Riprendiamo dal FOGLIO del 11/12/2017, a pag.1, con il titolo "Appello al governo italiano per una grande battaglia a favore di Israele", l'editoriale del direttore Claudio Cerasa.
Claudio Cerasa
Nel corso degli ultimi giorni – giorni duri, giorni di intifada, giorni di missili, giorni di battaglia, giorni di orgoglio antiebraico – nella descrizione della nuova fase conflittuale in medio oriente c’è una grande rimozione lessicale e culturale che coincide con il nome del paese che continua a essere l’obiettivo principale dell’odio islamista: Israele. Da venerdì a oggi l’odio islamista nei confronti di Israele ha trovato un nuovo pretesto per far detonare l’eterna bomba dell’antisionismo e dell’antisemitismo e ha utilizzato l’occasione della decisione annunciata da Donald Trump di spostare l’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme (e chissà poi quando capiterà davvero) per scatenare una nuova intifada contro il popolo ebraico (la Seconda Intifada nel 2000 venne pianificata a freddo durante i colloqui di Camp David con mesi di anticipo, la guerra del Libano nel 2006 iniziò improvvisamente con il rapimento e l’uccisione di alcuni soldati israeliani, l’ultima guerra a Gaza del 2014 iniziò con l’assassinio dei tre studenti israeliani, l’Intifada dei coltelli nel 2015 iniziò con un ragazzo che prese un pugnale e uccise un israeliano e nella storia israeliana gran parte degli scossoni sono nati senza alcun grande fatto che li precedesse e per questo anche questa volta è lecito dire che l’intifada si sa quando comincia ma non si sa quando finisce).
Come difendere Israele?
Nella descrizione dell’intifada, purtroppo, buona parte dell’opinione pubblica tende a dimenticare che tra Israele e Hamas non è in corso un conflitto simmetrico ma è in corso un conflitto tra l’unica democrazia funzionante del medio oriente (nonché esempio di integrazione) e una forza terroristica che sfrutta ogni pretesto per provare a cancellare Israele dalla carta geografica (i missili li lancia Hamas, Israele quando lancia i missili di solito lo fa per difendersi). E all’interno di questa rimozione ci si dimentica regolarmente di dire che ogni iniziativa islamista rivolta contro Israele ha un unico e chiaro obiettivo, che è quello di provare a distruggere il popolo ebraico. Il dato sconvolgente degli ultimi giorni però è che la violenza contro Israele non arriva solo attraverso i missili militari sganciati da Hamas, ma arriva anche attraverso i missili diplomatici sganciati dalla stragrande maggioranza delle istituzioni del mondo che proprio nelle stesse ore in cui Israele tornava a essere l’obiettivo dell’odio islamista decidevano di redarguire Trump (lo ha fatto l’Onu venerdì pomeriggio) per aver ostacolato il processo di pace in medio oriente. La superficialità con cui l’Onu ha scelto di isolare Israele (ancora una volta) è solo l’ultimo segnale di un’intifada diplomatica che da mesi o forse da anni non perde l’occasione per boicottare Israele e per dare sponde preziose a tutti i paesi che sognano di cancellare Israele dalla carta geografica. E’ successo con le orrende mozioni dell’Unesco che hanno provato a mettere in dubbio il legame millenario tra il popolo ebraico e Gerusalemme (verrebbe da chiedersi perché se il riconoscimento americano è visto come una provocazione non lo sono altrettanto le risoluzioni Unesco).
E’ successo con la richiesta tragicamente famosa della Commissione europea di marchiare i prodotti del popolo ebraico e di boicottare le merci israeliane prodotte al di là della Linea Verde del 1967 (ci sono duecento contese territoriali nel mondo, dalla Crimea invasa dalla Russia al Tibet sotto dominio cinese fino a Cipro, ma soltanto Israele subisce questo folle trattamento). E’ successo quando il Consiglio dei diritti umani dell’Onu ha accusato Israele di aver trasformato Ramallah, capitale dell’Autonomia palestinese, in un campo di concentramento (solo l’Onu poteva paragonare la “sofferenza palestinese” alla Shoah). E’ successo quando il Consiglio dei diritti umani dell’Onu formato da dittature o paesi parzialmente liberi come Algeria, Bangladesh, Cina, Congo, Costa d’Avorio, Cuba, Etiopia, Gabon, Indonesia, Kazakistan, Kenya, Maldive, Marocco, Nigeria, Pakistan, Qatar, Russia, Arabia Saudita, Sierra Leone, Emirati Arabi Uniti, Venezuela e Vietnam ha dato mandato alla commissione di accusare Israele di “crimini di guerra”. E’ successo in tutte queste occasioni e continuerà a succedere in molte altre occasioni: il numero di critiche che la comunità internazionale rivolge allo Stato di Israele è e sarà sempre maggiore rispetto al numero di critiche che la comunità internazionale rivolge agli stati che sognano di spazzare via Israele dalla carta geografica. E allora forse è arrivato il momento di dire basta. Forse è arrivato il momento di riavvolgere il nastro. Forse è arrivato il momento di smetterla di accettare tutto. Forse è arrivato il momento di dire che quando si parla di Israele non ci possono essere più maggioranze automatiche all’Onu perché Israele è più importante degli equilibrismi diplomatici. Forse è arrivato il momento di marchiare non i prodotti che arrivano dagli insediamenti ebraici ma i prodotti che arrivano dai paesi che negano la legittimità di Israele a essere Israele. Forse bisognerebbe cominciare a legare gli aiuti ai palestinesi alla fine dell’odio contro Israele e alla fine dei terroristi stipendiati da uno stato che riceve milioni di finanziamenti dalle istituzioni europee. Forse bisognerebbe non fischiettare quando il premier israeliano Benjamin Netanyahu chiede alle istituzioni europee di “smetterla di attaccare Israele” e di smetterla di rendere complicata “la formazione di accordi tra Europa e Israele”.
Forse è il momento di dire basta. Di accettare che senza un riconoscimento formale della legittimità di Israele a essere Israele non può esistere alcun processo di pace. Forse è arrivato il momento di portare in Parlamento una mozione parlamentare che prima dello scioglimento delle Camere impegni già questo governo a fare una cosa semplice: a presentare il progetto di candidatura per l’inserimento d’Israele nella lista rappresentativa del patrimonio culturale materiale dell’umanità dell’Unesco, d’intesa con gli altri paesi europei interessati al progetto, al fine di dare continuità alle iniziative volte ad assicurare il massimo sostegno della comunità internazionale a difesa della legittimità di Israele a difendersi contro la minaccia islamista. Il Foglio si offre gratuitamente per essere il gruppo di coordinamento per la candidatura di Israele a nuovo sito patrimonio dell’umanità. E’ il momento di farsi sentire. E’ il momento di chiedere al ministro della Cultura Dario Franceschini di schierare l’Italia, in Europa, in prima linea nella lotta culturale contro chi sogna di spazzare via Israele dalla carta geografica. E’ il momento di farsi sentire. E’ il momento di scrivere: israelepatrimonio@ilfoglio.it
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