Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 15/12/2017, a pag. 45, con il titolo "Noi con Djalali che non deve morire in Iran" il commento della senatrice a vita Elena Cattaneo.
Elena Cattaneo
Ahmadreza Djalali, ricercatore iraniano, sta per essere giustiziato. Dal 2016 è detenuto a Teheran, accusato di spionaggio; gli appelli per la sua liberazione sono caduti nel vuoto. È stato messo a morte nonostante abbia sempre rivendicato la propria innocenza. Ci sono forti sospetti che il suo diritto alla difesa sia stato calpestato e che i suoi avvocati non siano riusciti a presentare l’appello, spiazzati, loro per primi, dalla decisione della Corte suprema di confermare la condanna. La mobilitazione per salvare Djalali ha coinvolto le diplomazie di Italia, Svezia e Belgio, Paesi con le cui università il ricercatore ha collaborato, 75 premi Nobel e le principali associazioni per i diritti umani; al Senato, con Luigi Manconi e Elena Ferrara, abbiamo presentato un’interpellanza urgente sulla vicenda, sottoscritta da 130 senatori; alla Camera l’onorevole Pia Locatelli e oltre 50 colleghi hanno investito il governo del tema.
Ahmadreza Djalali
Il viceministro Mario Giro ha ribadito l’impegno costante sul caso. La petizione per Djalali su Change. org ha più di 260.000 firme. La Federazione italiana diritti umani ha lanciato un appello all’Unione europea affinché vengano richiesti all’Iran, al più alto livello diplomatico, chiarezza sul caso e un giusto processo. Quanto fatto a tutti i livelli non è bastato: Djalali deve morire. Ma oggi è ancora vivo, ha 46 anni, una famiglia, due figli, è uno scienziato conosciuto e rispettato che dedica la vita alla medicina dei disastri. È probabile che questi siano gli ultimi giorni utili per scongiurare un’esecuzione che getterebbe cupe ombre sulla collaborazione scientifica tra i Paesi del mondo libero e l’Iran. Come possono Università ed Enti di ricerca continuare a collaborare con l’Iran nonostante il rischio che i propri ricercatori siano parimenti arrestati, senza prove e senza garanzie processuali? Nella persona di Djalali, l’intera comunità scientifica e la stessa libertà di ricerca sono sotto attacco. Nulla sarà possibile senza un impegno politico internazionale più risoluto di quello che finora è stato. Per questo mi rivolgo all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, Federica Mogherini, affinché, in forza di quello spazio di libertà che l’Europa rappresenta nel mondo, si rechi di persona in Iran, ad accertare la sorte di Djalali, esigendo quella trasparenza e quel rispetto dei diritti umani fondamentali che finora sono mancati. Da rappresentanti di uno Stato democratico non possiamo permettere che un uomo venga giustiziato sulla base di accuse che ha sempre negato, senza conoscere le prove che hanno portato alla condanna, senza la possibilità di un appello, senza un giusto processo. Valutare di sospendere la partecipazione del nostro Paese ad accordi che facilitano l’interscambio accademico tra Italia e Iran sarebbe doveroso: il ripristino dei diritti umani e civili di tutti i “Djalali” dev’essere una condizione necessaria perché l’Italia, insieme ai Paesi coinvolti, prosegua il rafforzamento delle relazioni con l’Iran.
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