Gerusalemme Capitale: Cremonesi, Guolo, la versione arabo-palestinese dei fatti La solita tecnica omissiva per disinformare chi legge
Testata: Informazione Corretta Data: 09 dicembre 2017 Pagina: 1 Autore: La redazione di IC Titolo: «Gerusalemme Capitale: Cremonesi,Guolo, la versione arabo-palestinese dei fatti»
Dalla dichiarazione di Trump sul traferimento dell'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, gran parte dei nostri quotidiani si sono di fatto schierati dalla parte arabo-palestinese, infiorando questa parzialità con alcune interviste a israeliani che, guarda caso, impiegano molto del loro tempo a criticare la politica del governo a guida Netanyahu. I due commenti che riprendiamo oggi, 09/12/2017, sul CORRIERE della SERA a pag.6 di Lorenzo Cremonesi, su REPUBBLICA a pag.36, di Renzo Guolo, sono un esempio di come funziona la disinformazione volta a delegittimare Israele. Il nostro commento in apertura dei due articoli.
Corriere della Sera-Lorenzo Cremonesi; "I giorni della frustrazione palestinese"
Lorenzo Cremonesi
Cremonesi non necessita introduzioni, da quando era corrispondente in Israele ad oggi, è un campione nell'omissione di ogni aspetto che può danneggiare l'immagine della controparte arabo-palestinese. I palestinesi che dimostrano sono sempre "giovani", armati solo di pietre e bastoni, omettendo stragi e accoltellamenti. I "medici della luna rossa" ricevono accurata citazione, mai che Cremonesi li interroghi sui crimini commessi contro i civili israeliani. Riferisce la "delusione" palestinese per la mancata nascita dello stato palestinese, ma omette di scrivere che la risposta è sempre stata NO, a partire dalla partizione Onu del 1947, così è più facile attribuirne la responsabilità a Israele. Cremonesi non è Michele Giorgio, ma proprio per il fatto di scrivere sul Corriere, è molto più pericoloso, non presentandosi come un estremista. Il lettore, in buona fede, viene privato delle informazioni indipensabili per capire.
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Ecco l'articolo:
Avviene sempre così, ogni volta che si riaccendono le tensioni tra israeliani e palestinesi i confini precedenti la guerra del giugno 1967 tornano a farsi concreti e immanenti. Ieri, per il secondo giorno consecutivo dopo la dichiarazione di Donald Trump su «Gerusalemme capitale di Israele», i giovani palestinesi sono tornati a manifestare per le strade di Gaza e Cisgiordania sino ai quartieri orientali di Gerusalemme armati di pietre e bastoni. Mentre, dopo il lancio di razzi da Gaza, l'aviazione israeliana ha colpito tre obbiettivi di Hamas nella Striscia: un morto, 20 feriti. Il leader del movimento islamico Hamas da Gaza giovedi aveva invocato la mobilitazione generale nei «giorni della rabbia». A lui aveva fatto eco da Ramallah il presidente dell'Autorità Palestinese, Abu Mazen, che comunque fa appello all'Onu per chiedere una condanna internazionale della mossa americana. Ieri i medici della Mezza Luna Rossa parlavano di «almeno un altro morto» nella zona di Gaza, oltre a un'ottantina di feriti dai proiettili anti-sommossa israeliani e decine di intossicati dai gas lacrimogeni. Il rischio è che, nel caso dovesse aumentare il numero delle vittime, ogni funerale possa trasformarsi in un'occasione di scontro, alimentando la possibilità che le proteste possano strutturarsi in una «terza intifada». Va però detto che, almeno per il momento, le proteste restano tutto sommato contenute. Nulla a che vedere con quelle che esplosero come un fiume in piena all'inizio della «prima intifada delle pietre», il cui trentesimo anniversario scade proprio oggi, e che segnarono profondamente la storia del Medio Oriente. E certamente una situazione molto diversa dalla «seconda intifada» dell'autunno Duemila, degenerata rapidamente negli attentati suicidi e le bombe nei caffè e sugli autobus. «Nel dicembre 1987 eravamo speranzosi in un mutamento radicale e veloce. Pensavamo che la nascita di un nostro Stato indipendente fosse imminente. Oggi mancano idee e leader», sostenevano ieri dopo le preghiere del venerdì in tanti tra i palestinesi che abbiamo incontrato presso la porta di Damasco e le vie della Città Vecchia che conducono alla spianata delle moschee. Gerusalemme Est si è rivelata un buon termometro della situazione. Alcuni commentatori avevano ipotizzato che proprio qui potesse catalizzarsi il cuore violento delle proteste. La polizia israeliana era stata mobilitata con l'ordine di disperdere gli assembramenti. Ma la grande maggioranza dei fedeli musulmani ha ascoltato nella calma le parole durissime del Muftì contro Trump e il suo «oltraggio alla Città Santa», per poi disperdersi ordinatamente, mentre da tutto il mondo islamico giungevano notizie di manifestazioni in solidarietà con i palestinesi. Soltanto alcune centinaia di giovani hanno poi inscenato piccoli cortei lungo la Via Dolorosa attorniati da decine di giornalisti. I loro slogan sono comunque indicativi: se la prendono contro Abu Mazen e i negoziatori palestinesi «responsabili degli inutili e perdenti accordi di pace del 1993». Parole dure sono state pronunciate anche contro il «traditore Mohammad bin Salman», il 32 enne principe reggente saudita che negli ultimi tempi si è avvicinato al governo israeliano in chiave anti-iraniana e, secondo alcune indiscrezioni (smentite da Riad), starebbe anche mediando un nuovo piano di pace che escluderebbe Gerusalemme dalla sovranità palestinese.
