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Contro i 5 Stelle: Davide e Golia
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Movimento 5 stelle e totalitarismo digitale 02/01/2018

Riprendiamo dal FOGLIO dedi oggi, 02/01/2018, a pag.1, con il titolo "Il totalitarismo digitale spiegato in un clic", l'editoriale del direttore Claudio Cerasa; a pag. 3, l'editoriale "I rifiuti del M5s".

Ecco gli articoli:

Claudio Cerasa: "Il totalitarismo digitale spiegato in un clic"

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Claudio Cerasa

Massì, facciamoci una risata. Una multa da 100 mila euro per gli eletti che scelgono la via del dissenso: e che volete che sia? Una carnevalata, una buffonata, un giochino da ragazzi un po’ discoli, no? Ok. Riavvolgiamo il nastro e proviamo a ragionare a mente fredda su quello che molti di voi hanno letto tre giorni fa quando il Movimento cinque stelle ha scelto di utilizzare le vacanze natalizie per confermare nero su bianco, e nell’indifferenza generale, che il motore del grillismo è effettivamente alimentato da una serie di combustibili eversivi, anti democratici, persino totalitari. La storia la conoscete tutti e riguarda un piccolo passaggio del nuovo codice etico grillino che i Cinque stelle che proveranno ad andare in Parlamento dovranno sottoscrivere da un notaio: un contratto che sancisce la nascita di un incostituzionale centralismo anti democratico e che prevede una multa da 100 mila euro per tutti coloro che oseranno manifestare una qualsiasi forma di dissenso rispetto alla linea sacra della Casaleggio Associati. Il passaggio recita esattamente così: in caso di dissenso manifesto, il parlamentare “sarà obbligato pagare al MoVimento 5 stelle, entro dieci giorni dalla data di accadimento di uno degli eventi sopra indicati, a titolo di penale, la somma di 100.000 euro quale indennizzo per gli oneri sopra indicati per l’elezione del parlamentare stesso”. Ora. Se l’Italia fosse un paese con una classe dirigente con la testa sulle spalle, e con una cultura dello stato di diritto custodita non sotto gli scarponi, questi giorni di festa sarebbero utilizzati per mobilitare il meglio della intellighenzia italiana e discutere intorno ad alcuni temi sui quali varrebbe la pena spendere qualche riga per capire qualcosa di più sulla natura anti democratica e a tratti eversiva del Movimento 5 stelle. La storia dell’articolo 67 della Costituzione ormai la conoscete tutti e tutti sapete che un partito che propone di abolire il diritto di un parlamentare a essere eletto senza vincolo di mandato (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”) è un partito che non sta facendo una battaglia contro i “voltagabbana” ma è un partito che sta cercando di inserire nella costituzione italiana il principio maoista dell’abolizione del dissenso, con l’obiettivo, anche esso esplicito, di voler sostituire la democrazia rappresentativa con una forma rozza di democrazia diretta, mettendo in altre parole la democrazia rappresentativa alle dipendenze della democrazia del clic (“In un paese più serio del nostro – ha scritto sul suo sito Giuseppe Turani – con quella norma, non sarebbero nemmeno ammessi alle elezioni e sarebbero deferiti alla giustizia ordinaria per attentato alla Costituzione”). Tutto questo lo sappiamo ma tutto questo non basta per mettere a fuoco la natura fondamentalmente eversiva del grillismo e alcuni spunti di riflessione ci possono aiutare a capire meglio cosa c’è in ballo oggi nella sedimentazione della cultura grillina. Il codice etico grillino – oltre a ricordare che “gli strumenti informatici attraverso i quali l’as - sociazione Movimento 5 stelle si propone di organizzare le modalità telematiche di consultazione dei propri iscritti disciplinate nel prosieguo del presente Statuto, nonché le modalità di gestione delle votazioni, di convocazione degli Organi Associativi, di pubblicazione di – a titolo esemplificativo e non esaustivo – avvisi e/o provvedimenti e/o direttive e/o decisioni saranno quelli di cui alla cd. “Piattaforma Rousseau”, mediante appositi accordi da stipularsi con l’Associa - zione Rousseau” – prevede che “ciascun parlamentare italiano, europeo e Consigliere Regionale eletto all’esito di una competizione elettorale nella quale si sia presentato sotto il simbolo del MoVimento 5 Stelle, si obbliga ad utilizzare la cd. ‘Piattaforma Rousseau’ come principale mezzo di comunicazione per uniformarsi agli obblighi di trasparenza e puntuale informazione dei cittadini e degli iscritti al MoVimento 5 Stelle delle proprie attività parlamentari”. Se non fosse chiaro cosa significhi “uniformarsi agli obblighi di trasparenza e di puntuale informazione” rispetto alle proprie attività parlamentari – e se non fosse chiaro che il codice etico punta a mettere gli eletti grillini nella posizione di sudditi rispetto a chi dirige la democrazia diretta, ovvero la piattaforma Rousseau, ovvero Davide Casaleggio – o ccorre fare un piccolo passo indietro e allargare lo zoom su un passaggio del contratto che ha ispirato il codice etico grillino: quello fatto firmare a Virginia Raggi prima di diventare sindaco di Roma.

