Per capire Trump, studiare Nixon Commento di Antonio Donno
Nell’ottobre 1971 la Repubblica Popolare Cinese fu ammessa alle Nazioni Unite, mentre Taiwan ne venne espulsa. Gli Stati Uniti, che avevano proposto ufficialmente che i due paesi fossero rappresentati sul piede di parità, furono umiliati da un voto contrario che irritò molto Nixon e il Congresso. La reazione americana fu dura. Nixon immediatamente utilizzò la sconfitta americana per condannare tutti quei paesi che avevano votato contro la proposta di Washington. Inoltre, l’opinione pubblica americana, che ormai in maggioranza sosteneva l’ingresso della Cina comunista all’Onu, ma con la compresenza di Taiwan, si dimostrò fortemente contrariata dai risultati della votazione. Gli Stati Uniti erano stati i fondatori delle Nazioni Unite e questo affronto non poteva essere tollerato. Anche su questo argomento Nixon cavalcò l’indignazione dell’opinione pubblica americana, quella “maggioranza silenziosa” che lo aveva eletto e che lo sosteneva. In una concitata telefonata con il Segretario di Stato, William Rogers, Nixon disse che gli americani non potevano essere “presi a calci da una massa di piccoli paesi”. Così, parlando sempre al telefono con Alexander Haig, il presidente dette disposizione di sospendere, e in qualche caso eliminare, qualunque aiuto economico che nel passato era stato accordato a quei paesi che ora avevano votato contro gli Stati Uniti. Inoltre, Nixon disse al telefono a Henry Kissinger che Washington avrebbe riconsiderato la quota che gli Stati Uniti versavano alle Nazioni Unite. Il 29 ottobre il Senato americano bocciò il progetto di legge sugli aiuti all’estero, comprese le Nazioni Unite. Questo atto ebbe conseguenze importanti per la politica internazionale degli Stati Uniti. Da quel momento, senza più dar conto alle Nazioni Unite, Nixon e Kissinger operarono liberamente a livello globale, iniziando un’azione di isolamento internazionale dell’Unione Sovietica che darà i suoi frutti negli anni successivi. La reazione che il presidente Donald Trump ha manifestato contro il voto delle Nazioni Unite che hanno condannato la decisione americana di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele ci richiama alla mente proprio quella di Nixon del 1971. La questione di fondo resta immutata. A partire dai processi di decolonizzazione degli anni cinquanta e sessanta e l’ingresso di una pletora di nuovi paesi nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, le maggioranze sono radicalmente mutate, e spesso a sfavore degli Stati Uniti. Inoltre, i paesi occidentali dell’Unione Europea, soprattutto dopo l’elezione di Trump, si sentono liberi da qualsiasi vincolo di solidarietà occidentale, soprattutto sul tema scottante di Israele. L’atteggiamento negativo nei confronti dello Stato ebraico da parte di questi paesi alimenta un’ondata di antisemitismo (sotto le mentite spoglie dell’antisionismo) e ne viene, a sua volta, legittimato. È, nell’immediato, una situazione grave e la mossa di Trump viene opportunamente utilizzata per un’ulteriore legittimazione politica contro Israele. Tuttavia, l’azione di Trump ha avuto e avrà un effetto dirompente sulla posizione dei paesi contrari a Israele. La decisione di non venire più incontro a eventuali richieste economiche, di diminuire la quota americana di denaro alle Nazioni Unite e di tener conto di tutti coloro che hanno votato contro gli Stati Uniti a proposito di Israele, il riavvicinamento di alcuni paesi a Washington è un effetto che alla lunga potrà essere molto più efficace rispetto alle condanne attuali. Il distacco americano dalle posizioni europee, e non solo sulla questione di Israele, avrà conseguenze negative sul Vecchio Continente, soprattutto in ragione delle mosse economiche interne del presidente americano, che hanno riportato il dollaro in posizioni egemoniche. Il riavvicinamento degli Stati Uniti a Israele, dopo gli anni bui di Obama, è un fatto concreto, molto importante nello scenario politico internazionale. Gli Stati Uniti avranno nuovamente mano libera. Trump ha imparato da Nixon?