Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/12/2017, a pag.15, con il itolo "Cinema riaperti dopo 35 anni: L’ultima svolta dei nuovi sauditi" la cronaca di Francesca Paci.
Francesca Paci
Samar Fatany si era da poco laureata quando l’ulteriore giro di vite seguito alla rivoluzione iraniana privò l’Arabia Saudita dei pochi maxi schermo esistenti relegando i film alla visione domestica via satellite o via streaming. Oggi, 61 anni e un posto da editorialista al quotidiano Saudi Gazette, si prepara a far la fila al botteghino come un’adolescente. «Pare un dettaglio ma non lo è, sono cresciuta senza cinema, in una società in cui i ragazzi aspettavano il Fulbright o un viaggio all’estero per divertirsi un po’, erano depressi, annoiati, ripiegati sulla famiglia» spiega al telefono da Riad. L’annuncio del ministro della cultura Awwad Alawwad ha galvanizzato giovani e meno giovani: a marzo, dopo trentacinque anni, i sudditi di sua maestà re Salman assisteranno all’inaugurazione di una vera e propria sala cinematografica, la prima delle duemila che, a licenze concesse, dovrebbero aprire entro il 2029. L’onda lunga della Vision 2030 continua, almeno nelle aspettative, a spingere i sauditi verso il futuro immaginato dal principe ereditario Mohammed bin Salman, ormai per tutti noto con l’acronimo MbS. Dopo il divieto per le donne di guidare l’auto che cadrà il prossimo giugno, l’apertura degli stadi sportivi alle tifose finora escluse e la promessa di una nuova stagione di concerti pop tocca adesso al cinema, croce e delizia di tutti gli iconoclasti, il peccato originale dell’edonismo empio che meno di un anno fa l’ultraconservatore capo del gran consiglio del clero saudita, il Mufti Abdukaziz al Sheikh, aveva equiparato senza appello alla depravazione. «Siamo a un momento spartiacque nello sviluppo dell’economia culturale saudita» ripete il ministro della cultura. Non precisa se, come è verosimile, il pubblico sarà almeno inizialmente diviso tra uomini e donne o se verranno proiettati film indigeni, blockbuster internazionali o blockbuster internazionali mutilati dalla censura. Calca invece la mano sulla diversificazione, l’emancipazione di Riad dall’oro nero che solo nel settore dell’entertainment dovrebbe creare 30 mila nuovi posti di lavoro, 130 mila impieghi a tempo determinato e un incremento del Pil di 90 miliardi di rial sauditi (24 miliardi di dollari) spinto dai consumi dei giovani che oggi, in assenza di un’offerta locale, vanno a svagarsi all’estero (il 70% della popolazione è under 30). «Se arriverà dove ha puntato, quella di MbS sarà un rivoluzione senza precedenti nella regione, una rivoluzione per tutto il mondo sunnita» dice lo scrittore franco-algerino Kamel Daoud, uno che in passato ha definito l’Arabia Saudita «un Isis che ce l’ha fatta». In conto al principe ereditario vanno messi anche la stretta contro la corruzione, che ha portato agli arresti massicci delle settimane scorse, e la politica a dir poco assertiva - dallo Yemen insanguinato al Qatar al Libano - guardata a vista dagli altri leader arabi. «Intuisco finalmente le premesse di una normalizzazione della società saudita in chiave moderna» chiosa Fatany. Il cinema è una metafora come lo sono le donne. Come lo erano già, l’uno e le altre, nel film del 2012 «La bicicletta verde» diretto dalla regista Haifaa al-Mansour, finora assai poco profeta in patria, e nominato al Bafta e al Satellite Awards.
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