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La Stampa Rassegna Stampa
11.12.2017 Incontro Macron-Netanyahu: cronaca e i soliti commenti ostili
Di Paolo Levi, la disinformazione di Repubblica, l'abituale intervista allo scrittore israeliano contro il governo

Testata: La Stampa
Data: 11 dicembre 2017
Pagina: 13
Autore: Paolo Levi
Titolo: «Macron, mediatore con Netanyahu: 'Per la pace fermate gli insediamenti'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/12/2017, a pag. 13, con il titolo "Macron, mediatore con Netanyahu: 'Per la pace fermate gli insediamenti' ", la cronaca di Paolo Levi.

Sul CORRIERE della SERA Eshkol Nevo completa il giro degli scrittori israeliani che in questi giorni hanno riempito i giornali italiani. Anche Nevo si dice in disaccordo con Trump e attacca Benjamin Netanyahu. Possibile che vengano intervistati solo e rigorosamente isreliani con posizioni del genere, e gli altri ignorati?

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Eshkol Nevo

La REPUBBLICA, a pag. 3, definisce nel titolo "falco" il premier di Israele Netanyahu. Come al solito, Netanyahu viene dipinto come un estremista, dimenticando che guida una coalizione che include partiti di vario orientamento, dal centro liberale alla destra sionista e anche ai partiti religiosi. Pessima titolazione ideologica, indegna di un giornale che vorrebbe essere credibile.

A pag. 27 Bernardo Valli attacca Trump e Israele e afferma con compiacimento che la mossa di Trump su Gerusalemme abbia riavvicinato i due schieramenti contrapponsti del mondo islamico. Vedremo se la realtà andrà nella direzione indicata da Valli, per ora non è così e le sue sono solo previsioni, che, come al solito, auspicano il peggio per Israele.

Ecco la ceonaca di Paolo Levi sulla Stampa:

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Paolo Levi

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Benjamin Netanyahu con Emmanuel Macron

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu vola a Parigi per incontrare il presidente francese Macron. È la prima uscita dai confini nazionali per il leader israeliano da quando Trump ha annunciato lo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Ma se il tema caldo del faccia a faccia è ovviamente legato alla scelta americana che sta gettando scompiglio nel mondo musulmano e nelle cancellerie europee, in agenda i due tengono anche il dossier siriano, sul quale Macron ha un ruolo da protagonista certificato dal patto con Putin, per la definizione della strategia con cui delineare il dopoguerra. Nei saloni dell’Eliseo va in scena quindi un vertice sul Medio Oriente e lo scambio fra i due leader è diretto, con Macron che incalza Netanyahu su Gerusalemme («Fai un gesto di apertura ai palestinesi, congela gli insediamenti», gli dice); e l’ospite che ribatte sull’altro tema caldo, il dopoguerra siriano: «Non accetteremo mai la presenza degli iraniani a quaranta chilometri da Israele».

Macron e Netanyahu si fronteggiano per due ore prima di presentarsi alla stampa. Dopo aver condannato con la «più grande fermezza ogni forma di attacco» contro lo Stato ebraico - «Paese amico e partner privilegiato» -, Macron ha tuonato contro la scelta di Trump di trasferire l’ambasciata a Gerusalemme («Un pericolo per la pace contrario al diritto internazionale»). Poi, senza mezzi termini, ha chiesto all’ospite di aprire con un gesto forte ai palestinesi. «Sono d’accordo con Netanyahu quando dichiara che bisogna dare una chance alla pace: allora – ha martellato volgendo lo sguardo all’interlocutore - fai un gesto per i palestinesi, “give a chance”», ha ripetuto in inglese come per accertarsi che l’israeliano avesse ben colto il messaggio. Oggi più che mai servono atti «coraggiosi», ha insistito Macron, invocando il «congelamento della colonizzazione e misure di fiducia rispetto all’autorità palestinese». Su Gerusalemme Netanyahu ha ribattuto al padrone di casa: «Parigi è la capitale della Francia come Gerusalemme è la capitale di Israele», è così «da tremila anni». Per lui, ciò che ha ritardato le trattative è stato «spesso» il rifiuto dei palestinesi di «sedersi al tavolo con Israele». Se Abu Mazen «vuole la pace – ha avvertito – venga a negoziare».

Il convitato di pietra è il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Poche ore prima aveva definito quello ebraico come «uno Stato terrorista» che «uccide bambini»: «Non ho lezioni di morale da ricevere da parte di un dirigente che bombarda villaggi curdi in Turchia, che imprigiona giornalisti, aiuta l’Iran ad aggirare le sanzioni internazionali e aiuta i terroristi, in particolare, a Gaza», gli replica Netanyahu dall’Eliseo. Anche se l’impressione è quella di un presidente determinato ad assumere la leadership europea sui dossier mediorientali, Macron ha garantito che la palla dei negoziati di pace fra Israele e palestinesi resta nel campo di Washington. Dopo aver denunciato l’ipocrisia dell’Ue che condanna Trump ma non i razzi su Israele, Netanyahu ha poi ritenuto «assurdo» che «all’Unesco e all’Onu ci sia una tendenza a negare i legami millenari» tra quel lembo di terra e il popolo ebraico.

Mentre Netanyahu vedeva Macron, Abu Mazen riceveva la telefonata di al Sisi e preparava il vertice di oggi al Cairo con il re Abdallah di Giordania. Intanto, il Parlamento di Amman ha votato una mozione per chiedere di «rivedere» gli accordi firmati finora con Israele.

 

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