Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/12/2017, a pag.10, con il titolo "I Paesi del Golfo Arabia Saudita ed Emirati scelgono il silenzio. Priorità è il patto anti Iran " la cronaca/commento di Giordano Stabile
Trump con Mohammed bin Salman
Sia reso merito a Giordano Stabile per la prima cronaca aderente ai fatti che si sia potuta leggere su uno dei quotidiani più diffusi. Non ci voleva molto a raccontare come stanno le cose tra Israele e Arabia Saudita/Emirati, ma nessun "esperto" l'aveva mai scritto. Complimenti a Giordano Stabile, il suo pezzo è il tassello che manca in tutte le analisi che hanno avvelenato la corretta interpretazione della 'vicenda' Trump.
Giordano Stabile
DALL'INVIATO A GERUSALEMME -Il silenzio dei khajili, gli arabi del Golfo, inquieta i palestinesi. Dall'Arabia Saudita, pure custode dei primi due luoghi santi dell'islam e quindi anche per certi versi di Gerusalemme, sono arrivate frasi viste nei Territori come di circostanza, senza nessun appello alla «resistenza». Dall'altra potenza petrolifera, gli Emirati Arabi Uniti, quasi nulla. Una freddezza che sembra avallare la decisione di Donald Trump. II timore è che i sovrani del Golfo siano disposti a sacrificare «la causa palestinese» pur di mantenere vivo il patto di ferro siglato con il presidente americano al vertice di Raid di maggio. Un patto che prevede di portare anche Israele nell'alleanza sannita anti-Iran. E soprattutto il principe ereditario Mohammed bin Salman l'artefice di questa svolta storica. E non a caso non ha ancora proferito parola. In questi mesi l'erede al trono ha visitato «in incognito» lo Stato ebraico, ha incontrato il premier Benjamin Netanyahu, ha lavorato in stretto contatto con i dirigenti israeliani per aggiornare il piano di pace saudita, elaborato nel 2002, e renderlo molto più vicino alle posizione ebraiche, anche attraverso un rapporto stretto con il genero di Trump, e inviato in Medio Oriente, Jared Kushner. I due, trentenni, si scambiano messaggini e hanno elaborato un progetto che ha fatto infiammare le folle palestinesi quanto la mossa di Trump. «Bin Salman, traditore, vacci tu ad Abu Dis», era uno degli slogan che si sono sentiti in questi giorni e si riferisce al fatto che nel nuovo «piano saudita» la capitale del futuro stato palestinese sarebbe ad Abu Dis, un sobborgo a Est di Gerusalemme noto finora soltanto per la sua sede universitaria. Per il resto il piano prevede uno Stato separato con Gaza e Cisgiordania e il mantenimento della maggior parte degli insediamenti israeliani nella West Bank: una proposta respinta con sdegno da tutte le fazioni palestinesi prima ancora che sia diventata ufficiale. Cambio agli Esteri L'idea è che, passata la bufera delle manifestazioni e degli scontri, Riad premi ancor più sull'acceleratore per una soluzione «al ribasso» della questione palestinese. Tanto più se sarà confermata l'indiscrezione su un prossimo cambio della guardia al ministero degli Esteri, con il fratello minore di Mohammed bin Salman, Khaled, ora ambasciatore a Washington, al posto di Adel al-Jubeir. La coordinazione con la Casa Bianca a quel punto sarebbe totale. Resta da vedere quanto l'ottantadueenne sovrano assecondi la linea «rivoluzionaria» dei giovani figli. Re Salman è stato l'unico ad «avvertire» ufficialmente Trump sui rischi che la sua decisione comportava, su tutti quello di «infiammare gli animi dei musulmani nel mondo, visto la grande considerazione per la Moschea di Al-Aqsa». Un pallido proclama da parte del «custode delle due sante moschee» mentre il «sultano» Erdogan tracciava una «linea rossa» attorno alla Spianata, a nome di tutti gli islamici.
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