 

 

In quel contratto Raggi ha accettato di sottoporre al preventivo controllo di uno staff esterno “coordinato dai garanti del Movimento 5 stelle” tutte “le proposte di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse” e ha scelto di riconoscere il diritto dei suoi superiori a chiederle, in caso di inadempienza al suddetto codice, il pagamento di una multa da 150 mila euro. In quel contratto, uno dei membri dello staff era Gianroberto Casaleggio, fondatore della Casaleggio Associati, scomparso nel 2016. Oggi il membro dello staff che di fatto coordina ogni attività grillina è il figlio Davide, presidente dell’associazione Rousseau – associazione che ha sede allo stesso indirizzo della Casaleggio Associati, dai cui bilanci del 2016 risulta che Davide Casaleggio è anche tesoriere, e tra i cui amministratori ci sono anche Max Bugani, consigliere comunale a Bologna e da tempo collaboratore della Casaleggio Associati, e Pietro Dettori, dipendente della Casaleggio Associati – che due giorni fa al Corriere della Sera ha anticipato che i parlamentari grillini, a partire dalla prossima legislatura, dovranno dare 300 euro al mese a “Rousseau”. Il tema che dovrebbe essere dunque approfondito con cura è se in Italia esiste o no un’azienda privata – la stessa azienda privata che guida il blog del fondatore di un partito – che mette i parlamentari e gli amministratori di un movimento politico in una posizione di sudditanza di fatto rispetto a chi dirige la democrazia diretta e che punta a guidare sempre di più gli eletti del movimento attraverso un sofisticato gioco di scatole cinesi. Mimmo Pisano, deputato uscente del Movimento 5 stelle, ha posto tre giorni fa ad Alessandro Trocino sul Corriere della Sera alcune domande che meritano di essere riprese. “Cosa non mi piace del codice etico? Innanzitutto il sistema che combina tre associazioni. Una commistione tra l’attività politica e quella privata di Davide Casaleggio. Perché non siamo noi a detenere il simbolo? Che lo detenga un’associazione privata lo ritengo non solo sbagliato, ma anche pericoloso. Tra l’altro ai portavoce ora si chiedono 300 euro: non capisco perché gli eletti debbano finanziare un’associazione privata. E poi le faccio una domanda. Sa chi sono gli iscritti dei 5 stelle? Non lo sa nessuno. Perché sono nel database privato di Casaleggio. Le pare normale? Le pare normale che non si possa sapere chi sono gli iscritti, che poi votano sulla rete? Che io non possa conoscere gli iscritti di Salerno, della mia città?”. Sul pericoloso gioco di scatole cinese tra Casaleggio (in questo caso il padre) e gli eletti Movimento 5 stelle c’è un famoso ricorso presentato un anno e mezzo fa da un avvocato romano (Venerando Monello) contro il contratto firmato da Virginia Raggi che punta a far riflettere su alcuni temi. Monello ricorda che l’articolo 97 della Costituzione, che sottopone l’organizzazione e l’attività amministrativa al rispetto dei princìpi di imparzialità e buon andamento, obbliga gli aspiranti alla carica pubblica a esercitare la propria funzione “senza interferenze esterne e senza il vincolo di interessi personali o scaturenti dalla appartenenza a un gruppo, sia esso di carattere associativo o politico” e alla luce di tutto questo arriva a identificare “un vulnus che con il patto incriminato viene a espletarsi sulla pubblica funzione, rispetto alla influenza sulla funzione pubblica che il legislatore nazionale ha inteso sanzionare con la previsione di cui all’art. 1 della L. n. 17 del 1982 (c.d. legge Spadolini)”. Con quel patto – scrive Monello con una tesi molto ardita ma interessante (e contro la quale non è arrivata nessuna denuncia né da Grillo, né da Raggi, né dal Movimento) – diventa esplicito lo svolgimento di una ‘attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale’. Non può infatti, non vedersi come sia rivolto alla interferenza ‘sull’esercizio delle funzioni di organi… di amministrazioni pubbliche… ad ordinamento autonomo… nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale’ la sottoscrizione di un obbligo di assoggettamento a mandato imperativo e alla sottoposizione delle ‘proposte di alta amministrazione’ e delle ‘questioni giuridicamente complesse’ al previo controllo e parere dello ‘staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle’, assoggettamento sanzionato, per il caso di inadempienza, da una pesantissima sanzione monetari”. Non sappiamo quanto si avrà il coraggio di andare fino in fondo nello studiare i rapporti non trasparenti tra il capo di un’azienda privata e gli eletti di un movimento politico (in questo senso, tra le altre cose, sarebbe prezioso ricordare sempre che l’associazione Rousseau non è estranea della Casaleggio Associati; che i campioni della trasparenza non hanno mai detto quanto rendono per la Casaleggio Associati gli intrecci politico finanziari con il Movimento 5 stelle; che nessuno sa se tra i ricavi della Casaleggio Associati ci sono anche le entrate pubblicitarie garantite dal blog di Grillo; e che nessuno sa se il Movimento paga alla Casaleggio Associati una commissione per la gestione tecnica della comunicazione politica). Sappiamo però che ancora una volta di fronte a una serie di istinti anti democratici, eversivi e maoisti – di fronte cioè a un partito che si candida a guidare il paese con l’idea esplicita di mettere in pratica una forma sofistica di estorsione nei confronti dei propri eletti in caso di manifestazioni di dissenso – si è scelto di non prendere sul serio i grillini e di fischiettare in modo spensierato di fronte a un progetto esplicitamente incostituzionale che si candida a guidare il paese il prossimo 5 marzo. “In - torno a questo articolo – ha detto con tempismo qualche mese fa il nostro amato Sabino Cassese sul Foglio, commentando il contratto firmato da Virginia Raggi con lo staff del Movimento 5 stelle – c’è tutta la fragilità giuridica, eversiva, del Movimento 5 stelle. Da un lato chi è incaricato di una funzione pubblica, come prevede la Costituzione, non ha un vincolo di mandato con i suoi elettori. Dall’altro lato i 5 stelle pensano invece che questo vincolo di mandato non debba essere con gli elettori ma debba essere con i suoi designatori: il Garante Politico e il Capo Politico, ovviamente non eletti. Quelle che abbiamo elencato sono questioni di dubbia costituzionalità e non mi sembra difficile che possa capitare che un qualche tribunale possa girare alla Corte un parere sulla legittimità costituzionale di questi punti”. A fine gennaio, il tribunale di appello di Roma si esprimerà sul ricorso presentato dall’avvocato Monello contro il contratto firmato da Virginia Raggi. L’occasione per girare alla Corte Costituzionale qualche domanda sul Movimento 5 stelle c’è. Sarebbe bello che gli stessi magistrati che hanno difeso con passione la Costituzione negli ultimi anni lanciassero un appello per invitare i giudici romani a non aver paura a chiedere alla Consulta se in Italia esiste o no un partito che attenta alla nostra Costituzione.

