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Alcune riflessioni per non votare M5stelle 19/12/2017
19.12.2017 Alcune riflessioni per non votare M5stelle
Sconfitta dei valori occidentali e disastro dell'economia

Testata: Il Foglio
Data: 19 dicembre 2017
Pagina: 1
Autore: la redazione del Foglio
Titolo: «Le costole di Di Maio - L’euro spiegato a Di Maio»

Continua la nostra ricerca di buoni motivi per NON votare 5  Stelle alle prossime votazioni per il rinnovo del Parlamento: che il movimento di Grillo & Casaleggio sia incapace a governare le amministrazioni locali è un fatto già noto, ma è molto probabile che non verranno più votati. Altra cosa sono le elezioni politiche. Se i sondaggi che li danno quale primo partito dovessero essere confermati - noi parliamo alla pancia degli elettori, ha dichiarato Grillo-  l'Italia si troverebbe consegnata a un governo dominato da politiche disastrose non solo sul piano economico, ma pronto ad allearsi con gli avanzi del defunto PCI, il che significa l'abbandono dei valori occidentali, sostituiti da nuove alleanze con i regimi terroristi quali l'Iran o dittatoriali come la Russia, l'uscita dalla Nato e, in caso di coalizione con l'estrema sinistra, Massimo D'Alema a governare la politica estera. Alleanze con i regimi che fiancheggiano il terrorismo islamico, rottura dei rapporti con Usa e Israele. Insomma la politica più volte confermata dai 5Stelle in salsa dalemiana.

Riprendiamo dal FOGLIO del 19/12/2017, a pag.1-3, due analisi con i titoli "Le costole di Di Maio", "L’euro spiegato a Di Maio".

Ecco gli articoli:

"Le costole di Di Maio"

Roma. In privato Grillo ha sempre sostenuto le virtù dell’opposizione. “Dobbiamo diventare il nuovo Pci”, è una frase che ha spesso ripetuto ai suoi parlamentari. Ma nel M5s sono aumentate le ambizioni. E le ambizioni adesso rendono obbligata una politica delle alleanze. “Se dovessimo ottenere il 40 per cento, potremmo governare da soli”, ha detto ieri in radio Luigi Di Maio. “Ma se non dovessimo farcela”, ha aggiunto, “faremo un appello pubblico alle altre forze politiche che sono entrate in Parlamento presentando il nostro programma e la nostra squadra. E governeremo con chi ci sta”. Possibile? Difficile. Per adesso i sondaggi danno il M5s compreso in una forbice tra il 28 e il 31 per cento. Anche se, nelle file del Movimento, sostengono di essere “sottostimati”. E dunque fanno discendere tutti i loro ragionamenti da un dato di maggiore ottimismo: 35 per cento, dicono. Pensano insomma di poter arrivare a circa 200 deputati, cui a quel punto basterebbe aggiungere un manipolo consistente di alleati minori capace di garantire una maggioranza. E così ecco le parole pronunciate ieri da Di Maio: “Governeremo con chi ci sta”. E’ da tempo che Di Maio, a questa bisogna, ha cominciato a guardare alla Lega e a Liberi e uguali di Pietro Grasso. Lanciando messaggi più o meno espliciti verso entrambi i partiti. Con la differenza che nella Lega ridono dell’eventualità, specialmente Roberto Maroni e Luca Zaia (Salvini molto meno). Mentre nel partito di Grasso, al contrario, l’idea di un’al - leanza con il M5s ad alcuni piace. E non solo perché Grasso sa bene di essere diventato presidente del Senato grazie ai voti del M5s, e sa pure di poter ancora contare sull’esplicita simpatia di diversi influenti senatori grillini, come Paola Taverna e Vito Crimi. Pier Luigi Bersani, per esempio, lo ha detto, non troppo tempo fa, a “Porta a Porta”: “Io sono ancora quello dello streaming”. Vuol dire che si alleeranno? Per governare Grasso dovrebbe superare il 10 per cento, e il M5s dovrebbe sfondare di molto quota 30. Improbabile. Però, intanto, se ne parla.

