Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/12/2017, a pag. 12, con il titolo "Mercenari musulmani. Così Mosca garantirà i suoi interessi in Siria", l'analisi di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
Migliaia di mercenari, musulmani, attinti dalle repubbliche asiatiche dell’ex Unione Sovietica. È la carta segreta, neanche troppo, che Vladimir Putin è pronto a giocare in Siria. Lo Zar si trova di fronte al dilemma di dover ritirare gran parte delle truppe per motivi politici e nel contempo salvare i vantaggi strategici ottenuti con l’intervento lanciato il 30 settembre 2015. Nella nuova repubblica siriana, molto più federale come mostrano le indiscrezioni sul piano di Staffan de Mistura, ci sarà meno spazio per le forze regolari di Mosca. Ma il Cremlino ha come obiettivo minimo la permanenza a Damasco di un regime amico, che non metta in discussione le basi militari di Lattakia e Tartus. Per questo deve mettere in sicurezza l’asse che va da Aleppo al confine con la Giordania. Per farlo servono uomini. Anche dopo la distruzione dell’Isis, il governo di Bashar al-Assad si troverà a fronteggiare problemi di sicurezza, legati a un’insorgenza cronica sunnita, che non si è mai spenta del tutto dall’inizio degli Anni 80 ed è esplosa fra il 2011 e il 2013, fino all’irruzione dello Stato islamico. Ed è nel 2013 che arrivano i primi contractors, del Moran Security Group, basato ad Hong Kong ma con diramazioni in Russia.
Putin in Siria
Agli uomini della Moran viene affidata la difesa dei pozzi petroliferi a Deir ez-Zour, senza grande successo. Nell’autunno del 2015 arrivano invece gli uomini della Wagner, un’altra compagnia di contractors fondata da Dmitry Utkin, ex comandante dei corpi speciali Spetsnaz. Gli uomini della Wagner giocano un ruolo importante nelle liberazione di Palmira dall’Isis ma è dopo la riconquista di Aleppo che i contractors si moltiplicano e, ora, sono fra i tremila e i quattromila, secondo l’analista ed ex consigliere militare turco Metin Gurcan. Fra di loro c’è una componente preponderante di ex militari turcofoni delle repubbliche asiatiche. Hanno il vantaggio di essere musulmani, per lo più sunniti, e quindi di poter interagire con più naturalezza con la popolazione locale. I loro compiti ora sono soprattutto di mantenimento dell’ordine e ora si è aggiunta una terza compagnia, più misteriosa, la Turan. Il nome si rifà a Tamerlano, fondatore di un impero turco-mongolo nel XIII e XIV secolo, che comprendeva anche la Siria. Fra di loro ci sarebbero anche sciiti che farebbero da «ufficiali di collegamento» con le milizie libanesi e irachene. L’esercito dei contractors ha quindi raggiunto quasi le dimensioni del contingente russo, stimato in 8 mila uomini. Il loro compito sarà tutelare gli interessi di Mosca in una Siria molto decentralizzata, come si desume dal piano che l’inviato speciale Staffan de Mistura ha presentato a governo e opposizioni a Ginevra, e anticipato dal quotidiano arabo Asharq al-Wasat. Prevede uno «Stato non settario», con amministrazioni locali che avrebbero responsabilità sulla sicurezza, «in accordo con l’esercito nazionale». Insomma, una Siria federale. Non solo, il nome dello Stato potrebbe cambiare: da Repubblica araba siriana, a Repubblica siriana. Una richiesta fatta dai curdi, che arabi non sono.
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