Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/12/2017, a pag.7, con il titolo "Lo zar ascolta l’avversione dei più giovani: 'Non vogliamo combattere quella guerra' " la cronaca di Giuseppe Agliastro.
La Russia ha molti aspetti negativi (tra questi il fatto di essere una dittatura, di negare i diritti individuali e di essere alleata con l'Iran), ma almeno non ha una cultura della morte, che è invece presente in tutti i Paesi islamici e in molti altri Paesi europei islamizzati. Per questo la maggioranza dei giovani russi afferma di preferire il disimpegno in Siria. Amano la vita, a differenza degli insegnamenti dell'islam. Nessuno si fa saltare in aria urlando AllahU Akbar.
Ecco l'articolo:
Giuseppe Agliastro
Meno di una settimana dopo aver annunciato la sua candidatura alle presidenziali del prossimo marzo, Vladimir Putin vola a sorpresa nella base aerea russa di Hmeymim, in Siria, e ordina di riportare «a casa» una «parte considerevole» del contingente russo schierato nel Paese levantino. Il ritiro delle truppe - già anticipato a inizio mese a La Stampa da fonti diplomatiche - potrebbe essere per Putin un’oculata mossa elettorale. Una fetta importante della popolazione russa è infatti preoccupata dall’intervento armato in Siria, e ancora una volta a dar filo da torcere al leader del Cremlino sono soprattutto i giovani: è tra di loro infatti che l’avversione alla «guerra di Putin» è decisamente più alta. Gli under 24 si informano anche su internet e su di loro la propaganda tv del governo russo ha meno presa, non danno inoltre troppa importanza al fatto che la Russia sia o meno una grande potenza, o danno per scontato che lo sia, e infine non ricordano le difficoltà degli Anni ’90 e non vedono Putin come colui che ha tirato la Russia fuori dal caos. Ecco perché, stando al centro demoscopico Vtsiom, il 50% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni è a favore del ritiro delle truppe russe dalla Siria, una percentuale che scende al 44% nella fascia di età 25-34 anni e si riduce man mano fino al 25% tra gli ultrasessantenni. In generale, secondo un sondaggio pubblicato tre mesi fa dal centro Levada, quasi la metà dei russi (49%) pensa che il Cremlino debba mettere fine all’operazione in Siria. Meno di un terzo degli intervistati (30%) è invece a favore della continuazione dell’intervento iniziato nel settembre del 2015. Ma il dato forse più’ allarmante per Mosca è che il 32% dei russi teme che la Siria si riveli un nuovo Afghanistan. Persino il centro Vtsiom - di proprietà statale - ammette che «i russi sono divisi» sulla necessità di continuare o meno l’intervento in Siria. Stando a un sondaggio pubblicato a ottobre, il 54% della popolazione è a favore della continuazione dell’operazione, mentre il 34% è contrario. Si tratta di cifre evidentemente diverse da quelle fornite dal centro Levada. Ma la cosa interessante è che chi si pronuncia per il proseguimento dell’intervento armato spiega la sua posizione con il bisogno di «mettere fine al terrorismo» e di «concludere cosa si è iniziato». Ieri Putin si è in pratica rivolto a loro quando - non appena atterrato in Siria - ha dichiarato che «le forze armate russe e l’esercito siriano hanno sconfitto il gruppo più combattivo dei terroristi internazionali». Una conferma di quanto aveva già detto la settimana scorsa annunciando la disfatta dell’Isis in Siria. «Missione compiuta» insomma per Putin, che pur ammettendo la possibile presenza «di focolai di resistenza» dei tagliagole dell’Isis, mantiene così la promessa di un impegno militare «a termine». Una fretta di uscire dalla Siria dettata dall’avvicinarsi delle elezioni, secondo gli analisti. Le truppe russe comunque non leveranno definitivamente le tende. Il Cremlino manterrà in terra siriana la base aerea di Hmeymim e quella navale di Tartus. La Russia riduce per il momento i suoi jet in Siria, ma allo stesso tempo si dice pronta a bombardare con ancora maggiore intensità «se i terroristi rialzeranno la testa». Del resto, anche l’anno scorso Putin annunciò il ritiro dei soldati russi, ma i raid in Siria non si fermarono.
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