IL FOGLIO: "I rifiuti del M5s"

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Beppe Grillo

"L’Emilia Romagna non salva nessuno, fa solo business”. Parola di Michele Dell’Orco, vicecapogruppo alla Camera dei 5 Stelle. Dell’Orco si definisce “esperto di corruzione e grandi opere, crisi delle piccole e medie imprese, commercio”. In tale onniscienza è autore del progetto di legge per obbligare i negozi alla chiusura domenicale. Dunque se l’Emilia accetta di smaltire la spazzatura della giunta Raggi – la cui municipalizzata Ama è ormai al collasso economico, al blocco della raccolta e al record nelle tariffe – è perché là “fanno business”. Soprattutto a Parma, dove il sindaco ex M5S Federico Pizzarotti non è riuscito a spegnere il termovalorizzatore, e anche per questo fu espulso da Beppe Grillo. Ironia della sorte, o magari i grillini non hanno capito nulla? Il loro nuovo “capo politico” Luigi Di Maio potrebbe studiarsi il caso Svezia, che ha le migliori performance europee anti-inquinamento e nella valorizzazione dei rifiuti tramite incenerimento. Goteborg ricicla il 97 per cento della spazzatura bruciandola per riscaldare case e uffici, generando aumento del Pil e riduzione dell’ossido di azoto. Esempio seguito a Brescia, che con i rifiuti riscalda il 70 per cento di case e aziende. Ha il termovalorizzatore più grande d’Italia e il suo direttore stima che smaltendo la spazzatura romana verranno ridotte le tariffe dei bresciani. Anche tralasciando Svezia, Germania e Olanda, casi simili si trovano in Alto Adige, Veneto e Toscana. Ma per i grillini è “business”. Termine che evoca complotti e poteri forti, come i vaccini; perché progresso e tecnologia sono gli avversari della decrescita felice. I loro meet up ne discutevano già dieci anni fa. Ora che Di Maio prepara il piano di governo, illustrandolo “alle cancellerie”, la meta è vicina: montagne di immondizia e tasse a 5 stelle.

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