Diceva dunque Bersani, rivolgendosi al mondo di Grillo: “Ho le mie idee e le propongo con umiltà. Se sarà possibile discutere è perché saranno cambiati loro, e sarebbe bene per la democrazia italiana”. E che “loro” siano cambiati, almeno nell’atteggiamento, intorno all’ipotesi di “convergenze programmatiche”, è evidente. Adesso lo dice esplicitamente persino Di Maio. Mentre alcuni dei suoi collaboratori spiegano, senza tuttavia sbilanciarsi, che ci sono parecchi punti di facile contatto con la sinistra di Grasso: l’articolo 18, la legge Fornero, lo smantellamento del Jobs Act e della Buona scuola, e persino il reddito di cittadinanza che piace pure alla Cgil. Certo, il Movimento contestò Grasso ai tempi dell’approvazione del Rosatellum. Ma sono state innumerevoli le occasioni in cui i Cinque stelle sono andati a braccetto con il presidente del Senato: riforme costituzionali e anticorruzione. “Non può essere escluso il dialogo con nessuno, a parte la destra”, dice allora Pippo Civati. “Ma - gari saranno proprio i cinque stelle a trovare in Grasso una mediazione”. Rimangono distanze, certo. L’immigrazio - ne, che però i Cinque stelle stanno stemperando. E poi la politica estera, che, nella sinistra istituzionale, è sostanzialmente sempre stata atlantista. Mentre i Cinque stelle sono arrivati, persino, a contestare la Nato. Ma qui – attenzione – ecco una svolta che non può essere ignorata. Massimo D’Alema intervistato domenica dalla Stampa. Dichiarazione uno: “Il governo sarà frutto di intese che verranno dopo”. Dichiarazione due: “Ho visto governanti che hanno passato anni a baciare la pantofola della Merkel e adesso sono passati alla pantofola di Macron”. Dichiarazione tre: “Andrebbe aperto un negoziato serio con la Russia”. Dicono che il vecchio D’Alema venderebbe l’anima al diavolo grillino, pur di fare il ministro degli Esteri. Chissà.

"L’euro spiegato a Di Maio"

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Luigi Di Maio

Luigi Di Maio torna a minacciare l’uscita dall’euro se l’Europa non desse ascolto a un governo a 5 stelle (nulla di nuovo, andate su www.beppegrillo.it/fuoridalleuro e capirete che l’uscita dall’euro fa parte del programma grillino). Si smentisce a giorni alterni a seconda di dove parla, ma è bene spiegare a lui, agli altri sovranisti, ai loro potenziali elettori, cos’è l’euro. Ancora ieri i numeri dimostrano che ha salvato dalla crisi il Portogallo, il cui spread è sceso sotto quello italiano, dopo aver fatto lo stesso con Irlanda, Spagna, e rimesso in carreggiata la Grecia. Nell’anno orribile 2011 il costo del debito portoghese era al 14 per cento, il triplo dell’Italia. Il deficit irlandese al 32 per cento. La Spagna fuori controllo: milioni di case invendute, rischio di crac bancario, 40 per cento di disoccupati. E non parliamo della Grecia del valoroso antieuro Varoufakis. Irlanda, Portogallo, Spagna e Grecia si sono tutti salvati tenendosi stretti l’euro e l’Europa. La moneta unica è la maggior storia di successo dei nostri tempi non solo per la comune disciplina di bilancio, ma perché è l’espressione di un’area sociale, economica, di libera circolazione per persone, merci, idee, cultura. La Grecia ha visto il baratro quando un referendum à la Di Maio votò il ritorno alla dracma, poi sconfessato da Tsipras. La Francia ha umiliato il lepenismo del ritorno al franco. La Catalogna ha messo in fuga aziende, capitali, turismo, poiché i suoi sovranisti non sapevano che staccandosi da Madrid perdevano l’euro. Sono i fatti, non l’oscuranti - smo furbastro, che dicono che l’euro ha creato in 14 anni l’area più prospera, stabile e libera del mondo. Neppure un grillino può millantare che solo loro abbiano il dogma della verità e 340 milioni di europei siano vittime dei soliti complotti. Lasciare l’euro per scialacquare in deficit vuol dire essere “liberi”. Ma liberi di fallire, e senza rete di salvataggio.

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