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Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli A destra: "Studenti" di una scuola dell'UNRWA Cari amici, è difficile discutere le affermazioni di chi non si vergogna di mentire, non si ritiene tenuto a un minimo di coerenza, insomma usa i discorsi come proiettili, solo per cercare di far male ai suoi avversari, senza badare a quel che dovrebbero dire. Specialmente se chi sta a sentire e dovrebbe magari garantire l’esattezza dell’informazione (contro le “fake news della rete”…) inghiotte le menzogne e le diffonde senza fiatare. Sto parlando naturalmente dei palestinisti e della loro propaganda. E dei media che se ne fanno veicoli. Oggi vi faccio un solo esempio, ma importante. Si tratta di un tema apparentemente poco appassionante e freddo come il numero dei “rifugiati palestinesi”. Già la nozione è ambigua, perché secondo la definizione dell’agenzia dell’Onu sui rifugiati (UNHR) si tratta di una condizione personale, che riguarda le vicende di una singola persona: “Il rifugiato è colui “che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra” [Articolo 1A della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati]. (https://www.unhcr.it/chi-aiutiamo/rifugiati). Nel caso dei “palestinesi” invece, qualcuno ha deciso che per tener viva la guerra contro Israele, non bisogna limitarsi ai fuggitivi del ‘48 (“una persona "il cui normale luogo di residenza è stata in Palestina tra il giugno 1946 e maggio 1948, che ha perso sia l'abitazione che i mezzi di sussistenza a causa della guerra arabo-israeliana del 1948"), che oggi per via dell’età saranno rimasti in poche migliaia, come ha accertato il senato USA (http://www.timesofisrael.com/us-senate-dramatically-redefines-definition-of-palestinian-refugees/), ma estendere la qualifica anche ai loro discendenti. Una definizione pienamente accolta dall’UNRWA, l’agenzia dell’Onu che fu fondata per prendersi cura di tutte le persone che persero casa e cittadinanza in seguito alla guerra arabo-israeliana del ‘48, inclusi dunque gli ebrei soggetti a pulizia etnica in Giudea, Samaria, Gaza, Gerusalemme e nei paesi arabi, ma che da subito scelse di occuparsi solo dei “palestinese” : “La definizione di rifugiato dell'UNRWA copre anche i discendenti delle persone divenute profughi nel 1948 indipendentemente dalla loro residenza nei campi profughi palestinesi o in comunità permanenti Si tratta di una grande eccezione alla normale definizione di rifugiato. In base a questa definizione, il numero di profughi palestinesi per l'ONU è passato da 711.000 nel 1950 a oltre cinque milioni di registrati nel 2015.” (https://it.wikipedia.org/wiki/Rifugiati_palestinesi). Come dire che chiunque abbia avuto un nonno o un bisnonno che asserisce di aver abitato in Israele fra il giugno ‘46 e il maggio ‘48 ha oggi titolo per essere definito “profugo palestinese”, anche se è cittadino integrato di un altro stato. A questa stregua, avrei diritto di essere definito profugo palestinese anch’io, dato che la famiglia di mia madre riuscì a scappare da Trieste nel mandato britannico di Palestina nel ‘38 e ci rimane tutt’ora. Ma mia mamma tornò in Italia proprio alla fine del ‘46… ah già, ma la mia è una famiglia ebraica e quindi per me la protezione dell’Onu non c’è. Mentre circa un quarto della popolazione giordana (2.117.361 su 9.456.000 ) è qualificata come “rifugiata”, anche se vota, ha casa, lavora e ed ha un posto privilegiato nel sistema economico e politico giordano. Certamente anche la regina Rania, che non ha fatto proprio una vita da Cenerentola anche prima di sposare il re Abdallah (https://it.wikipedia.org/wiki/Rania_di_Giordania), ma viene da una famiglia che stava a Tulkarem, ha i requisiti per essere riconosciuta profuga. Il paradosso e lo spreco di risorse e la permanenza di un chiaro ostacolo alla pace si spiega considerando che i finanziamenti dell’UNRWA dipendono dal numero dei suoi assistiti (https://www.unrwa.org/sites/default/files/2016_2017_programme_budget_blue_ Tutto questo si sa da tempo. Come si sa che i conti demografici dei “palestinesi” sono largamente esagerati anche per quanto riguarda Giudea, Samaria e Gaza. E però di recente è emersa una truffa gigantesca, una notizia importante (http://www.jewishpress.com/news/global/un/how-did-lebanon-misplace-a-quarter-million-palestinians/2017/12/23/), che naturalmente i media occidentali hanno taciuto. Qualche giorno fa è uscito il risultato del primo censimento organizzato congiuntamente dagli uffici statistici libanese e palestinese sul numero dei rifugiati palestinesi in Libano, che naturalmente include non solo i rifugiati veri e proprio, ma anche i loro discendenti, secondo l’”eccezione UNRWA”. Il numero risultato non è piccolo (174.422), ma è praticamente un terzo di quello dichiarato dall’UNRWA (449.957: https://www.unrwa.org/where-we-work/lebanon). Perché è importante questa notizia? Intanto perché espone la totale inaffidabilità dell’UNRWA, delle sue statistiche, del suo budget (chissà dove sono finiti i soldi destinati ai 300 mila rifugiati inesistenti…). Ma soprattutto perché ridimensiona le pretese dell’Autorità Palestinese, la sua rappresentatività, la dimensione stessa del problema. I rifugiati palestinesi veri, secondo le regole generali del UNHR sono oggi 30-40 mila; anche quelli della definizione allargata, se tanto mi dà tanto, non sono 5 milioni ma probabilmente uno e mezzo, di cui una parte accuratamente tenuti nella miseria e nella non integrazione. (Vale la pena di ricordare che proprio in Libano i “fratelli” rifugiati palestinesi non hanno diritto a fare quasi nessun lavoro, non possono avere proprietà immobiliari, non hanno il permesso di vivere fuori dai campi ecc. https://www.timesofisrael.com/for-palestinians-in-lebanon-69-years-of-despair/: una condizione inumana che si ritrova simile nella maggior parte dei paesi arabi anche ben più ricchi, come il Kuwait e il Qatar). Insomma, c’è una truffa dei rifugiati palestinesi (http://porisrael.org/2017/12/29/donde-se-han-ido-los-palestinos/). E questa è una buona notizia, perché permetterà di mettere in discussione chi su questa storia ha vissuto e fatto politica contro Israele, come l’UNRWA. Ma soprattutto perché se gli arabi si decideranno a prendere atto della realtà, a non credere fra le molte illusioni che coltivano alla favola di un’ondata enorme di palestinesi pronti a sommergere Israele, questo renderà più facile trovare un accordo realistico, che si basi sui problemi veri e non sui miti revanscisti.
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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