdo allora ha ironizzato sui tanti che hanno chiuso gli occhi a lungo, e ne è nato uno scontro durissimo con la sinistra che si considera più vicina alle ragioni dei musulmani, rappresentata da Edwy Plenel e dal giornale Mediapart. Le accuse di connivenza sono giustificate? «Una parte della sinistra chiude gli occhi perché identifica i musulmani di Francia con gli oppressi e i colonizzati. Sono i vecchi riflessi degli anni Sessanta e Settanta. Pensano che noi ce la prendiamo con la religione, quando invece la nostra lotta è contro l’islamismo politico».
Qual è la sua impressione sul presidente Macron? «Non ha ancora preso posizione. Prima delle elezioni sembrava non volere grane. Il suo portavoce ancora qualche giorno fa parlava di ”laicità serena”, che vuol dire in sostanza “fate quel che volete”. In generale mi pare che queste questioni non siano la priorità di Macron, il che è in sé già una posizione. Ma forse il presidente diventerà un po’ più sensibile al tema».
Come giudica i francesi dopo gli attentati? «Si sono comportati bene. Hanno sopportato molti drammi, senza cadere nella tentazione della violenza».
Che cosa pensa delle nuove minacce contro Charlie e contro la riunione alla quale si appresta a partecipare? «Saremo ben protetti. Non bisogna preoccuparsi troppo delle minacce, altrimenti non si fa più niente».
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