Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/12/2017, a pag.12 con il titolo "Iran, corre su Telegram la rabbia contro il regime " l'analisi di Rolla Scolari
(Telegram è un’applicazione di messaggistica gratuita come Whatsapp, ma ha delle caratteristiche in più che la rendono utile nei Paesi dove i regimi sono repressivi. Infatti permette agli utenti di creare chat segrete che distruggono messaggi, foto e allegati nel tempo impostato dall’utente, da qualche secondo a ventiquattr’ore. Tutti i dati trasmessi, come in Whatsapp, sono criptati. Nel mondo sono 1,2 miliardi le persone che lo utilizzano e in Italia è installato su 22 milioni di telefoni cellulari)
Rolla Scolari
La protesta si è estesa ieri in Iran, dagli estremi confini del Nord-Ovest al Sud-Est del Paese, risparmiando finora la capitale Teheran, in cui una massiccia presenza di forze di sicurezza in uniforme e in borghese ha fatto desistere i pochi manifestanti scesi in piazza. Quello che era iniziato giovedì a Mashhad, seconda città del Paese, è andato avanti ieri: gruppi di persone – 300 almeno a Kermanshah nel Nord-Ovest – hanno scandito slogan che, partiti sui toni della frustrazione economica e sociale, si sono fatti sempre più politici. «Le manifestazioni inizieranno alle 16 ora locale a Urmia – nell’estremo Iran Nord-occidentale - e Ilam», cittadina curda, spiegava ieri un canale Telegram, raccogliendo sostenitori per le proteste. È infatti Telegram, il social-network più odiato dal regime iraniano – che ha intentato a settembre una causa contro il suo fondatore russo - a essere usato in queste ore per attivare il dissenso. Già nelle elezioni del 2013 era principale mezzo per informarsi andando oltre la censura di regime. Ed è proprio da gruppi Telegram che si stanno riversando sugli altri social più tradizionali, Twitter, Instagram e Facebook, le decine di video di manifestazioni, tra cui quello – presumibilmente girato a Nishapur giovedì – in cui è stata registrata la nascita dello slogan che ha dato i toni alla protesta: «Lasciate la Siria, e pensate invece a noi». Se giovedì le lamentele contro il regime avevano un sapore tutto sociale – contro i prezzi in aumento, l’ineguaglianza sociale, la corruzione dei vertici – il dissenso è diventato ieri più politico, organizzato da Telegram, convogliato in strada e sugli altri social media, raccontato attraverso i cori della folla. Una protesta politica nella Repubblica Islamica non può non toccare l’establishment religioso e le sue origini. Il blogger e attivista Masoud Dalvand ha raccolto sul suo sito e su Twitter video in cui la folla dava di «ladri» ai funzionari pubblici, mentre Babak Taghvaee ha raccontato di come i manifestanti a Qazvin, nell’Iran Nord-occidentale, abbiano gridato contro i mullah: «Devono andarsene», «La rivoluzione (quella islamica del 1979) è stata un errore», «diventiamo poveri e gli uomini di religione ricchi». A Karmanshah, centro curdo e sunnita nell’Iran a maggioranza sciita, i manifestanti hanno chiesto la liberazione dei prigionieri politici. Benché non ci sia un minimo comune denominatore tra le cittadine attraversate dal dissenso, Aniseh Bassiri Tabrizi, ricercatrice del Royal United Services Institute di Londra, fa notare come le manifestazioni siano nate a Mashhad, città santa dello sciismo, e abbiano toccato perfino il centro del sapere islamico sciita di Qom. E se nei giorni scorsi, anche prima dell’innescarsi della protesta, critiche contro il presidente Hassan Rohani erano arrivate dai suoi rivali conservatori – la Guida Suprema ayatollah Ali Khamenei mercoledì aveva intimato il governo a trovare una soluzione alla cattiva gestione economica – è tutto l’establishment politico, nei suoi diversi gradi di conservatorismo, a essere travolto in queste ore dalla rabbia della piazza e dei social media. Rohani - accusato dalla popolazione di non aver mantenuto le promesse elettorali sul miglioramento dell’economia, vorrebbe abolire alcuni sussidi statali introdotti dal suo predecessore, l’ultra-conservatore e populista Mahmud Ahmadinejad. Anche questo, assieme all’aumento dei prezzi nei supermercati, ha portato agli slogan di queste ore: «Morte al dittatore». Ma se i rivali politici del presidente pensavano di poter capitalizzare sui mali del nemico, si sono trovati anche loro travolti dalla rabbia popolare: «Morte a Rohani» è stato affiancato da «morte a Sayyid Ali» (Khamenei) e «Larijani – altro conservatore – vergognati».
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