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Ugo Volli
Cartoline
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Il vero miracolo di Hannukkah 12/12/2017
Il vero miracolo di Hannukkah
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Una delle caratteristiche della storia ebraica, su cui raramente si riflette è che il popolo ebraico è stato, dalla sua origine, almeno 3300 anni fa, in intimo e fruttuoso contatto con le più grandi culture del mondo. Non solo invaso da egiziani, assiri, babilonesi, persiani, greci di Carlo Magno, romani, non solo in esilio durante la fioritura culturale araba, il Rinascimento italiano, la modernità europea, le grandi culture russa, tedesca e americana. Ma inevitabilmente influenzato da tutte queste. L’alfabeto paleoebraico, il prima al mondo, estrae i suoi simboli dal geroglifico e poi si modifica adottando la scrittura “assurit”, cioè mesopotamica; molti miti e costumi sono comuni ai popoli antichi circostanti; l’aramaico in cui è stato scritto il Talmud è una lingua siriana, molte fra le costruzioni antiche che ci rimangono in Israele hanno un’architettura derivante dagli influssi romani, vi sono strati linguistici persiani e greci nei testi canonici e la Torah ha avuto diffusione nel mondo nella sua traduzione in greco fatta ad Alessandria d’Egitto probabilmente per una popolazione ebraica di lingua greca; Maimonide come altri grandi medievali ha scritto in arabo le sue opera fondamentali, ma lui in particolare fu influenzato dall’opera di Aristotele; la kabbalah presenta evidenti influssi gnostici, che in definitiva vengono dalla Persia…

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Si potrebbe continuare a lungo. La differenza rispetto a tutti gli altri popoli è che quello che ha attraversato tutte queste traversie e influenze è rimasto ebraico, cioè ha saputo reagire alle influenze, filtrarle accettandone alcune e respingendone altre. I popoli non scompaiono quasi mai per genocidi, perché questi difficilmente sono completi, soprattutto nel mondo preindustriale. Essi spariscono se si lasciano assorbire, assimilare, soffocare come portatori di superstizioni e costumi locali barbarici e infinitamente inferiori alle culture locali. La forza di Israele, sua capacità di sopravvivenza senza pari nella storia dell’umanità sta nell’aver rifiutato questo meccanismo, ma non semplicemente chiudendosi nel passato e rifiutando ogni modernizzazione, come ha fatto l’Islam coi risultati che sappiamo. E’ la capacità di entrare in rapporto col mondo e di esercitare e subire influenza, senza farsene schiacciare.

Questo è esattamente il tema della festa di Hannukkah, che inizia questa sera e dura otto giorni: nella forma è una delle molte feste delle luci che varie culture celebrano intorno al solstizio d’inverno; nell’occasione storica celebra il ricordo della resistenza vittoriosa che oppose una famiglia sacerdotale di campagna contro lo strapotere dei sovrani ellenistici che volevano distruggere la cultura ebraica in Israele (immagino in perfetta buona fede, per fare posto alla più “avanzata” civiltà greca); nel mito racconta di una botticella d’olio puro che doveva alimentare la lampada del tempio riconsacrato dopo la vittoria sugli ellenisti che l’avevano usato per i loro riti pagani e che durò otto giorni invece che uno come sarebbe dovuto avvenire, fino cioè all’arrivo del nuovo olio purissimo per la luce perpetua dell’altare.

Sul miracolo di Hannukkah naturalmente si possono fare molte interpretazioni. A me piace pensare che sia il simbolo di Israele, troppo piccolo per mantenersi in vita (in luce) fra le potenze del mondo che lo vogliono soffocare, ma capace di reggere anche nelle più dure avversità, e trovare nuove fonti e nuove ragioni per la sua esistenza. Il genocidio culturale del popolo ebraico, la sua distruzione come popolo e come cultura è stata tentata molte volte, a partire dagli egizi e fino a oggi, con particolare menzione per la cristianità, l’Islam, il comunismo, che si presumevano tutti superiori e, naturalmente “per il bene degli ebrei”, tentarono a lungo di rieducarli alla loro superiore civiltà. Ne seguirono roghi di libri e di persone, gulag e lager, statuti di dhimmitudine, prediche forzate, paragrafi pieni di disprezzo in libri sulla storia delle religioni e civiltà, ghetti, furti di bambini, pogrom, espulsioni, conversioni forzate, libelli colpevolizzanti contro l’ebraismo e – da quando c’è – contro Israele. Ma non sono serviti a nulla, o meglio sì, hanno provocato sofferenze infinite “per il nostro bene” e una certa continua emorragia demografica del popolo ebraico, messo cinicamente da cristiani e musulmani, marxisti e anche da pezzi di cultura “democratica” (ma certo non liberale) nella condizione di pagare un prezzo durissimo e spesso insopportabile per il peccato di voler continuare a essere se stessi. Ma, alla faccia loro, i “resti di Israele” sono oggi nel loro stato, oltre che in tutto il mondo e possono festeggiare quella loro antica guerra di liberazione, quel loro antico e ancora ben presente miracolo. Am Yisrael chai ve chaiam, il popolo di Israele vive e vivrà. Un augurio di buona channukkah, di gioia sincera per una libertà che raramente è stata completa come oggi.

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