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La Stampa Rassegna Stampa
24.12.2017 Così Israele può far convivere passato e futuro
Alain Elkann intervista Erel Margalit

Testata: La Stampa
Data: 24 dicembre 2017
Pagina: 28
Autore: Alain Elkann
Titolo: «Così Israele può far convivere passato e futuro»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/12/2017, a pag.28, con il titolo "Così Israele può far convivere passato e futuro" l'intervista di Alain Elkann a Erel Margalit

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Alain Elkann                          Erel Margalit

Erel Margalit ha fondato 24 anni fa Jvp (Jerusalem Venture Partners), il principale fondo di venture capital israeliano, che apporta innovazione e spirito imprenditoriale alle più pressanti sfide politiche, economiche e sociali di Israele. È stato scelto da Forbes come principale VC (Venture Capitalist) al di fuori degli Usa e definito dalla prestigiosa rivista finanziaria israeliana The Marker il primo venture capitalist dal tocco magico.
Che cos’è oggi Jvp?
«Un fondo di venture capital con due centri di eccellenza, uno a Gerusalemme e uno a Be’er Sheva che include il principale incubatore di Israele nel campo della sicurezza informatica. Nel corso degli anni, Jvp ha contribuito a creare oltre 120 società e le ha spinte a diventare leader sul mercato globale. Siamo particolarmente interessati alle tecnologie nei settori dell’analisi dei dati, apprendimento profondo, cybersicurezza, software e archiviazione. Collaboriamo con le principali aziende tecnologiche per portare la rivoluzione digitale in tutti i settori, bancario, automobilistico, assicurativo, sicurezza, vendita al dettaglio e media».
Come operate?
«Incontriamo e valutiamo oltre mille aziende all’anno, gruppi di giovani che hanno avuto un’idea. Possono nascere dalle forze armate israeliane e dalle loro forti unità tecnologiche o dalle istituzioni accademiche e, a volte, troviamo opportunità scartate dalle grandi industrie. I fondatori di solito sono persone molto brillanti che hanno bisogno di una guida per avere successo. Investiamo su otto-dieci aziende ogni anno lavorando a stretto contatto con il team fondatore e sviluppando il prodotto e il raggio di azione sul mercato. Abbiamo forti legami con i leader globali (recentemente abbiamo ospitato il leader francese Macron) e le multinazionali come Alibaba. Li ospitiamo spesso per imparare dalla loro esperienza di mercato e sapere quali problemi e soluzioni vedono nel mondo».
Le start-up in genere hanno successo?
«Spesso sì, ma solo poche diventano grandi aziende. Come la CyberArk, che si occupa di sicurezza informatica e su cui avevamo investito nel 2001. Ragazzi partiti svantaggiati nella vita che hanno avuto un’idea eccezionale. Ci hanno messo anni per espandersi in Israele, negli Stati Uniti, in Europa e in tutto il mondo e nel 2011 hanno ricevuto un’offerta di acquisto di 150 milioni di dollari. Noi pensavamo fosse prematuro, gli altri investitori della compagnia volevano vendere e alla fine abbiamo detto: “Vi compreremo noi”. Tre anni dopo l’abbiamo quotata in Borsa e ora è valutata a quasi 2 miliardi di dollari. È un esempio di come procediamo: a stretto contatto con le aziende e pronti a ulteriori investimenti se vediamo potenzialità». Cosa succede nel mondo oggi?
«La rivoluzione digitale sta cambiando le aziende, una categoria dopo l’altra e la maggior parte dei marchi oggi noti cambierà o sparirà nel giro di dieci o 15 anni. Penso a un’azienda di abiti che temeva che la concorrenza li avrebbe buttati fuori dal mercato: ci hanno contattato per comprendere meglio i giovani che sono il loro target, le tendenze e le loro preferenze e cosa potevano fare per coinvolgerli. La moda è solo uno dei fenomeni culturali odierni. Attraverso i vestiti si possono comprendere un sacco di cose, dalla musica alle preferenze culturali. Oggi l’azienda è in grado di trovare nei propri dati la chiave per rivolgersi alle nuove generazioni».
E le sue ambizioni politiche?
«Ho fatto parte per cinque anni del Parlamento, promuovendo lo sviluppo economico in Israele e nell’intera regione. Quello che stiamo facendo qui in Jvp non è solo un fenomeno aziendale. Quando abbiamo iniziato, avevamo un obiettivo, dare a una città come Gerusalemme, che regge il peso di un enorme patrimonio storico, una nuova grande narrativa sull’innovazione e la convivenza. C’erano molti problemi di sicurezza in città e tanti avevano paura di andare al ristorante o di mandare i propri figli a scuola. Gerusalemme era la città più povera d’Israele, e molti giovani se ne stavano andando via. Quello che abbiamo fatto qui, unendo affari e cultura, ha cambiato il modo in cui i giovani vedevano se stessi e la città, e ha fatto loro capire che avrebbero potuto avere successo a Gerusalemme. Abbiamo dato a Gerusalemme una nuova storia creando un luogo in cui passato e futuro lavorano insieme. Oggi che su Gerusalemme si sta accumulando tanta tensione, vogliamo ricordare ai politici che innovatori, creativi, giovani, vogliono una città dove la convivenza non sia solo una frase, ma un modo di vivere. Dove i politici vedono la disperazione, gli imprenditori trovano una via e portano speranza».
E il progetto della comunità di Bakehila?
«È stato messo a punto da mia moglie Debbie e da me ed è il più grande progetto di educazione sociale della città, che offre ai bambini svantaggiati la possibilità di avere successo. Quando unisci innovazione, arti applicate e sensibilizzazione sociale stai operando una trasformazione. Un’altra cosa che sto facendo è portare innovazione per collegare Israele con altri Paesi moderati nella regione. Se l’innovazione può trasformare un Paese, forse può costruire i primi ponti nell’intera regione. Saranno gli imprenditori a fare breccia perché la maggior parte dei politici è ancora intrappolata da vecchi concetti e vecchie idee».
Traduzione di Carla Reschia

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