La Repubblica-Renzo Guolo: " Se Trump dà una mano ad Hamas"
Renzo Guolo
Renzo Guolo, docente di sociologia dell'islam all'univerisità di Padova, è - come Cremonesi, apparentemente un non estremista, nel linguaggio e nella sua qualifica professionale, un non-Michele Giorgio. Questo lo rende credibile, anche se poi la conclusione di quanto scrive non poi molto diversa da quella di un pezzo del maifesto o del Fatto, essendo l'unica variante la mancanza di rozzezza dello 'stile'. Qui accusa Trump di essere il reponsabile del rilancio del conflitto, mentre elogia l'Iran definendolo " uscito vincitore dal conflitto siriano: scongiurando, con il suo intervento militare, l'insediamento di un potere sunnita nella Mezzaluna fertile sponsorizzato dai sauditi". Chiama Hamas 'il partito di Dio', evitanto 'movimento terrorista'- stessa linea di Cremonesi- anche se Onu e UE usano la terminolgia corretta. Scrive il 'lungo e logorato governo di Gaza', quando tutti dovrebbero sapere che è una sanguinaria dittatura che ha nel proprio stato la distruzione di Israele. E' la linea di Repubblica, omettere per disinformare meglio. Domani Macron riceverà a Parigi il premier Netanyahu, prepariamoci alla solita, abituale disinformatzia che arriverà puntuale sulle colonne di Repubblica.
om'era prevedibile, il "nuovo approccio" mediorientale evocato da Trump con la scelta di riconoscere Gerusalemme II Medio Oriente Renzo Guolo c-- om'era prevedibile, il "nuovo approccio" mediorientale evocato da Trump con la scelta di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele rischia di risolversi in un vecchio schema: il rilancio del conflitto. Vanificando, così, persino l'efficacia delle inedite, e un tempo impensabili, alleanze che, in funzione anti-iraniana, stavano ridisegnando la regione. Sino all'avventato annuncio della Casa Bianca il quadro regionale registrava la tessitura di un accordo tra Arabia Saudita e Israele, con la benedizione americana, che aveva come obiettivo il contenimento della crescente influenza iraniana nell'area. Più che mai, infatti, l'Iran è uscito vincitore dal conflitto siriano: scongiurando, con il suo intervento militare, l'insediamento di un potere sunnita nella Mezzaluna fertile sponsorizzato dai sauditi; mantenendo aperto quel corridoio, vitale per i suoi interessi, che va da Teheran a Beirut passando per Damasco; portando le milizie del fido "Partito di Dio", guidato da Nasrallah, in aree del territorio siriano dalle quali può minacciare Israele; riprendendo, sotto il costringente mantello della Russia, il rapporto mai facile con la Turchia, diretta concorrente dei sauditi nella partita per l'egemonia tra le potenze islamiche sunnite. Sconfitta su quel terreno l'Arabia Saudita ha cercato, con la sponsorizzazione degli Stati Uniti, un'alleanza con Israele cementata dalla comune convinzione che l'Iran costituisca per entrambi una minaccia strategica. Ma quell'insolita alleanza, un tempo tabù e oggi indifferente a molti regimi arabi alle prese con i propri problemi interni, aveva come presupposto la costruzione di una cintura di sicurezza nei confronti di Teheran, il cui primo terreno di prova è stato il Libano della vicenda Hariri. Cimentarsi con questioni di grande come capitale di Israele rischia di risolversi in un vecchio schema: il rilancio del conflitto. Vanificando l'efficacia delle inedite alleanze che stavano ridisegnando la regione. pagina 39 SE TRUMP DÀ UNA MANO AD HAMAS impatto simbolico come Gerusalemme può essere un prezzo troppo elevato da pagare persino per il nuovo uomo forte del regime, il principe Mohammad bin Salman. Gerusalemme resta pur sempre il terzo luogo santo dell'islam e per la monarchia saudita, che si vuole "custode" degli altri due luoghi sacri, Mecca e Medina, avallare la scelta americana in nome della realpolitik anti-iraniana può essere un azzardo. I dotti wahhabiti, già ostili al futuro sovrano deciso a mettere all'angolo la loro rigida visione dell'islam, potrebbero togliergli quella legittimazione religiosa che , da sempre, costituisce la polizza vita del regime. Un profilo basso dei sauditi su Gerusalemme, permette, poi, all'Iran di rivendicare il titolo di alfiere della battaglia per la città santa e porsi come punto di riferimento per la causa palestinese: spezzando, così, quell'isolamento dal campo sunnita perseguito proprio dall'inedita alleanza tra Salman e Netanyahu. Una mossa che, come dimostrano le dure proteste di queste ore e la proclamazione di una nuova Intifada, mette all'angolo la debole leadership dell'Anp, consentendo a Harnas, che ha promesso di immolare i suoi militanti per difendere Gerusalemme, di uscire dalla profonda crisi nella quale era precipitata dopo il lungo e logorato governo di Gaza. Infine, anche il radicalismo in versione Isis o Al Qaeda, può trarre linfa dalla scelta americana, permettendo agli jihadisti di rilanciare la tesi sulla volontà dell'Occidente "crociato e sionista" di colpire ancora una volta l'Islam. Insomma, una decisione, quella della Casa Bianca, che dà fuoco alle polveri in una regione in cui tutto si tiene e può incendiarsi con esiti imprevedibili. http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90