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Informazione Corretta Rassegna Stampa
03.01.2018 'Grandangolo' di Simone Somekh: un capolavoro
Recensione di Sandra Reberschak

Testata: Informazione Corretta
Data: 03 gennaio 2018
Pagina: 1
Autore: Sandra Reberschak
Titolo: «'Grandangolo' di Simone Somekh: un capolavoro»

'Grandangolo' di Simone Somekh: un capolavoro
Recensione di Sandra Reberschak

Pubblichiamo il commento di Sandra Reberschak che il 9 gennaio, alle ore 18:00, presenterà con Bruno Quaranta il libro di Simone Somekh al Circolo dei Lettori di Torino (via Bogino 9).

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Copertina (Giuntina ed.) e autore

Già la copertina di Grandangolo mi ha catturata. Il giovane haredi riccioluto che impugna l’arma proibita, quale per l’ultra-ortodossia è una macchina fotografica, è di per sé un’invenzione trasgressiva e ricca di humour. In più scrivere e fotografare sono due mestieri affini, quanto meno nel modo laico. Entrambi permettono di catturare storie, entrambi stanno al servizio dell’immaginazione. Quella che trionfa nelle pagine poi lette d’un fiato. Che lo zero del capitolo iniziale non è il nulla vuoto, come vorrebbe il significato del numero in ebraico. Al contrario, fin dallo schianto iniziale dell’automobile, rubata al padre per scappare nel cuore della notte, emerge una storia densa di personaggi e di eventi. Una storia di emancipazione del giovanissimo Ezra Kramer, pieno di voglia di vivere e ribelle alle regole dell’ebraismo ultraortodosso dei genitori e della comunità di Brighton, cui gli stessi hanno aderito per scelta. Opposta la scelta, solo inizialmente inconsapevole, di lui, figlio unico, già in questo anomalo, in un contesto dove figliare è obbedire alla legge del Signore.

Le pagine e i capitoli successivi, ove sempre la prima riga fa da titolo, creando di colpo un maggior coinvolgimento, li ho divorati, travolta dall’insolita e precocissima capacità di metterli insieme. Piuttosto che riandare qui la trama, non fosse che per rispetto del futuro lettore, cui singolarmente il libro apparterrà, preferisco insistere sulla qualità di una scrittura, dove i richiami tra i personaggi e gli eventi si tengono sempre, con grande inventiva e però senza mai perdere il filo. Una sorta di ‘recherche’ di un tempo che si vorrebbe perdere, ma nel ritrovamento del quale il nostro continua ad inciampare per via di richiami, inevitabili, come gli affetti, Carmi l’amico misteriosamente scomparso, simbolo di un incondizionato trasporto, zia Susie, cui molto deve, ma al cui capezzale si rimprovererà di non essersi recato, la madre, nonostante tutto,occasionali, quali gli incontri spaesanti nel cammino accidentato della crescita. La quale pur tuttavia avviene a partire dal capitolo sette. Numero biblico, forse non casuale, quello dello stacco per il riposo sabbatico. E lo stacco è avvenuto, visto che Ezra ha lasciato la famiglia e vive a New York, fotografo promettente, sguattero per campare, pensieroso e insonne, ma finalmente consapevole di un’ambivalenza apparente, quella di essere ebreo e di essere laico.

L’ironia aiuta ad alleviare il dramma di un percorso mai facile, sempre sorprendente, soprattutto vero. Quantomeno nella fiction, la cui radice latina fingere significa tutt’altro che il nostro fingere, bensì, dar forma, creare. Certo il giovane autore, vent’un anni quando scrisse il libro, è più che una promessa e, a costo di ripetere osservazioni già fatte, degno della più alta tradizione del romanzo di formazione, come Il giovane Holden di Salinger, capolavoro insuperato dagli anni cinquanta.

Cominciare da zero con uno schianto e trovar la forza di ricostruire un’identità priva di conflitti, uscire dall’ombra nulla di Brighton che mortifica, anzi deforma come un grandangolo, gli istinti umani più naturali e vitali, dal gusto al sesso, e, passando per la mondanità spesso vana, ma non inutile, di New York e dintorni del capitolo sette, ritrovarli infine, in fuga dalle sommosse del Barhein, alla luce del sole di Tel Aviv, la città più liberal dello Stato d’Israele, nel capitolo undici, che di fatto è il dodici: questo è il curriculum di Ezra/Simone. Per ora. Resta da chiedergli se la conclusione può valere per tutti gli ebrei, le cui dodici tribù furono disperse, ma per i figli dei quali il Signore creò dodici porte nella Sua città. Forse Simone ce lo dirà nel prossimo libro.

Sandra Reberschak


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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