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La strategia di Donald Trump sull'Iran
Le rivolte di una parte del popolo iraniano contro i propri dittatori non hanno alcun riferimento alle posizioni drastiche di Donald Trump verso l’Iran? Esse sono indubbiamente spontanee, ma non è un caso che si siano avute immediatamente dopo le dure critiche, senza alcuna moderazione diplomatica, che il presidente americano ha rivolto al regime degli ayatollah. Hanno colto nel segno, trovando subito un riscontro nell’insofferenza di un popolo prigioniero di una dittatura teocratica che lo perseguita e lo affama. È un buon segnale, soprattutto per Israele. Tuttavia, un totalitarismo teocratico come quello iraniano ha nella violenza la sua arma principale. Engels lo disse senza mezzi termini: nulla può essere conseguito “senza violenza e senza una ferrea spietatezza”. E Lenin: “Noi saremo implacabili sia verso i nostri nemici, sia verso tutti gli elementi nocivi e oscillanti del nostro stesso ambiente”. Ma coloro che esercitano la violenza per preservare il potere sono destinati sempre a pagar dazio, soprattutto quando si presentano sullo scenario internazionale con un volto e in patria con un altro. Tutti ricordano l’atteggiamento tenuto da Rohani dopo il duro attacco di Trump all’Iran in sede Onu. Si atteggiava a offeso da un bruto, si rivolgeva all’uditorio con una posa da grande leader internazionale, chiedeva quasi dal mondo un sostegno contro le brutture che erano state rivolte contro il suo popolo.
Ora che il suo popolo gli si sta rivoltando contro, Rohani e compagnia sono in grave difficoltà di fronte al quel mondo cui lo stesso Rohani aveva chiesto solidarietà contro il mostro Trump. Di fronte al suo popolo affamato che gli si ribella, in prima battuta si è dimostrato moderato e anzi comprensivo, ma nei giorni seguenti si è allineato alla repressione brutale che è l’unica vera arma per mantenere il potere da parte dei dittatori. A tutto questo si stanno aggiungendo le solite false accuse a forze esterne – Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita –, che starebbero sobillando i “buoni” iraniani, accuse cui non crede più nessuno. La rivolta del popolo iraniano potrà avere risvolti inaspettati nell’intero mondo mediorientale. Se l’Iran, oggi, è la forza dominante nel Medio Oriente, questo lo si deve a uno sforzo economico straordinario, che il popolo sta pagando in patria. Le ripercussioni sulla tenuta del regime non possono essere attualmente previste, ma il segnale di oggi, dopo quello del 2009, è il sintomo di un malessere che aumenterà. La grandeur dell’Iran nella regione è l’altra faccia della miseria del suo popolo. Occorrerà, però, del tempo perché la rivolta popolare si strutturi e che all’interno del regime possano eventualmente apparire alcuni segnali di dissenso, se non di rottura. L’azione di Trump nella regione sembra avere successo; e tutto ciò a partire dal riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. La mossa del presidente americano è stata così dirompente, esplicita, improvvisa da lasciare i nemici di Israele senza possibilità di replicare con efficacia. Si è venuto, così, a creare un clima imprevisto che ha scosso tutto il Medio Oriente. L’asse che Trump sta costruendo con il mondo sunnita, in opposizione a quello sciita, paradossalmente riceve sostegno proprio dalla decisione di Trump. Sembra uno dei tanti paradossi del Medio Oriente: l’area sunnita, oggi in grave difficoltà, ha accettato di fatto il riconoscimento di Gerusalemme da parte di Trump e il rinnovo chiaro, senza mezzi termini, dell’alleanza degli Stati Uniti con Israele come il ritorno di Washington nella regione contro lo strapotere di Teheran. La determinazione con la quale Trump ha messo tutti a tacere restaurando lo stretto legame con Israele, l’accordo stabilito con l’Arabia Saudita, i buoni rapporti degli Stati Uniti con Egitto e Giordania costituiscono i fattori di una nuova presenza americana nello scenario internazionale. L’Europa appare priva di una risposta coerente davanti a tutto ciò. Ha bisbigliato qualcosa a proposito della violenza repressiva del regime di Teheran, ma soprattutto è in difficoltà di fronte all’azione di Trump. Non è una novità. I leader europei, eredi della doppiezza di Obama, stentano a formulare una politica condivisa riguardo alle decisioni del presidente americano, perché la loro passiva accettazione dello strapotere iraniano in Medio Oriente li pone ai margini di uno scenario politico in evoluzione, in cui all’Iran si oppongono ora soltanto gli Stati Uniti e Israele, mettendo ancora più in risalto la pochezza (la miseria?) di una politica ambigua e doppiogiochista.
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